Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1549 del 19/01/2022

Cassazione civile sez. VI, 19/01/2022, (ud. 22/10/2021, dep. 19/01/2022), n.1549

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27319-2020 proposto da:

R.M., RI.AN.MA., RI.CA., domiciliati in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato LORENZO ROMANO;

– ricorrenti –

contro

FINO 2 SECURITISATIONS SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, e per essa doValue spa, quale mandataria generale, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA SAN BERNARDO N. 101, presso lo studio

dell’avvocato ARTURO CANCRINI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SAS E FALLIMENTO PERSONALE DEL SOCIO

ACCOMANDATARIO M.S.;

– intimati –

contro

UNICREDIT SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della.

CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NICOLA

PIAZZA;

– resistente –

avverso la sentenza n. 120/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 14/01/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 22/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MASSIMO

FALABELLA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Il Tribunale di Catania ha accolto, per quanto di ragione, la domanda proposta da R.M., Ri.An.Ma. e Ri.Ca., avente ad oggetto l’accertamento degli effettivi rapporti di dare e avere tra Unicredit e (OMISSIS) s.a.s.: società in favore della quale gli attori avevano prestato fideiussione e che era stata dichiarata fallita. La domanda aveva ad oggetto tre distinti rapporti di conto corrente rispetto ai quali era lamentato l’addebito di interessi e commissioni non dovute.

2. – In sede di gravarne la pronuncia del giudice di primo grado è stata confermata dalla Corte di appello di Catania. Questa ha respinto il motivo di impugnazione con cui era stata lamentata la mancata compensazione dei saldi ricalcolati (uno dei quali a credito della banca, due a credito della correntista) dei tre conti correnti. La detta Corte ha evidenziato, in particolare, che gli appellanti non avevano domandato, in primo grado, la compensazione dei saldi e che la questione non poteva essere posta in appello, a mente dell’art. 345 c.p.c..

3. – La sentenza della Corte di Catania, resa il 14 gennaio 2020, è impugnata per cassazione, con unico motivo, da R.M. e dai Ri.. Resiste con controricorso, a mezzo della procuratrice doValue s.p.a., Fino 2 Securitisation s.r.l., cessionaria dei crediti di Unicredit.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – I ricorrenti lamentano violazione o falsa applicazione degli artt. 1853,1247 e 1941 c.c.. Assumono che i debiti e i crediti di più conti correnti bancari si compensano automaticamente, senza bisogno della proposizione di apposita eccezione e che, nella sostanza, il rapporto tra Unicredit e la correntista “e’ stato unico in ragione del comportamento tenuto dalla banca nella gestione dei conti accesi dalla società in bonis, così come accertato dalla consulenza tecnica eseguita in primo grado”. Aggiungono che la Corte di appello, nell’interpretare la domanda attrice, avrebbe offerto una lettura non condivisibile degli atti processuali. Richiamano infine, l’art. 1247 c.c., secondo cui il fideiussore può opporre in compensazione il debito che il creditore ha verso il debitore principale, e l’art. 1941 c.c., il quale dispone che la fideiussione non può eccedere ciò che è dovuto dal debitore e osserva che l’obbligata principale risultava complessivamente creditrice, nei confronti dell’istituto di credito, per Euro 3.091,31.

2. – Il motivo è infondato, e così il ricorso.

L’art. 1853 c.c., prevede un’ipotesi di compensazione tecnica e legale che non può essere rilevata d’ufficio, essendo il relativo effetto estintivo soggetto ad un onere di dichiarazione, peraltro non necessitante di formule sacramentali, della parte che decida di avvalersene (Cass. 4 luglio 2019, n. 17914). Non potendo attuarsi la compensazione d’ufficio, la relativa domanda di compensazione, proposta in appello, doveva quindi ritenersi nuova e, come tale, inammissibile.

Hanno dedotto gli istanti che i tre conti correnti integrerebbero un rapporto unico. Se così fosse andrebbero applicate le regole della c.d. compensazione impropria: con la conseguenza che la valutazione delle reciproche pretese comporterebbe l’accertamento del dare e avere, senza necessità di apposita domanda riconvenzionale od eccezione di compensazione. Gli istanti non spiegano, tuttavia, se e come abbiano fatto valere la questione, di cui la sentenza impugnata non parla, nella precorsa fase di merito. Ove con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430; Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675).

Inammissibile e’, poi, la questione vertente sull’interpretazione della domanda attrice. L’erronea interpretazione della domanda e delle eccezioni non è censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3), perché non pone in discussione il significato della norma ma la sua concreta applicazione operata dal giudice di merito, il cui apprezzamento, al pari di ogni altro giudizio di fatto, può essere esaminato in sede di legittimità soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione, ovviamente entro i limiti in cui tale sindacato è ancora consentito dal vigente art. 360 c.p.c., n. 5) (Cass. 3 dicembre 2019, n. 31546).

Da ultimo, non coglie nel segno la censura di violazione o falsa applicazione degli artt. 1247 e 1941 c.c.. Il fatto che il fideiussore possa opporre in compensazione il debito che il creditore ha verso il debitore principale non interferisce col regime processuale della relativa domanda o eccezione: e si è visto che i ricorrenti non hanno fatto valere tempestivamente la compensazione dei saldi. La disposizione di cui all’art. 1941 c.c., poi, si limita a escludere che la garanzia fideiussoria possa superare, per ammontare e condizioni, il debito principale: ma la non operatività della compensazione, di cui è mancata tempestiva eccezione, non implica, come è evidente, che i fideiussori abbiano assunto un impegno che sopravanzasse, nel senso indicato, l’obbligazione principale.

3. – Le spese di giudizio seguono la soccombenza.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 9.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 Sezione Civile, il 22 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022

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