Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15475 del 03/06/2021

Cassazione civile sez. lav., 03/06/2021, (ud. 10/02/2021, dep. 03/06/2021), n.15475

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18532/2019 proposto da:

COMUNE DI RAVANUSA, in persona del Sindaco pro tempore, domiciliato

in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMILIANO

MARINELLI;

– ricorrente principale –

contro

C.C., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa

dall’avvocato GABRIELE GIGLIO;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 136/2019 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 14/03/2019 R.G.N. 735/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/02/2021 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE Giovanni, che ha concluso per accoglimento del ricorso

principale, rigetto dell’incidentale;

udito l’Avvocato MASSIMILIANO MARINELLI;

udito l’Avvocato GABRIELE GIGLIO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Palermo, con sentenza n. 136/2019, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Agrigento, dichiarava che a far data dal 18/4/2014 C.C. era transitata alle dipendenze del Comune di Ravanusa alle medesime condizioni giuridiche ed economiche esistenti presso la soppressa Istituzione pubblica di assistenza e beneficenza (di seguito “IPAB”) denominata Istituto di Ricovero (OMISSIS).

La C. era stata dipendente a tempo indeterminato dell’IPAB fin dal 1989. Con decreto del Presidente della Regione Sicilia del 27/3/2014 l’Istituto era stato estinto come previsto dalla L.R. n. 22 del 1986, art. 34, che, al comma 2, aveva previsto la devoluzione al Comune dei beni patrimoniali ed anche l’assorbimento del personale dipendente, con salvezza dei diritti acquisiti in rapporto al maturato economico. Assumeva la ricorrente di aver continuato a svolgere la medesima attività lavorativa in seguito all’estinzione senza tuttavia ricevere la retribuzione poichè il Comune non aveva ottemperato all’obbligo di assorbimento. Aveva perciò chiesto che fosse dichiarato il suo diritto a proseguire nel rapporto alle dipendenze del Comune con condanna di quest’ultimo al pagamento di tutte le retribuzioni maturate dal 18/4/2014 nonchè al risarcimento dei danni.

2. Il Tribunale aveva dichiarato il diritto della C. ad essere assunta con rapporto di lavoro a tempo indeterminato dal Comune di Ravanusa con decorrenza dal 18/4/2014 ed alle medesime condizioni giuridiche ed economiche dalla stessa godute fino alla suddetta data presso l’IPAB oltre che al pagamento delle retribuzioni.

3. La Corte territoriale in solo parziale riforma di tale pronuncia, in luogo dell’affermato diritto all’assunzione dal 18/4/2014, affermava che da tale data la C. era transitata alle dipendenze del Comune di Ravanusa alle medesime condizioni di cui godeva alle dipendenze del soppresso IPAB.

Riteneva che fosse configurabile, nel caso di specie, una successione del Comune in universum ius. Richiamava, sull’interpretazione in tal senso della L.R. n. 22 del 1986, art. 34, la pronuncia della Sezione delle autonomie della Corte dei Conti per la Regione Siciliana n. 316 del 2015.

Quanto alla concreta applicazione di tale norma riteneva, da una parte, che non potevano avere alcuna incidenza sulla vicenda successoria i vincoli di finanza pubblica imposti dal legislatore con il patto di stabilità, tenuto conto, nella specie, del carattere cogente e non discrezionale del trasferimento del personale all’ente locale e quindi del relativo incremento di spesa (con effetto derogatorio dei vincoli assunzionali nell’esercizio finanziario interessato dal trasferimento dei dipendenti e necessità per l’ente locale di rispettare le disposizioni relative ai limiti di spesa per gli anni a venire). Dall’altra parte, però, evidenziava che, dovendosi interpretare l’art. 34 della L.R. in maniera costituzionalmente orientata, l’assorbimento era possibile solo nei limiti in cui il personale interessato fosse stato reclutato tramite pubblico concorso.

Evidenziava che la C. era stata assunta alle dipendenze dell’IPAB con pubblico concorso e, di conseguenza, respinto l’appello del Comune, emendava, in accoglimento dell’impugnazione incidentale della dipendente, la sentenza di prime cure solo nella parte in cui aveva disatteso la domanda volta all’accertamento dell’avvenuto transito.

4. Per la cassazione della sentenza il Comune di Ravanusa ha proposto ricorso sulla base di due motivi.

5. C.C. ha resistito con controricorso e proposto, altresì, ricorso incidentale.

6. Entrambe le parti hanno depositato memorie. In particolare, la C. ha allegato alla propria memoria atto di intervento ad opponendum da parte di taluni dipendenti del soppresso Istituto nel giudizio per ricorso straordinario al Presidente della Regione instaurato dal Comune di Ravanusa al fine di ottenere l’annullamento del decreto del Presidente della Regione Sicilia n. 67 del 2014 con il quale è stata disposta l’estinzione dell’Istituto.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il Comune ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione della L.R. 9 maggio 1986, n. 22, art. 24 e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30.

Censura l’interpretazione della Corte territoriale nel senso di un obbligo di assorbimento anche in assenza di posti in organico scoperti e sostiene che la stessa esporrebbe la norma a profili di incostituzionalità.

2. Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere ritenuto infondata la questione di costituzionalità della L.R. n. 22 del 1986, art. 34, per violazione dell’art. 114 Cost., art. 117 Cost., lett. e), artt. 118 e 119 Cost., del patto di stabilità e quindi dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e ripropone tale questione sotto plurimi profili specialmente evidenziando che una normativa regionale non può imporre ad un ente locale l’assunzione di personale, senza tener conto dei principi fondamentali propri della legislazione statale (tra cui assume valore essenziale quello secondo il quale le assunzioni possono avvenire solo in presenza di un posto effettivamente vacante).

3. Nelle more del giudizio la Corte costituzionale, con la sentenza 6 luglio 2020, n. 135, ritenendo fondata la questione di costituzionalità prospettata dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana in termini del tutto analoghi a quelli di cui all’analoga questione posta dall’odierno ricorrente, ha dichiarato, l’illegittimità costituzionale della L.R. Siciliana 9 maggio 1986, n. 22, art. 34, comma 2 (Riordino dei servizi e delle attività socio-assistenziali in Sicilia), nella parte in cui prevede: “e i beni patrimoniali sono devoluti al comune, che assorbe anche il personale dipendente, facendone salvi i diritti acquisiti in rapporto al maturato economico”, per violazione dei principi di autonomia finanziaria degli enti locali, di corrispondenza tra risorse e funzioni, dell’equilibrio di bilancio e di buon andamento della pubblica amministrazione (di cui, rispettivamente all’art. 119 Cost., comma 1 e all’art. 15, comma 2, dello statuto della Regione Siciliana, all’art. 119 Cost., commi 4 e 5, art. 119 Cost., commi 1 e 6 e all’art. 97 Cost.).

4. La declaratoria d’incostituzionalità della norma proprio nella parte su cui la controricorrente ha fondato la propria domanda ha fatto venire meno il substrato giuridico costituito dall’assunzione ope legis da parte del Comune di ogni rapporto attivo e passivo facente capo all’IPAB e dall’assorbimento del personale nei termini ivi indicati.

Si ricorda, al riguardo, che le pronunce di accoglimento del giudice delle leggi – dichiarative di illegittimità costituzionale – eliminano la norma con effetto “ex tunc”, con la conseguenza che essa non è più applicabile, indipendentemente dalla circostanza che la fattispecie sia sorta in epoca anteriore alla pubblicazione della decisione, perchè l’illegittimità costituzionale ha per presupposto l’invalidità originaria della legge – sia essa di natura sostanziale, procedimentale o processuale – per contrasto con un precetto costituzionale, fermo restando il principio che gli effetti dell’incostituzionalità non si estendono esclusivamente ai rapporti ormai esauriti in modo definitivo, per avvenuta formazione del giudicato o per essersi verificato altro evento cui l’ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo, ovvero per essersi verificate preclusioni processuali, o decadenze e prescrizioni non direttamente investite, nei loro presupposti normativi, dalla pronuncia d’incostituzionalità (v. Cass. 7 luglio 2016, n. 13884; Cass. 20 novembre 2012, n. 20381; Cass. 6 maggio 2010, n. 10598; Cass. 18 luglio 2006, n. 16450).

5. Tale affermazione non è, nello specifico, ostacolata dalla posizione difensiva della C..

6. Quest’ultima propone sette motivi di ricorso incidentale che, variamente articolati (violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 1, artt. 324 e 329 c.p.c., art. 7 cod. proc. amm., D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 37 c.p.c., D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, art. 416 c.p.c., comma 2), ruotano intorno alla asseritamente mancata dichiarazione di inammissibilità o di infondatezza del terzo motivo di appello del Comune con la connessa domanda di disapplicazione del D.P.R.S. n. 67 del 2014, perchè la Corte territoriale non avrebbe rilevato la preclusione del motivo e della domanda in appello, derivante anche dal fatto che ormai il provvedimento amministrativo di estinzione dell’IPAB era diventato inoppugnabile per effetto del rigetto del ricorso straordinario al Presidente della Regione proposto dal Comune.

7. Con ulteriori due motivi di ricorso incidentale la C. censura la sentenza impugnata per non essersi pronunciata sulle eccezioni di irrilevanza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, sollevata ex adverso, eccezioni che ripropone.

8. Il ricorso incidentale, in tutti i motivi in cui è articolato, è inammissibile.

Va rilevato, infatti, che essendo stata la ricorrente incidentale vittoriosa nel giudizio di appello e riguardando le censure di cui ai primi sette motivi solo uno dei motivi di impugnazione del Comune e non l’ammissibilità del gravame nel suo complesso sussiste, in sè, una carenza di interesse a tale ricorso incidentale (v. Cass. 21 febbraio 2014, n. 4130; Cass. 29 marzo 2005, n. 661; Cass. 13 gennaio 2006, n. 640; Cass., Sez. Un., 25 maggio 2018, n. 13195; Cass. 13 luglio 2018, n. 18648; Cass. 23 luglio 2018, n. 19503).

Stesso discorso vale per gli ulteriori due motivi del ricorso incidentale relativi all’asserita mancata considerazione delle eccezioni opposte dalla C. alla sollevata questione di legittimità costituzionale della L.R. n. 22 del 1986, art. 34, visto che anche in relazione a tale questione la predetta era risultata vittoriosa (si consideri, peraltro, che qualora, come nella specie, ricorrano gli estremi di una reiezione di una questione sulla base di argomentazioni diverse da quelle oggetto di eccezione, non è configurabile il vizio di omessa pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c., che si riscontra soltanto allorchè manchi una decisione in ordine a una domanda a o a un assunto che renda necessaria una statuizione di accoglimento); in ogni caso i suddetti motivi sono assorbiti dalla sopravvenuta pronuncia di incostituzionalità della norma.

9. Gli argomenti spesi nel ricorso incidentale devono, peraltro, essere valutati da questa Corte in relazione alla applicabilità nella controversia della sopravvenuta dichiarazione di incostituzionalità.

10. Anche sotto questo profilo, però, le doglianze sono inammissibili.

11. Quanto all’asserita definitività della pronuncia di rigetto del ricorso straordinario proposto dal Comune al Presidente della Regione Siciliana avverso il D.P.R.S. n. 67 del 2014, va evidenziata la carenza di specificità del rilievo che non riproduce il contenuto nè del D.P.R.S. nè del provvedimento asseritamente intervenuto in sede di ricorso straordinario.

Di tale provvedimento amministrativo, inoltre, non è fornito alcun elemento che possa far derivare dallo stesso un diritto quesito in capo alla controricorrente, specie considerando che il Comune assume che si sia trattato di un atto a carattere generale che si limitava a predisporre quanto necessario ai fini del passaggio, conseguente all’estinzione, del personale del soggetto estinto alle dipendenze dell’Ente locale, con la necessità che tale predisposizione fosse seguita dall’adozione di ulteriori atti e senza, dunque, che quello impugnato potesse aver già costituito ex se alcun rapporto di lavoro, trattandosi di atto che aveva solo definito una fase prodromica rispetto a quella della costituzione del rapporto (è di tutta evidenza, del resto, che si trattava di un atto del Presidente della Regione Siciliana e non del Comune).

Nè, d’altra parte, la C. ha in alcun modo documentato di essere stata parte del giudizio di impugnazione di detto provvedimento così da potersi avvalere del preteso giudicato (inammissibile essendo – v. ex multis Cass. 12 novembre 2018, n. 28999 – la produzione effettuata in sede di memoria ex art. 378 c.p.c., dell’atto di intervento ad opponendum che si assume proposto in sede del suddetto giudizio, tra gli altri, dalla C.).

Senza dire che un giudicato in senso tecnico sarebbe configurabile a fronte di un annullamento di un provvedimento espressione di discrezionalità non anche in caso di ritenuta infondatezza di specifici (e circoscritti) rilievi impugnatori relativi allo stesso.

12. La sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale fa, come detto, salvi solo i rapporti esauriti intendendosi per tali quelli in relazione ai quali siano intervenute sentenze passate in giudicato (e così le sentenze passate in giudicato inter partes che abbiano definitivamente accertato il diritto di assunzione del singolo lavoratore) ovvero altri fatti ed atti, parimenti rilevanti sul piano sostanziale o processuale, che producono il medesimo effetto giuridico.

In mancanza di un rapporto esaurito nei termini indicati, non vi è alcun ostacolo all’inapplicabilità alla fattispecie della norma eliminata ex nunc dal giudice costituzionale.

Anche la “permanenza in vita” del sopra richiamato D.P.R.S. n. 67 del 2014, per effetto del rigetto del ricorso al Presidente della Regione Siciliana proposto dal Comune, deve fare i conti con la sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità della norma posta a base dell’adozione dello stesso, cui anche la Pubblica Amministrazione deve conformarsi.

13. Vale la pena di richiamare del D.L. n. 98 del 2011, art. 16, conv. in L. n. 111 del 2001, che ha dettato all’art. 16 disposizioni per il contenimento della spesa pubblica prevedendo, al comma 8, che: “I provvedimenti in materia di personale adottati dalle pubbliche amministrazioni di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2, ed in particolare le assunzioni a tempo indeterminato, incluse quelle derivanti dalla stabilizzazione o trasformazione di rapporti a tempo determinato, nonchè gli inquadramenti e le promozioni posti in essere in base a disposizioni delle quali venga successivamente dichiarata l’illegittimità costituzionale sono nulle di diritto e viene ripristinata la situazione preesistente a far data dalla pubblicazione della relativa sentenza della Corte Costituzionale. Ferma l’eventuale applicazione dell’art. 2126 c.c., in relazione alle prestazioni eseguite, il dirigente competente procede obbligatoriamente e senza indugio a comunicare agli interessati gli effetti della predetta sentenza sul relativo rapporto di lavoro e sul correlato trattamento economico e al ritiro degli atti nulli”.

14. Va, altresì, ricordato che, come da questa Corte già affermato (v. Cass. 7 luglio 2016, n. 13884), non può essere ravvisata una situazione giuridica irrevocabile o esaurita a fronte di un rapporto che sia ancora in atto e che sia sorto per effetto della norma dichiarata incostituzionale. Diversamente opinando si finirebbe per mortificare gli interessi che le norme costituzionali, rispetto alle quali è stata effettuata la valutazione del giudice delle leggi, mirano a salvaguardare.

15. Il ricorso principale deve, in conseguenza, essere accolto, assorbite le altre censure, e deve essere dichiarato inammissibile il ricorso incidentale.

La sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la controversia può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto della domanda originaria.

16. Il recente intervento della Corte costituzionale in uno all’orientamento espresso dai giudici di merito inducono questa Corte a ritenere sussistenti le ragioni di cui all’art. 92 c.p.c., comma 2, per compensare tra le parti le spese dell’intero processo.

17. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass., Sez. Un., 20 febbraio 2020, n. 4315, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente incidentale.

PQM

La Corte accoglie il ricorso principale e dichiara l’inammissibilità di quello incidentale, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta l’azionata domanda; compensa tra le parti le spese dell’intero processo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2021

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