Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15487 del 30/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 30/06/2010, (ud. 14/04/2010, dep. 30/06/2010), n.15487

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – rel. Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 13714/2008 proposto da:

LAVORAZIONI MECCANICHE ARTIGIANE SRL, in persona del Presidente del

CdA e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA G. CARDUCCI 4 presso lo studio dell’avvocato RIGHI Roberto,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NICCOLAI ANDREA,

giusta delega a margine;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI PISTOIA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA LUNGOTEVERE FLAMINIO 46 P. 4^ SC. B, presso lo

studio dell’avvocato GIAN MARCO GREZ, rappresentato e difeso

dall’avvocato CHIERRONI Vittorio, giusta delega a margine;

– controricorrente –

e contro

COMUNE DI PISTOIA SERVIZIO ENTRATE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 72/2006 della COMM. TRIB. REG. di FIRENZE,

depositata il 04/04/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

14/04/2010 dal Consigliere Dott. CARLO PARMEGGIANI;

udito per il resistente l’Avvocato CHIERRONI VITTORIO, che ha chiesto

il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Comune di Pistoia notificava nel 2003 avviso di accertamento a s.r.l. Lavorazioni Meccaniche Artigiane relativo alla TARSU per gli anni 1999, 2000, 2001, con il quale era rettificata in aumento la superficie della stabilimento della società presa a base per la determinazione della tassa, ricomprendendovi i locali utilizzati per la attività produttiva, in forza della assimilazione dei rifiuti speciali derivanti da attività industriali ai rifiuti urbani, effettuata con delibera del Comune in forza del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21.

La società impugnava l’avviso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Pistoia, sostenendo la illegittimità, sotto vari profili, della pretesa impositiva.

La Commissione accoglieva il ricorso, sul rilievo che i residui di lavorazione erano destinati al riutilizzo in altri cicli produttivi e pertanto mancava la prestazione di un servizio di smaltimento da parte del Comune. Appellava il Comune e la Commissione Tributaria Regionale della Toscana con sentenza n. 72/13/06 in data 24-10-06 depositata in data 4.4.07 accoglieva il gravame, dichiarando legittimo l’operato dell’Ufficio.

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione la società, con sei motivi. Resiste il Comune con controricorso. Entrambe le parti depositano memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, e art. 57, del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., ed omessa motivazione su questione pregiudiziale avente carattere decisorio.

Sostiene che il Comune, in appello, avrebbe sostenuto una tesi diversa da quella esposta nell’avviso di accertamento, riconoscendo la natura di residuo riutilizzabile e quindi di “non rifiuto” agli scarti produttivi della società; così facendo, da un lato avrebbe riconosciuto la fondatezza della stessa sentenza che impugnava, nonchè del ricorso del contribuente; dall’altro implicitamente riconosceva che i residui non erano conferiti al servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani. Questioni non trattate nella sentenza impugnata. Formula il seguente, complesso quesito:

“dica la Corte se risulti nella fattispecie violato il disposto di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, per essere stata introdotti per la prima volta in appello dalla Amministrazione Comunale nuovi motivi di impugnazione; dunque se l’appello proposto dal Comune di Pistoia avverso la sentenza di primo grado debba ritenersi inammissibile.

Dica altresì la Corte se omettendo di pronunciarsi su tale questione, sollevata dalla L.M.A. s.r.l. in via pregiudiziale, la sentenza di appello gravata violi il principio di cui all’art. 112 c.p.c., e sia pertanto meritevole di essere cassata”.

Con il secondo motivo deduce violazione del D.Lgs. 15 novembre 1993, art. 71, sostenendo che l’ente territoriale era decaduto dalla pretesa impositiva relativamente all’anno 1999, in quanto, dovendo l’avviso di accertamento essere notificato a pena di decadenza entro il terzo anno successivo a quello di presentazione della denuncia il termine scadeva il 31-12-2002.

Formula il seguente principio di diritto:

“dica la Corte se nella fattispecie, con riferimento all’anno 1999, l’Amministrazione Comunale fosse decaduta dal diritto alla pretesa impositiva e dunque sia stato violato quanto disposto dal D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 71”.

Con il terzo motivo deduce violazione dei principi di cui all’art. 97 Cost., nonchè della L. n. 241 del 1990, artt. 1 e 3, L. 8 agosto 2002, n. 178, art. 14, D.Lgs. n. 22 del 1997, artt. 1, 2, 4, 6 e 7.

Sostiene che i materiali residui di lavorazione ai sensi della L. n. 178 del 2002, art. 14, non possono considerarsi rifiuti in quanto destinati al riutilizzo in cicli produttivi diversi senza subire alcun trattamento o modifica, senza recare pregiudizio all’ambiente e senza che sia necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell’allegato C del D.Lgs. n. 22 del 1997.

Ne consegue che i materiali in questione non possono essere conferiti al servizio pubblico locale di nettezza urbana.

Formula il seguente quesito di diritto:

“dica la Corte che, in base ai principi di diritto che regolano la materia, i residui di lavorazione della società odierna ricorrente, poichè rifiuti di natura speciale (conferiti a ditte autorizzate al loro smaltimento) ovvero comunque materie prime riutilizzabili tal quali in altro ciclo produttivo, e così smaltiti o venduti dalla IMA sono sottratti alla pretesa impositiva azionata (TARSU) perchè non conferiti nè conferibili al servizio pubblico di nettezza urbana”.

Con il quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 7, comma 2, lett. B, art. 18, comma 2, lett. D, art. 21, comma 2, lett. G, art. 57, nonchè di disposizioni di legge a queste collegate in quanto la deliberazione del consiglio comunale, n. 166 del 1998, che assimilava ai rifiuti urbani i rifiuti speciali da lavorazione industriale ed artigianale, ai sensi del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21 era illegittima per mancanza di previsione espressa dei criteri di assimilazione, con specifico riferimento alla natura, quantità e qualità dei rifiuti soggetti a tale equiparazione, non essendo sufficiente un generico richiamo alla deliberazione ministeriale 27-7-1984.

Formula il seguente principio di diritto:

“dica la Cassazione che la pretesa impositiva avanzata dal Comune di Pistoia risulta altresì illegittima e lesiva per avere inteso l’ente assoggettare a TARSU gli scarti prodotti dalla LMA, che per qualità e quantità sono certamente rifiuti speciali, mediante assimilazione ai rifiuti urbani, in difetto di norma regolamentare secondaria, come invece previsto dalla normativa di settore (D.Lgs n. 22 del 1991, art. 57, D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 7, comma 2, lett. B e art. 21, comma 2, lett. G).

Con il quinto motivo, deduce violazione della L. n. 241 del 1990, artt. 1 e 3, D.Lgs. n. 32 del 3001, art. 6, comma 2, lett. c), D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, art. 68, comma 2, lett. e).

Sostiene che il Comune non aveva motivato l’ampliamento della superficie tassabile illustrando la natura del ciclo produttivo esercitato nello stabilimento e la modalità di svolgimento del servizio di eliminazione rifiuti da parte dell’ente, che costituisce il presupposto impositivo. Formula il seguente principio di diritto:

“dica la Corte che non avendo svolto il Comune di Pistoia nella fattispecie, e con riferimento agli scarti di produzione in questione – rifiuti speciali – alcun servizio pubblico di raccolta e smaltimento (nettezza urbana) l’ente non era legittimato a pretendere il pagamento della relativa tassa, (TARSU) così procurandosi una entrata posta dalla legge in stretta correlazione all’espletamento di funzioni pubbliche che in realtà la Amministrazione non ha svolto.

Con il sesto motivo deduce insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in quanto, dopo avere espletato attività istruttoria che aveva accertato come i residui di lavorazione del ciclo produttivo aziendale erano destinati o allo smaltimento con ditte specializzate ovvero reimpiegati in altri cicli produttivi senza subire trattamenti, per cui non potevano essere considerati rifiuti ai sensi della L. n. 178 del 2002, art. 14, la sentenza adottava una motivazione carente e contraddittoria, in ordine alla assimilabilità di tali residui ai rifiuti urbani con conseguente applicabilità della tassa.

Il Comune nel controricorso contesta le argomentazioni di parte ricorrente, sostenendo la inammissibilità ed infondatezza dei motivi esposti. Occorre esaminare, per motivi di priorità logica, il sesto motivo. A tale proposito, è necessario svolgere alcune preliminari osservazioni in ordine alla interpretazione della sentenza impugnata.

La Commissione di appello, premesso di avere esperito istruttoria al fine di accertare come venissero smaltiti i residui provenienti dal ciclo produttivo della società, consistenti in “sfridi di lavorazione” conclude che la ricorrente non aveva provato la propria tesi difensiva ed anzi era stata corroborata la tesi “secondo cui trattavasi di materiali merci e non già di materiali rifiuti”. Da tale semplice affermazione trae la conseguenza che “le superfici utilizzate devono essere legittimamente tassate ai fini della imposta de quo”.

E’ evidente, in primo luogo, la esistenza di una gravissima insufficienza di motivazione, in quanto dalla sentenza non si evince l’iter logico che ha portato la Commissione dall’esame delle emergenze istruttorie alla conclusione che nella fattispecie si trattava di “materiali merci”; ed ulteriore carenza e contradditorietà motivazionale in ordine al raccordo tra la definizione esclusiva degli scarti di lavorazione della società come “merci” ovvero, se la definizione ha un senso, come materiali esclusi dallo smaltimento e rivenduti a terzi tali e quali, e come tali esclusi dalla nozione di rifiuto, e la considerazione degli stessi come rifiuti o comunque materiale assimilato ai rifiuti urbani, tale cioè da giustificare la pretesa impositiva del Comune.

Nè per altro verso può indursi alcunchè dalla mera citazione (peraltro nell’ambito di esposizione dei motivi di ricorso dell’appellante e non a supporto della decisione) del disposto di cui al D.Lgs. n. 507 del 1992, art. 62, in quanto la sentenza non spiega come mai i locali ove per la particolare utilizzazione ha ritenuto si producessero “merci” e non rifiuti siano da ritenersi idonei a produrre rifiuti in relazione al disposto di cui al comma 2 della citata disposizione di legge.

Tale vizio motivazionale, di carattere assoluto, ha carattere preliminare e di per sè solo giustifica la cassazione della sentenza.

Tutti gli altri motivi di ricorso rimangono assorbiti. La sentenza deve quindi essere annullata e la causa rinviata per nuovo esame, anche per le spese, a diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale della Toscana.

PQM

La Corte accoglie il sesto motivo di ricorso, assorbiti gli altri;

cassa in relazione al motivo accolto la sentenza impugnata, e rinvia la causa, anche per le spese, a diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale della Toscana.

Così deciso in Roma, il 14 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2010

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