Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15486 del 22/06/2017


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Cassazione civile, sez. un., 22/06/2017, (ud. 09/05/2017, dep.22/06/2017),  n. 15486

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di sez. –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6510-2015 proposto da:

F.C., F.G., elettivamente domiciliatisi in

ROMA, PIAZZA DI PIETRA 26, presso lo studio dell’avvocato LISA

BULDO, rappresentati e difesi dall’avvocato EMILIA ABATE;

– ricorrenti –

contro

CONSORZIO DI BONIFICA IN DESTRA DEL FIUME SELE, in persona del

Presidente pro tempore, elettivamente domiciliatosi in ROMA, presso

la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato CARMINE BUCCIARELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9/2014 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE

PUBBLICHE, depositata il 10/01/2014;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/05/2017 dal Consigliere ANGELINA-MARIA PERRINO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore

generale DE AUGUSTINIS UMBERTO, che ha concluso per

l’inammissibilità, in subordine per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato EMILIA ABATE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

F.G. e F.C., rispettivamente proprietario ed affittuario di un fondo in località (OMISSIS), convennero il Consorzio di Bonifica in destra del fiume Sele per ottenerne il risarcimento del danno, deducendo che il fondo era stato allagato dalle acque provenienti da due canali di irrigazione appartenenti al Consorzio. Si costituì il Consorzio, obiettando che l’evento dannoso era stato determinato da precipitazioni atmosferiche eccezionali e che gli attori avevano modificato il sistema scolante originario.

Il Tribunale regionale delle acque pubbliche presso la Corte d’appello di Napoli rigettò la domanda, in esito all’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio e quello superiore ha rigettato il successivo ricorso proposto dai due soccombenti, facendo leva sull’idoneità della rete dei canali di deflusso e ravvisando quindi la causa dell’esondazione in temporanee ostruzioni o limitazioni delle sezioni idrauliche dei canali; ha inoltre escluso che il consulente tecnico d’ufficio avesse trascurato le rilevazioni svolte nel corso del precedente accertamento tecnico preventivo.

Contro questa sentenza F.G. e F.C. propongono ricorso dinanzi a queste sezioni unite per ottenerne la cassazione, che articolano in tre motivi, cui il Consorzio replica con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con i tre motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente perchè connessi, i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 12 preleggi, della L.R. 25 febbraio 2003, n. 4, art. 3 in relazione all’obbligo di custodia e cura della manutenzione dei canali, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2051, 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c. (primo motivo); la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., dovuta all’erronea valutazione delle risultanze probatorie (secondo motivo); ancora la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., lamentando che il giudice d’appello non abbia deciso iuxta alligata et probata (terzo motivo). Le tre censure contengono anche deduzioni di vizi di motivazione della sentenza impugnata, perchè erronea, insufficiente o contraddittoria, in ragione dell’omessa valutazione di fatti e di prove.

1.1.- La doglianza complessivamente svolta, della quale i tre motivi rappresentano frammentazione, s’incentra sul dedotto travisamento della prova in giudizio, concernente lo stato di manutenzione dei canali del Consorzio, di modo che la deduzione delle violazioni di legge contenuta nel primo motivo scherma in realtà deduzione di vizio di motivazione.

Essa, quindi, si rivela inammissibile.

2.- La sentenza è soggetta al regime stabilito dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv. con L. n. 134 del 2012, essendo stata depositata nel 2014, in quanto queste sezioni unite (Cass., sez. un., 7 gennaio 2016, n. 67) hanno già avuto occasione di stabilire che la sentenza del Tribunale superiore delle acque pubbliche è impugnabile per vizio di motivazione solo qualora l’anomalia denunciata rilevi ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv. con L. n. 134 del 2012, ove l’anomalia denunciata rilevi ai sensi della suddetta disciplina.

Giova ribadire che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Va quindi esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054, nonchè, tra varie, sez. un. 22 settembre 2014, n. 19881). In particolare, per un verso l’omesso esame di elementi istruttori non integra vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (tra varie, Cass., ord. 10 febbraio 2015, n. 2498 e ord. 1 luglio 2015, n. 13448); per altro verso, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non è inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. 10 giugno 2016, n. 11892).

3.- Inammissibili sono i motivi, anche là dove denunciano la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.

Difatti, nessuna violazione dell’art. 115 c.p.c. è predicabile, giusta il consolidato orientamento di questa Corte (vedi, tra varie, Cass. 10 maggio 2016, n. 11892), secondo cui la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo lamentando che il giudice abbia dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli.

A tanto va aggiunto che, in linea di principio, la violazione degli art. 115 e 116 c.p.c. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (tra varie, Cass. 30 novembre 2016, n. 24434), dovendosi peraltro ribadire che, in relazione al nuovo testo di questa norma, qualora il giudice abbia preso in considerazione il fatto storico rilevante, l’omesso esame di elementi probatori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo (Cass., sez. un., n. 8053/14, cit.).

3.1.- Nel caso in esame, il giudice d’appello ha preso in esame le circostanze dedotte in ricorso, che ha valutato diversamente da come auspicano le parti ricorrenti.

4.- I tre motivi vanno dunque ritenuti inammissibili e le spese seguono la soccombenza.

Sussistono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

 

la Corte, decidendo a sezioni unite, dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti a pagare le spese, che liquida in Euro 5000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, alle spese forfettarie nella misura del 15% e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2017

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