Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15494 del 14/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 14/07/2011, (ud. 19/04/2011, dep. 14/07/2011), n.15494

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3558-2010 proposto da:

CONSORZIO DI BONIFICA DEL VERSANTE CALABRO JONICO MERIDIONALE, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 172, presso lo studio

dell’avvocato CARBONE NATALE, che lo rappresenta e difende, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

L.B., P.E., A.D.A.,

M.R.A., A.A., R.P., Z.

N., M.G., A.F., MO.

D., elettivamente domiciliati in ROMA, CORSO TRIESTE 155,

presso lo studio dell’avvocato BUTTAZZO ANTONIO, che li rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– controricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 881/2009 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 28/07/2009 r.g.n. 655/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/04/2011 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’Avvocato CARBONE NATALE;

udito l’Avvocato FILIPPO CHIRICOZZI per delega BUTTAZZO ANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per rigetto di entrambi i ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 1284/2004 il Giudice del lavoro del Tribunale di Reggio Calabria rigettava le domande presentate con ricorso 1-9-99 dagli odierni controricorrenti in epigrafe indicati (e da altro lavoratore, M.F., non intimato), nei confronti del Consorzio di Bonifica del Versante Jonico Meridionale, dirette ad ottenere la declaratoria di nullità del termine e la sussistenza di rapporti di lavoro a tempo indeterminato fin dal 1980 tra gli stessi e il Consorzio, con conseguente condanna di quest’ultimo al pagamento delle somme loro spettanti, fin dalla data della prima assunzione, a titolo di retribuzione per le giornate non retribuite oltre al pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali.

In particolare gli attori avevano asserito: che avevano prestato attività lavorativa fin dal 1980 alle dipendenze del Consorzio convenuto per circa 101 giornate non per esigenze eccezionali ed occasionali ma svolgendo le stesse mansioni degli operai assunti con contratto a tempo determinato; che negli anni 1980/1982 non era mai stato stipulato alcun contratto scritto, in violazione di quanto previsto ad substantiam dalla L. n. 230 del 1962; che il Consorzio, in contrasto con le risultanze dei modelli C2, aveva attestato che il loro rapporti di lavoro avevano avuto inizio solo nel 1983.

I lavoratori proponevano, con ricorso del 27-7-2005, appello avverso la detta sentenza chiedendone la riforma con l’accoglimento della domanda.

Il Consorzio si costituiva resistendo al gravame e proponendo “appello incidentale condizionato”.

La Corte d’Appello di Reggio Calabria, con sentenza depositata il 28- 7-2009, rigettava l’appello incidentale e, in accoglimento per quanto di ragione dell7 appello principale, (rigettata la domanda di M.F.) relativamente agli odierni intimati, dichiarava che i rapporti di lavoro intercorsi tra gli stessi ed il Consorzio erano a tempo indeterminato fin dalle rispettive date della prima assunzione e conseguentemente condannava il Consorzio ad eseguire l’inquadramento dei predetti dipendenti dalle date indicate, con la qualifica di operaio idraulico forestale.

In sintesi la Corte territoriale affermava che il Consorzio appellato non poteva definirsi imprenditore agricolo e che nella fattispecie trovava applicazione la L. n. 230 del 1962, per cui i contratti a termine succedutisi dal 1980 al 1982 in assenza di atti scritti comportavano la trasformazione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato rendendo irrilevante la stipulazione in forma scritta dei contratti a termine dal 1983 in poi (non risultando peraltro neppure eccepita e tanto meno provata una novazione dei rapporti, erroneamente ritenuta dal primo giudice sulla base del semplice rilievo che le parti dal 1983 in poi avevano stipulato per iscritto contratti a termine).

La Corte, inoltre, rigettava la domanda dei detti lavoratori volta ad ottenere la condanna “al pagamento delle somme dovute sin dalla data di prima assunzione a titolo di retribuzione”, in mancanza di allegazione e di prova della mora accipiendi del datore di lavoro.

Per la cassazione di tale sentenza il Consorzio ha proposto ricorso con cinque motivi.

I lavoratori intimati, in epigrafe indicati, hanno resistito con controricorso ed hanno proposto ricorso incidentale con “quattro profili” di censure “raggruppati” in un complesso motivo.

Il Consorzio ha resistito con controricorso al ricorso incidentale dei lavoratori ed infine ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi avverso la stessa sentenza ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Con il primo motivo del ricorso principale il Consorzio di Bonifica del Versante Calabro Jonico Meridionale, denunciando violazione della L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 6 e dell’art. 5 del c.c.n.l. di settore nonchè vizio di motivazione, in sostanza lamenta che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto che nella fattispecie la L. n. 230 del 1962 trovasse applicazione ai rapporti di lavoro dei dipendenti dei Consorzi di Bonifica, in quanto tali enti non sarebbero imprenditori agricoli, perseguendo fini economici non solamente agricoli, peraltro così individuando la natura industriale del Consorzio de quo. in base alla L.R. Calabria n. 5 del 1988 e allo statuto dell’Ente allegato, fonti entrambe successive alla costituzione dei rapporti di lavoro de quibus.

Il motivo non merita accoglimento.

Come è stato più volte affermato da questa Corte e va qui ribadito – ratione temporis con riferimento ai rapporti de quibus – “al rapporto di lavoro dei dipendenti dei consorzi di bonifica è applicabile la disciplina sui contratti a termine di cui alla L. n. 230 del 1962, e in particolare la prescrizione dell’atto scritto a norma dell’art. 1, poichè la disposizione del l’art. 6. che esclude dalla disciplina della stessa legge i rapporti tra “datori di lavoro dell’agricoltura e salariati fissi comunque denominati” (e – in base ad una necessaria interpretazione estensiva – tutti i lavoratori agricoli), è applicabile ai lavoratori alle dipendenze di imprese definibili come agricole a norma dell’art. 2135 cod. civ., (lavoratori per i quali, peraltro, operano le formalità procedurali e le prescrizioni dettate in tema di collocamento dei lavoratori agricoli dalla L. n. 83 del 1970), mentre gli enti di bonifica (anche se talvolta ricondotti dalla legge al settore agricolo ai fini previdenziali) non sono imprenditori agricoli, perseguendo fini economici non solamente agricoli, anche se con attività in parte strumentali all’agricoltura” (v. Cass. 27-10-2000 n. 14232, Cass. 8-8- 2002 n. 11998, Cass. 20-8-2002 n. 12297, Cass. 11-5-2005 n. 9893.

Cass. 10-5-2005 n. 9724, Cass. 16-5-2005 n. 10146).

Nella specie, sulla base dello svolgimento di tali attività (di bonifica, irrigazione, manutenzione, difesa del suolo etc.), di natura industriale, aventi ad oggetto il raggiungimento di fini generali trascendenti gli interessi dei singoli consorziati ancorchè in parte strumentali all’agricoltura, la Corte di merito legittimamente ha ritenuto che il Consorzio di Bonifica de qua non potesse considerarsi imprenditore agricolo.

Del resto lo svolgimento di tali attività anche all’epoca (anni 1980/1981) non risulta specificamente contestato dal Consorzio stesso, il quale si è limitato ad evidenziare soltanto che la legge regionale e lo statuto richiamati in sentenza sono intervenuti successivamente, di guisa che anche la relativa censura risulta priva di decisività.

Del pari, tali essendo le attività del Consorzio, alcuna rilevanza contraria, al fine che qui interessa, possono assumere elementi estrinseci o formali, come l’assunzione dei lavoratori in qualità di “braccianti agricoli” o l’inquadramento previsto dal ccnl 3-5-1979 richiamato nel ricorso principale (cfr. Cass. 21-8-2006 n. 18206).

Con il secondo motivo il ricorrente principale, denunciando violazione del D.Lgs. n. 702 del 1978, art. 5 lamenta che erroneamente la Corte territoriale ha “ritenuto la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, assumendo la nullità del termine apposto al primo dei contratti, con trasformazione di ciascun rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato, in violazione del disposto dell’art. 5 citato che al comma 15 statuisce che: “Si potrà procedere soltanto ad assunzioni di personale straordinario, per eccezionali sopravenute esigenze, personale che comunque non potrà essere tenuto in servizio per un periodo di tempo, anche discontinuo, complessivamente superiore a 90 giorni nell’anno solare, al compimento del quale il rapporto di lavoro è risolto di diritto”.

In sostanza, secondo il ricorrente principale, considerata “l’episodicità ed occasionalità dell’impegno dei lavoratori de quibus” per un periodo di tempo non superiore a 90 gg. nell’anno solare, “è di tutta evidenza che erroneamente è stata ritenuta l’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato”.

Innanzitutto, a parte ogni altra considerazione (anche relativa all’ambito di applicazione della norma invocata), osserva il Collegio che il motivo è inammissibile, trattandosi di questione nuova (che peraltro postula anche nuovi accertamenti di fatto sulle “eccezionali sopravvenute esigenze” e sulla durata effettiva di ciascun rapporto), in relazione alla quale manca in ricorso una precisa indicazione circa l’avvenuta deduzione davanti ai giudici di merito (del resto il Consorzio soltanto nella memoria ex art. 378 c.p.c. deduce di aver sollevato la questione con le note conclusive dinanzi alla Corte d’Appello).

Al riguardo, come questa Corte ha ripetutamente affermato e va qui ribadito, osserva il Collegio che “nel giudizio di cassazione è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni di diritto o nuovi temi di contestazione che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito, a meno che tali questioni o temi non abbiano formato oggetto di gravame o di tempestiva e rituale contestazione nel giudizio di appello” (v. Cass. 27-8-2003 n. 12571, Cass. 5-7-2002 n. 9812, Cass. 9-12-1999 n. 13819). Nel contempo è stato anche precisato che “nel caso in cui una determinata questione giuridica, che implichi un accertamento di fatto, non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, indicando altresì in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, così da permettere alla Corte di Cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (v.

Cass. 15-2-2003 n. 2331, Cass. 10-7-2001 n. 9336).

Con il terzo motivo, il ricorrente principale lamenta insufficiente motivazione in ordine alla ritenuta presenza di “più contratti a termine, che si sono succeduti tra le stesse parti, senza soluzione di continuità”, laddove, invece, alla stregua dei dati emergenti dai modelli C2 risultava “provato per tabulas un impegno di ciascun lavoratore pari al massimo a due mesi circa nell’arco di un anno” con conseguente “evidente interruzione per il restante periodo dell’anno, con relativa inattività per lunghi mesi”, per di più senza che i lavoratori si fossero messi a disposizione del Consorzio, offrendo la loro prestazione.

Il motivo risulta inconferente in quanto non coglie nel segno la impugnata decisione.

La Corte di merito, infatti, ha fondato la “nullità del termine apposto al primo dei contratti” (con la conseguente “trasformazione di ciascun rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato”), sulla “mancanza della forma scritta”; L. n. 230 del 1962, ex art. 1 di guisa che la motivazione sul punto risulta non solo sufficiente, ma anche priva di vizi logici. Non vi è, infatti, contraddizione alcuna tra l’instaurarsi del rapporto a tempo indeterminato a seguito della nullità del termine del primo contratto, da una parte, e la inattività per diversi mesi con la riscontrata mancanza di allegazione (e prova) di una messa in mora del Consorzio da parte dei lavoratori, dall’altra.

Con il quarto motivo, il ricorrente principale, denunciando violazione della L. n. 230 del 1962, art. 1 sotto diverso e autonomo profilo, in sostanza sostiene che nella fattispecie doveva considerarsi osservato il principio che richiede l’atto scritto, in quanto (come evidenziato fin dalla memoria di costituzione di primo grado) l’avviamento al lavoro degli attuali intimati era stato disposto dal competente Ufficio di Collocamento, a quale il Consorzio si era rivolto con regolare richiesta, specificando la natura di rapporto a tempo determinato e la durata dello stesso.

Il motivo è infondato.

Come è stato più volte affermato da questa Corte e va qui ribadito, “ai sensi della L. n. 230 del 1962, art. 1, comma 3, l’apposizione del termine al contratto di lavoro postula, a pena di nullità, un patto di forma scritta essenziale, che deve essere anteriore o, quanto meno, contestuale all’inizio del rapporto e non può essere surrogato, in ipotesi di assunzione attraverso l’ufficio di collocamento, dagli atti costituiti dalla richiesta del datore di lavoro o dal provvedimento di avviamento del lavoratore da parte dell’ufficio predetto” (v. fra le altre Cass. 12-11-1993 n. 11173.

Cass. 27-2-1998 n. 2211, Cass. 14-12-2001 n. 15801, nonchè, con riferimento ad un consorzio di bonifica Cass. 13-2-1988 n. 1571).

Con il quinto motivo il Consorzio ricorrente denuncia insufficiente motivazione in ordine alla esclusione, da parte dei giudici di appello, della novazione dei rapporti, rappresentata dalla costituzione in forma scritta nel 1983 di nuovi rapporti a tempo determinato, dopo un significativo intervallo di tempo.

Anche tale motivo è infondato.

Sul punto la Corte di merito, seppure erroneamente ha ritenuto rilevante la circostanza che nessuna novazione era stata eccepita dal Consorzio con la memoria di costituzione di primo grado, laddove in realtà non si trattava di eccezione in senso proprio (v. Cass. 29-3- 1999 n. 3026, Cass. 8-4-2009 n. 8527), “in secondo luogo” e “comunque”, legittimamente e con congrua motivazione ha escluso che nella fattispecie ricorressero gli estremi della novazione ed in specie all’animus novandi.

In particolare la Corte d’Appello ha rilevato che la affermazione da parte del primo giudice di una novazione sulla base del semplice “rilievo che le parti dal 1983 in poi avevano stipulato per iscritto contratti a termine” non poteva essere condivisa, in mancanza di qualsiasì allegazione e prova di elementi dai quali potesse desumersi la sussistenza in specie dell’animus novandi.

Quest’ultimo, infatti, in quanto inteso come manifestazione inequivoca dell’intento novativo (v. fra le altre Cass, 8-11-1996 n. 9766), non può scaturire di per sè dalla mera conclusione per iscritto di un successivo contratto a termine. Non può. infatti, ritenersi che il rapporto a tempo indeterminato preesistente sia stato sostituito, “in mancanza di una nuova pattuizione delle parti stesse, le quali consapevolmente incidano sul rapporto a tempo indeterminato giuridicamente tra loro in essere, risolvendolo o novandolo, senza di che le ulteriori stipulazioni di contratti a termine sono prive di causa” (v. in tal senso Cass. 20-4-1998 n. 4003).

Così respinto il ricorso principale, parimenti non merita accoglimento il ricorso incidentale, con il quale i lavoratori, denunciando violazioni di legge e vizi di motivazione, in sostanza censurano, sotto vari profili, la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che essi avrebbero omesso di costituire in mora il Consorzio, laddove invece erano emersi “sufficienti elementi per ritenere che il Consorzio fosse consapevole che i lavoratori fossero a sua disposizione”, avendo offerto la loro prestazione per facta concludentia, rispondendo regolarmente per più di venti anni a tutte le chiamate inoltrate dal Consorzio ad nutum (elementi che sarebbero stati trascurati dalla Corte di merito).

Le censure sono in parte inammissibili e in parte infondate.

Sul punto la Corte d’Appello ha innanzitutto rilevato che “nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado non è stata allegata alcuna mora accipiendi del datore di lavoro. Nè, a seguito della specifica contestazione sollevata dalla controparte nella memoria di costituzione, relativa, come visto, al fatto che i ricorrenti alla conclusione dei singoli rapporti a termine non si erano mai messi a disposizione del Consorzio ed anzi avevano percepito dall’INPS l’indennità di disoccupazione, è stato chiesto di provare o, comunque, è stato provato l’ingiustificato rifiuto della prestazione del datore di lavoro”.

La Corte di merito ha quindi evidenziato che “per la prima volta nell’appello si afferma, tardivamente e genericamente, “che i lavoratori, proprio in seguito ai continui ed illegittimi licenziamenti orali operati dal datore di lavoro, si sono impegnati forzatamente e tacitamente a rimanere a disposizione dello stesso negli intervalli di tempo proprio in ragione della frequenza e della promessa di un successivo richiamo del datore d lavoro”.

La sentenza impugnata, quindi, non ha affatto trascurato le deduzioni dei lavoratori in ordine alla messa in mora per facta concludentia, bensì le ha ritenute tardive e inammissibili, in quanto proposte per la prima volta in appello.

Le censure dei ricorrenti incidentali, pertanto, in parte non colgono nel segno la impugnata decisione ed in parte risultano infondate.

I lavoratori, infatti, da un lato ribadiscono la propria tesi, comunque avanzata tardivamente in appello e dall’altra asseriscono che “già nel ricorso in primo grado” era stato dedotto che “per tre anni consecutivi i suddetti operai hanno svolto le proprie mansioni senza sottoscrizione di alcun contratto e, quindi, senza alcun limite temporale …” con “chiamata al lavoro fatta oralmente”, deduzione, questa, che, neppure in ipotesi, presuppone una mora accipiendi del Consorzio, per faci a concludentia, come invece allegata per la prima volta in appello.

La impugnata decisione risulta quindi legittima e sorretta da congrua motivazione e resiste alle censure dei lavoratori.

Infine neppure può essere accolta la censura subordinata, secondo cui comunque la Corte territoriale avrebbe dovuto riconoscere la messa in mora del Consorzio alla data della notifica del ricorso introduttivo, “in cui si chiedeva l’assunzione a tempo indeterminato”.

Tale censura risulta del tutto generica e priva di autosufficienza, in quanto i ricorrenti incidentali neppure riportano il contenuto del ricorso introduttivo di primo grado, nella parte relativa, che, secondo il loro assunto, avrebbe integrato un atto di messa in mora, “nelle forme – cioè – di cui all’art. 1217 c.c, con la messa a disposizione delle energie lavorative ovvero mediante intimazione di ricevere la prestazione” (v. fra le altre Cass, 27-5-2009 n. 12333).

Del resto neppure potrebbe ritenersi che la domanda di nullità del termine apposto al contratto di lavoro e di conversione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato contenga automaticamente e di per sè stessa un tale atto di messa in mora (in argomento cfr. Cass. S.U. 8-10-2002 n. 14381).

Così respinti entrambi i ricorsi, infine, per la soccombenza reciproca, vanno compensate le spese tra le parti.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, li rigetta e compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camere di consiglio, il 19 aprile e il 23 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2011

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