Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15478 del 03/06/2021

Cassazione civile sez. lav., 03/06/2021, (ud. 11/02/2021, dep. 03/06/2021), n.15478

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17925/2019 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA

133, presso lo Studio Legale BIRD & BIRD, rappresentato e difeso

dagli avvocati GERARDO MAURIELLO, SABINO ANTONINO SARNO;

– ricorrente –

contro

REGIONE CAMPANIA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 5580/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 12/12/2018 R.G.N. 2604/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/02/2021 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. M.A., proveniente dalla carriera direttiva del Ministero del Tesoro, essendo in posizione di comando presso il CTR di Avellino, aveva esercitato in data 22/4/1987 l’opzione per l’inquadramento nei ruoli regionali ai sensi della L.R. n. 18 del 1987, ma tale istanza era rimasta inevasa;

a seguito della riapertura dei termini per il personale in comando, disposta con L.R. n. 22 del 1990, e di formulazione di nuova istanza era stato inquadrato con decreto n. 13341 dell’1/10/1993 nell’VIII livello funzionale con decorrenza dal 21/3/1990;

assumendo di aver diritto all’inquadramento nella la qualifica dirigenziale sin dalla data del primo esercizio dell’opzione ed avendo appreso, a seguito di istanza di accesso agli atti, che erano intervenute ben due Delib. (la Delib. 3 febbraio 1992, n. 376 e la Delib. 21 dicembre 1992, n. 7399), vistate dalla Commissione di controllo atti della Regione Campania cui, però, non era stata data attuazione, aveva agito innanzi al Tribunale di Avellino, con ricorso del 4/3/2010, chiedendo che fosse accertato il suo diritto al superiore inquadramento con condanna della Regione Campania al pagamento delle differenze retributive ed al risarcimento del danno;

2. il Tribunale dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice ordinario discutendosi di provvedimenti di inquadramento tutti anteriori al 30/6/1998 e rigettava la domanda avente ad oggetto le differenze retributive;

3. la Corte d’appello di Napoli respingeva l’impugnazione del M.;

confermava la statuizione di difetto di giurisdizione richiamando Cass., Sez. Un., n. 579 del 14 gennaio 2014 ed evidenziando che tutti gli atti intervenuti nella vicenda de qua (e così le delibere cui non era stata data attuazione ed il definitivo provvedimento di inquadramento) erano anteriori al 30/6/1998, cosicchè sussisteva la possibilità di impugnarle solo fino al termine del 30/6/2000, irrilevanti essendo le domande di accesso agli atti ovvero di inquadramento presentate dopo tale scadenza;

evidenziava che non fosse intervenuta alcuna statuizione nuova dell’amministrazione che si era limitata a confermare i provvedimenti precedentemente assunti;

in ogni caso riteneva che tutta la questione relativa all’inquadramento del M. fosse ormai coperta dal giudicato avendo già il TAR Campania con sentenza n. 114/1998 ritenuto la legittimità del disposto inquadramento e corretta la comparazione tra le declaratorie del nono livello funzionale raggiunto dal M. nella carriera di provenienza e dell’ottavo livello funzionale regionale;

riteneva che rispetto a tale giudicato, che copriva il dedotto e deducibile, non potessero essere considerate quale nuova causa petendi le delibere conosciute dall’istante successivamente alla pronuncia del TAR;

escludeva, da ultimo, che fosse stata ritualmente proposta dal M. una autonoma domanda intesa ad ottenere le differenze retributive per lo svolgimento di fatto di mansioni dirigenziali evidenziando che la domanda relativa a tali differenze, come quella risarcitoria, non erano che un “precipitato” dell’erroneo inquadramento che si chiedeva di rettificare ex tunc;

rilevava, peraltro, che il M. si fosse limitato ad una mera elencazione formale degli incarichi affidatigli nel corso degli anni sul presupposto automatico che gli stessi fossero riconducibili al livello dirigenziale ma senza alcuna descrizione contenutistica di tali mansioni e senza alcun elemento probatorio, carenza, questa, che precludeva l’applicazione del metodo deduttivo;

3. avverso tale sentenza M.A. ha proposto ricorso affidato a tre motivi;

4. la Regione Campania è rimasta intimata;

5. il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. primo motivo il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7;

sostiene che la Corte territoriale abbia errato nell’affermare di non poter decidere la domanda per difetto di giurisdizione, avendo mal interpretato il ricorso introduttivo e ritenendo quest’ultimo incentrato sulle delibere del 1992 e sul decreto di inquadramento già impugnato nel 1995 dinanzi al TAR, mentre i suddetti atti erano stati richiamati al solo fine di ricostruire i fatti e di dimostrare l’ostruzionismo perpetrato dalla Regione Campania nei confronti del M.;

rileva che la Regione aveva continuato a respingere le domande intese ad ottener il giusto inquadramento ben oltre il 30 giugno 1998, con conseguente sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario;

richiama Cass., Sez. Un., n. 3560/2017 per sostenere che nella specie l’azione proposta dinanzi al GO era conseguenza del comportamento illecito permanente dell’Ente che si era protratto fino alla definitiva e tranciante nota dirigenziale del 27/5/2004 che aveva da ultimo respinto la sua richiesta di inquadramento;

2. con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2909 c.c., nonchè del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (ultrapetizione), dell’art. 112 c.p.c.;

sostiene che la Corte territoriale abbia erroneamente ritenuto che la questione posta in questa sede, relativa all’inquadramento del M., fosse coperta dal giudicato di cui alla sentenza del TAR Campania n. 114/1998, in quanto il petitum oggetto della controversia riguarda la sopravvenienza di fatti e situazione nuove, diverse rispetto ai vizi del provvedimento impugnato in sede amministrativa;

3. con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 36, dell’art. 2103 c.c., dell’art. 36 Cost., ed omesso esame su un punto decisivo della controversia;

lamenta che la Corte d’appello non abbia considerato che il ricorrente aveva correttamente indicato, dedotto e documentato le mansioni dirigenziali svolte il cui riconoscimento espresso operato con gli atti assunti dalla Regione Campania, nel periodo di cui alla domanda introduttiva;

4. si deve preliminarmente dare atto che questa sezione semplice è legittimata alla piena decisione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 1, sulle questioni di giurisdizione in materia di pubblico impiego, in forza di decreto di assegnazione del Primo Presidente in data 10-14 settembre 2018;

5. tanto premesso il primo motivo di ricorso è infondato;

si evince dalla stessa prospettazione di cui al ricorso che l’inquadramento in relazione al quale il M. ha formulato le proprie doglianze e rivendicazioni è avvenuto con Decreto 1 ottobre 1993, n. 13341 (nell’VIII livello funzionale con decorrenza dal 21/3/1990), anteriormente, dunque, al 30/6/1998;

egualmente precedenti al suddetto limite temporale sono le delibere cui non era stata data attuazione e che erano intervenute prima del definitivo provvedimento di inquadramento del 1993;

non risulta che, dopo le suddette date vi siano state altre determinazioni dell’amministrazione direttamente incidenti sulla posizione soggettiva del ricorrente oggetto della odierna pretesa, risultando solo atti intervenuti a seguito di nuove e successive istanze del M. e che facevano sempre riferimento ai provvedimenti sopra indicati, tutti anteriori al 30/6/1998;

tanto consente di affermare che, secondo la stessa prospettazione attorea, il fatto allegato dal quale sarebbe, poi, scaturita la lesione del diritto di cui si chiede tutela in questa sede è costituito unicamente dal provvedimento di inquadramento dell’1/10/1993: il “petitum” sostanziale si fonda sull’inadempimento dell’amministrazione per l’avvenuto riconoscimento di un inquadramento (nell’VIII livello funzionale con decorrenza dal 21/3/1990) non corrispondente a quello asseritamente spettante al ricorrente (la qualifica dirigenziale), inadempimento al quale deve riconoscersi natura istantanea – come recentemente ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte nelle sentenze n. 7208/2019 e n. 18671/2019, che hanno richiamato le precedenti sentenze Cass., Sez. Un., nn. 8363/2007, 26786/2008, 19549/2010, 3053/2009 -, sebbene i suoi effetti dannosi potevano o possono riverberarsi sull’ulteriore corso del rapporto;

si tratta, come osservato dalle Sezioni Unite negli indicati precedenti (si veda anche Cass., Sez. Un., n. 16303/2014) “di un riflesso meramente fattuale, collegabile al protrarsi dell’inerzia non solo della parte asseritamente inadempiente ma della stessa parte adempiente che non ha tempestivamente reagito all’altrui inadempienza, che per ciò solo non muta la natura istantanea dell’inadempimento. In altri termini, permanenti possono essere gli effetti ma non l’illecito, giacchè esso si è consumato con un’azione puntuale e non reiterata. Diversamente si perverrebbe all’inaccettabile conclusione di dividere la giurisdizione sulla base di elementi rimessi alla condotta delle parti, separatamente dal complesso degli atti procedimentali intervenuti”;

è stato, altresì, osservato (v. Cass., Sez. Un., n. 7208/2019 cit.) che questi principi reggono anche al vaglio dell’ulteriore giurisprudenza delle Sezioni Unite (inaugurata da Cass., Sez. Un., n. 3183/2012, poi consacrata da Cass., Sez. Un., n. 220726/2012, e seguita, tra le tante, da Cass., Sez. Un., n. 4251/2016) che, ai fini del riparto di giurisdizione, superando il diverso orientamento fondato sul principio del frazionamento (su cui, ex multis, Cass., Sez. Un., n. 25258/2009) ha valorizzato l’unitarietà sostanziale della fattispecie dedotta in giudizio nelle questioni cosiddette “a cavallo”, ossia ricadenti in parte prima e in parte dopo il 30 giugno 1998;

questa giurisprudenza, invero, pur sancendo che in materia di pubblico impiego privatizzato la giurisdizione del giudice ordinario è la regola mentre quella del giudice amministrativo è ipotesi eccezionale, mantiene ferma la potestà giurisdizionale di quest’ultimo per tutte quelle controversie concernenti questioni che, in concreto, alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 80 del 1998, il pubblico dipendente avrebbe potuto instaurare e che aveva tempo fino al 15 settembre 2000 per instaurare;

è stato precisato che il canone della “fattispecie sostanzialmente unitaria” costituisce una nozione di sintesi ricavata dalla controversia in concreto sottoposta al giudice e connotata da identità di “petitum” e “causa petendi” della pretesa azionata con riferimento all’intero periodo controverso, anche se “a cavallo” del 30/6/1998;

ebbene, come si è già rilevato, il “petitum” e la “causa petendi” dell’odierna controversia sono costruiti sull’asserita lesione del diritto del ricorrente ad un inquadramento nella 1a qualifica dirigenziale sin dalla data del primo esercizio dell’opzione, lesione che si è consumata in un momento certo e collocabile nel tempo, e precisamente l’1/10/1993, data della adozione del provvedimento di inquadramento nell’VIII livello funzionale con decorrenza dal 21/3/1990, pacificamente avvenuto prima del 30/6/1998;

in conclusione, deve ritenersi che nella fattispecie in esame, tanto la genesi quanto l’azionabilità del diritto ricadono interamente nel periodo precedente il 30 giugno 1998, sicchè si è fuori dalle ipotesi cosiddette “a cavallo”, per le quali può trovare applicazione il principio della “fattispecie sostanzialmente unitaria dal punto di vista giuridico e fattuale”;

6. l’infondatezza del primo motivo determina l’assorbimento degli altri;

è stato da questa Corte affermato (v. Cass., Sez. Un., 27 novembre 2019, n. 31024 del 27/11/2019) che il giudice, qualora dichiari il proprio difetto di giurisdizione, si spoglia della “potestas iudicandi” con una pronuncia in rito completamente definitoria della causa dinanzi a sè, con la conseguenza che la statuizione resa anche sul “merito” della medesima controversia si appalesa meramente apparente e, come tale, è insuscettibile di passare in cosa giudicata;

nella specie la Corte territoriale ha inserito la questione del giudicato della sentenza del TAR nell’ambito della medesima domanda di accertamento del diritto del M. con decorrenza dal 22.4.1987 (v. pag. 4 della sentenza impugnata), cosicchè la valutazione della sussistenza del giudicato era in concreto preclusa dalla declinatoria della giurisdizione;

eguale ragionamento deve farsi con riguardo ai rilievi concernenti la pronuncia impugnata nella parte in cui ha disatteso la domanda di riconoscimento delle differenze retributive per le mansioni dirigenziali, in mancanza di specifici elementi per delineare nella loro portata e per collocare temporalmente le rivendicazioni afferenti un preteso svolgimento di mansioni superiori (in ricorso è evidenziato che il Tribunale di Avellino era stato adito dal M. per ottenere il riconoscimento della superiore qualifica dirigenziale a far data dall’aprile 1987 o, in subordine, dal 1990; solo in sede di mera elencazione di documenti asseritamente allegati si fa riferimento ad un atto di nomina a Responsabile del CTR presso il Genio Civile di Avellino, a far data dal 2001);

peraltro, nella sentenza impugnata, è evidenziato (con affermazione non adeguatamente contrastata dal ricorrente) che nelle conclusioni rassegnate in primo grado non vi era stata alcuna formulazione di specifica domanda di differenze retributive essendo stata svolta solo domanda di pagamento pur sempre ricollegata a quella di accertamento del diritto all’inquadramento superiore ab initio (“come precipitato dell’erroneo inquadramento”);

il che costituisce decisivo argomento per ritenere che l’ulteriore affermazione, sul punto, della Corte territoriale sia stata resa “ad abundantiam” da un giudice che aveva già esaurito la propria “potestas iudicandi” con la emissione di una pronuncia in rito completamente definitiva della causa dinanzi a sè;

7. da tanto consegue che va rigettato il primo motivo di ricorso (assorbiti gli altri) e dichiarata la giurisdizione del Giudice amministrativo;

8. nulla va disposto in ordine alle spese processuale essendo la Regione Campania rimasta intimata;

9. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass., Sez. Un., n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso (assorbiti gli altri) e dichiara la giurisdizione del Giudice amministrativo; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 11 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2021

 

 

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