Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15475 del 14/07/2011

Cassazione civile sez. III, 14/07/2011, (ud. 24/05/2011, dep. 14/07/2011), n.15475

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11003-2009 proposto da:

GUSPERTI ENZO E PASETTI CESARE & C S.A.S. (OMISSIS) in persona

del suo legale rappresentante pro tempore sig. GU.EN.,

elettivamente domiciliata in ROMA, V. PACUVIO 34, presso lo studio

dell’avvocato ROMANELLI GUIDO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato BOSCAINI GIANBATTISTA giusta delega a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

G.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ZARA 13, presso lo studio dell’avvocato GUARNACCI GIULIO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARATTONI

GIOVANNI giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 529/2008 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

SEZIONE 2^ CIVILE, emessa il 7/5/2008, depositata il 21/05/2008

R.G.N. 1396/07;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/05/2011 dal Consigliere Dott. GIOVANNI CARLEO;

udito l’Avvocato ROMANELLI GUIDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio che ha concluso con l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso ex art. 447 bis c.p.c. la Gusperti Enzo e Pasetti Cesare & C. Sas adiva il Tribunale di Brescia esponendo di essere subentrata in data 15 dicembre 2000 in un contratto di locazione, stipulato il 30 luglio 1993 tra G.A. e la Toro Assicurazioni Spa, avente ad oggetto locali destinati ad agenzia di assicurazioni con contatto diretto con il pubblico degli utenti e consumatori, e di aver consegnato al locatore il 2.7.2001 una fideiussione bancaria.

Aggiungeva che il 3 giugno 2004 il locatore aveva comunicato l’intenzione di non rinnovare il contratto alla seconda scadenza del 31 luglio 2005; che il 31 gennaio 2006 era stata effettuata la formale riconsegna dei locali. Ciò premesso, la ricorrente chiedeva la condanna del locatore al pagamento dell’indennità di avviamento e la restituzione della fideiussione bancaria. In esito al giudizio, in cui si costituiva il G. chiedendo il rigetto della domanda in quanto alla conduttrice non spettava l’indennità di avviamento sia per il ritardo con cui aveva lasciato l’immobile sia perchè non era provata la destinazione dei locali all’esercizio di attività commerciale comportante contatto con il pubblico, il Tribunale adito condannava il G. a restituire l’originale della fideiussione bancaria respingendo l’altra domanda della ricorrente relativa all’indennità e la riconvenzionale con cui il locatore aveva chiesto il risarcimento dei danni in ordine alle cattive condizioni in cui sarebbe stato lasciato l’immobile.

Avverso tale decisione proponeva appello l’originaria conduttrice ed in esito al giudizio la Corte di Appello di Brescia con sentenza depositata in data 21 maggio 2008 respingeva l’impugnazione. Avverso la detta sentenza la Gusperti Enzo e Pasetti Cesare & C sas ha proposto ricorso per cassazione articolato in cinque motivi, illustrato da memoria. Resiste con controricorso il G..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con la prima doglianza, deducendo il vizio di violazione di legge nonchè la contraddittoria e/o erronea motivazione su un punto decisivo della controversia con riguardo al disposto degli artt. 187 e 416 c.p.c. e art. 2697 c.c., la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per aver la Corte di Appello erroneamente ritenuto che l’appellante non avesse assolto all’onere probatorio di provare che i locali fossero adibiti all’esercizio di agenzia di assicurazione. Al contrario, in assenza di una contestazione specifica sul tipo di attività da parte del resistente, la Corte avrebbe dovuto dare per ammesso lo svolgimento dell’attività di agenzia assicurativa.

La seconda doglianza, articolata per violazione di legge nonchè la contraddittoria e/o erronea motivazione su un punto decisivo della controversia con riguardo alla portata normativa della L. n. 392 del 1978, art. 34 in combinato disposto con gli artt. 27 e 35, ed art. 2697 c.c., si fonda invece sulla considerazione che la Corte di appello avrebbe sbagliato quando non ha ritenuto sufficienti le prove prodotte sull’effettiva esistenza dell’agenzia di assicurazione per il solo fatto che nel contratto era stata prevista la clausola “il locale è stato affittato ad uso ufficio e pertanto si affitta per lo stesso uso”. In tal modo, avrebbe trascurato che “tutte le agenzie di assicurazione vengono necessariamente esercitate in uffici”, avrebbe omesso di valutare i documenti prodotti dai ricorrenti quali i cartelli esposti, la fotografia della porta di ingresso con l’indicazione dell’orario di apertura al pubblico ed avrebbe infine trascurato che il locatore non aveva mai contestato l’esercizio dell’attività assicurativa ma si era limitato ad eccepire l’operatività della L. n. 392 del 1978, art. 80 per non essere stato informato dell’uso diverso rispetto a quello pattuito. Ciò, senza considerare – il rilievo sostanzia la successiva censura mossa con riferimento ai medesimi vizi di violazione di legge e di motivazione sopra addotti – che l’esercizio di un’agenzia di assicurazione all’interno di un immobile destinato ad uso ufficio, essendo quest’ultimo un termine neutro, non costituisce un uso diverso da quello pattuito.

La quarta doglianza, articolata sotto il profilo della violazione e carente e/o contraddittoria motivazione con riguardo all’art. 414 c.p.c. e art. 420 c.p.c., comma 5, art. 2697 c.c., si fonda sulla considerazione che la Corte di Appello avrebbe sbagliato quando ha ritenuto che la ricorrente avrebbe dovuto presentare le proprie richieste istruttorie (dirette a dimostrare che la Toro assicurazioni ebbe ad utilizzare sin dall’inizio l’immobile come agenzia assicurativa) nel ricorso e non già in sede di memoria di replica alla memoria di costituzione avversaria. Ed invero – così continua la ricorrente – l’attore è tenuto ad indicare in ricorso anche i mezzi di prova concernenti la sussistenza delle condiciones iuris relative alla causa petendi solo dopo che tale sussistenza sia stata contestata dal convenuto con tempestiva eccezione.

Con l’ultima doglianza, articolata sotto il profilo della violazione dell’art. 112 c.p.c., e art. 92 c.p.c., comma 2 nonchè della motivazione omessa, ad avviso della ricorrente, la Corte territoriale avrebbe altresì sbagliato quando ha ritenuto che il rigetto dei primi motivi di impugnazione assorbisse il terzo autonomo motivo con cui era stato impugnato il capo della sentenza di primo grado relativo alla compensazione delle spese di lite.

Esaurita la rappresentazione delle ragioni di doglianza, riportate nella loro essenzialità, si deve evidenziare come ciascuna di esse, pur articolata sotto il duplice profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, sia stata però accompagnata dal solo quesito di diritto attinente alla violazione di legge. Ne deriva l’inammissibilità del profilo, attinente al vizio motivazionale, non accompagnato nella specie dal prescritto momento di sintesi, (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, oltre a richiedere sia l’indicazione del fatto controverso, riguardo al quale si assuma l’omissione, la contraddittorietà o l’insufficienza della motivazione sia l’indicazione delle ragioni per cui la motivazione sarebbe inidonea a sorreggere la decisione (Cass. ord. n. 16002/2007, n. 4309/2008 e n. 4311/2008). E ciò, alla luce dell’orientamento di questa Corte secondo cui “in caso di proposizione di motivi di ricorso per cassazione formalmente unici, ma in effetti articolati in profili autonomi e differenziati di violazioni di legge diverse, sostanziandosi tale prospettazione nella proposizione cumulativa di più motivi, affinchè non risulti elusa la “ratio” dell’art. 366-bis cod. proc. civ., deve ritenersi che tali motivi cumulativi debbano concludersi con la formulazione di tanti quesiti per quanti sono i profili fra loro autonomi e differenziati in realtà avanzati, con la conseguenza che, ove il quesito o i quesiti formulati rispecchino solo parzialmente le censure proposte, devono qualificarsi come ammissibili solo quelle che abbiano trovato idoneo riscontro nel quesito o nei quesiti prospettati, dovendo la decisione della Corte di cassazione essere limitata all’oggetto del quesito o dei quesiti idoneamente formulati, rispetto ai quali il motivo costituisce l’illustrazione. (S.U. 5624/09, Cass. 5471/08) Passando all’esame del profilo delle violazioni di legge, deve innanzitutto avvertirsi che le prime tre doglianze vanno trattate unitariamente a ragione dell’intima connessione che le unisce, essendo tutte sostanzialmente fondate sul preteso mancato assolvimento dell’onere di specifica contestazione, da parte del resistente locatore. A riguardo, appare opportuno premettere che, con sentenza n. 761 del 2002, le Sezioni Unite statuirono che nel nostro ordinamento era ravvisabile un onere generale di contestazione dei fatti dedotti dalla controparte, principio che trovava fondamento normativo in primo luogo negli artt. 167 e 416 c.p.c. e nel D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 4. Tale orientamento fu ribadito dalla successiva giurisprudenza delle Sezioni Unite, in tema di controversia di lavoro, con la precisazione che la contestazione deve “riguardare i fatti da accertare nel processo”. Infatti, la mancata contestazione del “fatto costitutivo del diritto” rappresenta, di per sè, l’adozione di una linea difensiva incompatibile con la negazione del fatto, rendendo inutile provarlo, mentre non è formulabile una identica conclusione riguardo ai “fatti dedotti in esclusiva funzione probatoria” perchè essi “hanno una rilevanza che si esaurisce sul piano istruttorie”, operando sulla formazione del convincimento del giudice stesso ai fini degli accertamenti richiestigli (Sez. Un. 11353/04). Solo con la novella di cui alla L. n. 69 del 2009 è stato infine codificato il principio di non contestazione, previa modifica dell’art. 115 c.p.c., comma 1 “salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero” con l’aggiunta della frase “nonchè i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita”. Ne deriva che, solo con riferimento ai giudizi instaurati dopo la riforma, la circostanza che una parte ometta di prendere posizione circa i fatti allegati dalla controparte o comunque ometta di contestarli specificatamente permette al giudice di reputarli veri senza bisogno di prova. Ma non è questo il caso che interessa il presente giudizio.

Ciò premesso, appare pertanto evidente che nel caso di specie la mancata contestazione, da parte del locatore, dovendo concernere il fatto costitutivo del diritto all’avviamento commerciale di cui alla L. n. 392 del 1978, artt. 34 e 35 avrebbe dovuto riguardare il fatto che l’immobile locato fosse, non solo, adibito ad agenzia di assicurazione ma anche “utilizzato come luogo aperto alla frequentazione diretta e strumentalmente negoziale della generalità originariamente indifferenziata dei destinatari ultimi dell’offerta dei beni o dei servizi” (così Cass. n. 10885/93 in tema di agenzia assicurativa adibita all’incontro tra i produttori, senza orario di accesso del pubblico, con frequentazione solo di alcuni utenti che si recavano a pagare i premi). E ciò, in quanto l’attività di agenzia di assicurazione, di per sè sola, non consente di ritenere con assoluta certezza che nello specifico sia stata strutturata in modo da contare sul diretto accesso dei consumatori.

Ne deriva che la mancata contestazione specifica, da parte del locatore, sul punto dell’agenzia assicurativa, ove anche ci fosse stata – ma la circostanza è esclusa dal resistente così come sarà evidenziato in seguito – non avrebbe comunque fornito elementi decisivi al fine di ritenere provato il fatto costitutivo del diritto all’avviamento commerciale, esercitato dal conduttore, in quanto l’esercizio dell’attività di agenzia assicurativa, ove anche ritenuto vero per difetto di contestazione, non avrebbe significato lo svolgimento di attività necessariamente comportante (Ndr: testo originale non comprensibile) con il pubblico dei consumatori.

Sotto questo profilo non merita quindi censura la tesi della Corte di appello quando ha affermato che l’appellante non aveva assolto l’onere probatorio che le incombeva, “soprattutto a fronte della dizione contenuta nella clausola 16 (aggiunta al modulo a stampa e quindi particolarmente significativa), secondo cui “il locale è stato sempre affittato ad uso ufficio e pertanto si affitta per lo stesso uso”. E ciò, in quanto l’espressione adottata dai contraenti “ad uso ufficio”, contrariamente alla tesi della ricorrente, suggerisce lo svolgimento di un’attività interna e meramente amministrativa, non comportante contatti con il pubblico dei consumatori.

Ma, come è stato già osservato, v’è di più .in quanto il locatore, sin dal primo atto difensivo, aveva affermato che, per quanto sapeva, all’interno dell’immobile si svolgeva attività di uso ufficio e chiese ” il rigetto della domanda in quanto alla conduttrice non spettava indennità di avviamento sia perchè la stessa aveva liberato l’immobile con ritardo di sei mesi rispetto alla scadenza sia perchè non era provata la destinazione dei locali all’esercizio di attività commerciale comportante contatto con il pubblico” (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata). Alla stregua di tutte le pregresse considerazioni, ne deriva pertanto l’infondatezza delle doglianze esaminate. Passando all’esame della quarta censura, basata sulla considerazione che la Corte di Appello avrebbe sbagliato quando ha ritenuto che la ricorrente avrebbe dovuto presentare le proprie richieste istruttorie (dirette a dimostrare che la Toro assicurazioni ebbe ad utilizzare sin dall’inizio l’immobile come agenzia assicurativa) nel ricorso e non già in sede di memoria di replica alla memoria di costituzione avversaria, deve evidenziarsi che anche tale censura è infondata. A riguardo, giova sottolineare che questa Corte con indirizzo ormai consolidato ha avuto modo di affermare il principio secondo cui il ricorrente è tenuto ad indicare in ricorso i mezzi di prova, che devono essere specificati così come prescritto dall’art. 414 c.p.c., n. 5 e che l’omessa indicazione dei mezzi di prova comporta la decadenza dalla possibilità di successiva deduzione delle prove nel corso del processo. (ex multis Cass. 22305/07).

Resta da esaminare l’ultimo motivo di impugnazione, con cui parte ricorrente lamenta che la Corte territoriale avrebbe altresì sbagliato quando ha ritenuto che il rigetto dei primi motivi di impugnazione assorbisse il terzo autonomo motivo con cui era stato impugnato il capo della sentenza di primo grado relativo alla compensazione delle spese di lite. Ciò in assenza di una parziale soccombenza del resistente ed in assenza di una logica ed espressa motivazione.

Anche tale censura appare infondata. Ed invero, deve richiamarsi l’attenzione su un duplice rilievo: 1) il giudizio di primo grado, contrariamente all’assunto della ricorrente, aveva visto la reciproca soccombenza di entrambe le parti, essendo state rigettate sia la domanda dì pagamento dell’indennità commerciale avanzata dalla ricorrente conduttrice sia la domanda di risarcimento danni proposta dal locatore G.; 2) il giudizio di appello ha visto il rigetto dell’impugnazione proposta dalla conduttrice con la conferma quindi della sentenza di primo grado e delle ragioni che avevano giustificato la compensazione delle spese.

Ciò posto, ne deriva che la motivazione addotta sul punto dalla Corte di merito, racchiusa nella proposizione ” il motivo, attinente alla disposta compensazione delle spese da parte del primo giudice è all’evidenza superato dal rigetto conseguente alla ritenuta infondatezza dei precedenti motivi di doglianza” – così scrivono i giudici di seconde cure – deve essere ritenuta, sia pure per implicito, assolutamente esaustiva e sufficiente consentendo di desumere chiaramente dal suo complesso le ragioni giustificatrici fondate sulla conferma di quella reciproca soccombenza delle parti pronunziata in primo grado, che aveva a sua volta giustificato la compensazione disposta dal giudice di primo grado. Del resto, è appena il caso di sottolineare che, in materia di governo di spese, la valutazione operata dal giudice di merito può essere censurata in cassazione solo se le spese sono poste a carico della parte totalmente vittoriosa ovvero quando la motivazione sia illogica e contraddittoria e tale da inficiare, per inconsistenza o erroneità, il processo decisionale oppure che siano state effettuate liquidazioni non rispettose delle tariffe professionali, ipotesi non ricorrenti nella specie.

Considerato che la sentenza impugnata appare esente dalle censure dedotte ne consegue che il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in Euro 1.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 24 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2011

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