Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15473 del 14/07/2011

Cassazione civile sez. III, 14/07/2011, (ud. 24/05/2011, dep. 14/07/2011), n.15473

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11654/2006 proposto da:

M.W., OTL ORGANIZZAZIONE TRASP LOGISTICA S.R.L.

(OMISSIS) in persona dell’amministratore unico e legale

rappresentante C.C., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato

MANZI LUIGI, che li rappresenta e difende giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

contro

G.N. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA BELSIANA 71, presso lo studio dell’avvocato OCCHIPINTI

MARIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PUSATERI

RAIMONDO giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 46/2005 della CORTE D’APPELLO di TRENTO

SEZIONE DISTACCATA DI BOLZANO, emessa il 16/2/2005, depositata il

01/03/2005 R.G.N. 91/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/05/2011 dal Consigliere Dott. PAOLO D’AMICO;

udito l’Avvocato ALBINI CARLO (per delega dell’Avv. MANZI LUIGI);

udito l’Avvocato DELL’ERBA GIUSEPPE (per delega dell’Avv. OCCHIPINTI

MARIO);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso con il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La OTL – Organizzazione Trasporti Logistica – s.r.l. e M. W. convenivano in giudizio G.N. chiedendo al tribunale di Bolzano di dichiarare la nullità ovvero statuire l’annullamento dell’accordo inter partes del 29 marzo 2000 e della successiva transazione del 7 ottobre 2000, con conseguente condanna del convenuto alla restituzione degli importi percepiti in virtù della suddetta transazione.

Esponevano gli attori che:

– in virtù di un primo negozio concluso il 29 marzo 2000 la società OTL s.r.l. aveva conferito a G.N. sia l’incarico di “consulenza e assistenza” per la vendita di beni immobili, sia l’incarico di acquistare, con il ricavato, altro immobile in nome e per conto della stessa società;

– poichè nè la vendita nè il successivo acquisto di altro immobile per conto della società erano stati realizzati, al fine di definire i loro rapporti la società e G.N. in via transattiva, con negozio concluso il 7 ottobre 2000, fissavano in lire cento milioni di lire il compenso riconosciuto dalla società al G. per l’attività da lui prestata;

detto compenso era corrisposto con due assegni bancari.

Tanto premesso, gli attori reclamavano la restituzione della somma da ciascuno di essi corrisposta, assumendo che l’intervenuto accordo transattivo era nullo ai sensi dell’art. 1972 c.c., comma 2, in quanto non poteva formare oggetto di transazione il pregresso negozio, che – supponendo la sussistenza di un contratto di mediazione con soggetto non iscritto al relativo albo dei mediatori, come tale assoggettato alla disciplina della L. 3 febbraio 1989, n. 39, – era assolutamente nulla la clausola che riconosceva il compenso del mediatore in ispregio alla disposizione della stessa L. n. 39 del 1989, art. 6.

Si costituivano i convenuti, che contrastavano la domanda, che il tribunale adito accoglieva, dichiarando la nullità dell’accordo transattivo e condannando G.N. alla restituzione dell’importo di Euro 25.822,84 a favore della società OTL s.r.l. e dell’importo di Euro 30.987,41 a favore di M..

Sul gravame del soccombente provvedeva la Corte di appello di Trento nella sezione distaccata di Bolzano, che, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda proposta dalla società OTL s.r.l. e da M.W.; considerava assorbito in detta pronuncia l’appello incidentale, con cui gli attori in primo grado avevano censurato la pronuncia del tribunale quanto alla decorrenza degli interessi sugli importi ad essi riconosciuti in primo grado;

compensava interamente tra le parti le spese del doppio grado del giudizio.

Ai fini che ancora interessano la Corte d’appello così stabiliva:

– respingeva l’eccezione d’inammissibilità del gravame per genericità dei motivi, rilevando che le doglianze dell’appellante erano bene idonee a fare comprendere le censure proposte;

– negava l’eccepita sussistenza di un giudicato interno ed escludeva che la sentenza di primo grado avesse pronunciato l’annullamento, ex art. 1972 c.c., comma 2, della clausola ricognitiva del compenso di mediazione;

– rilevava che il titolo in virtù del quale erano stati pagati al G. gli assegni doveva rinvenirsi nella transazione del 7 ottobre 2000 e non nella precedente convenzione del 29.3.2000, escludendo, al riguardo, che quest’ultima fosse nulla;

– riteneva, quindi, che il tribunale non avrebbe dovuto accogliere le domande di restituzione delle somme, queste essendo state corrisposte in adempimento di transazione valida ed efficace.

Propongono ricorso per cassazione la società OTL s.r.l. e M.W., con cinque motivi, illustrati anche con memoria.

Resiste con controricorso G.N..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i primi tre motivi del ricorso la società OTL s.r.l. e M.W. denunciano:

1) “nullità della sentenza e del procedimento di secondo grado (art. 360 c.p.c., n. 4) per violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 324 c.p.c.”;

2) “nullità della sentenza e del procedimento di secondo grado per violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 324 c.p.c.”;

3) “nullità della sentenza e del procedimento di secondo grado per violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 324 c.p.c.”.

Lamentano i ricorrenti che la Corte di merito avrebbe immotivatamente disatteso l’eccezione di genericità dell’appello, i cui motivi non sarebbero stati fondati su un supporto argomentativo idoneo a confutare le ragioni addotte dal primo giudice, essendosi trattato di mera riproposizione delle difese svolte in primo grado, specie sul punto relativo alla nullità dell’accordo del 29 marzo 2000.

Aggiungono che la motivazione della gravata sentenza si articolava in più rationes decidendi, non tutte investite da specifica censura, non avendo l’appellante impugnato quella parte della sentenza del tribunale che aveva ritenuto la transazione, ai sensi dell’art. 1972 c.c., comma 2, questione sulla quale si sarebbe formato il giudicato.

I motivi, da esaminare congiuntamente perchè connessi ed interdipendenti, non possono essere accolti.

Il principio della specificità dei motivi di impugnazione – richiesta dagli artt. 342 e 434 c.p.c., per l’individuazione dell’oggetto della domanda d’appello e per stabilire l’ambito entro il quale deve essere effettuato il riesame della sentenza impugnata – impone all’appellante di individuare con chiarezza le statuizioni investite dal gravame e le censure in concreto mosse alla motivazione della sentenza di primo grado, accompagnandole con argomentazioni che confutino e contrastino le ragioni addotte dal primo giudice, così da incrinarne il fondamento logico-giuridico. Peraltro, la verifica dell’osservanza dell’onere di specificazione non è direttamente effettuabile dal giudice di legittimità, dacchè interpretare la domanda – e, dunque, anche la domanda di appello – è compito del giudice di merito e implica valutazioni di fatto che il giudice di legittimità – così come avviene per ogni operazione ermeneutica – ha il potere di controllare soltanto sotto il profilo della giuridica correttezza del relativo procedimento e della logicità del suo esito (ex plurimis: Cass., 1 febbraio 2007, n. 2217).

Nel caso in esame la Corte d’appello ha bene ed esaustivamente spiegato come le doglianze dell’appellante erano idonee a consentire di individuare la ragione per cui la parte appellante riteneva ingiusta la decisione del tribunale, onde a detta motivazione nessun rilievo critico di illogicità può in questa sede essere opposto.

Per quanto riguarda, poi, la supposta duplicità delle rationes decidendi la Corte d’appello ha, inoltre, evidenziato che con il gravame era stato sottoposto a censura l’intero argomento logico esposto nel capo della pronuncia di primo grado, compresa specificamente anche la questione relativa all’incidenza della nullità della clausola sulla intervenuta transazione in ordine alla determinazione del compenso per l’attività svolta dal G., sicchè anche su tale punto era del tutto fuori luogo invocare la sussistenza di un preteso giudicato interno.

Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano la violazione e la falsa applicazione della L. 3 febbraio 1989, n. 39, artt. 2, 6 e 8, e art. 1418 c.c..

Sostengono che l’esercizio dell’attività di mediazione da parte di soggetto non abilitato determina la nullità del contratto di mediazione e che il fondamento della nullità va individuato nella violazione dell’art. 1418 c.c., comma 1.

Precisano che il fatto che la L. n. 39 del 1989, art. 2, comma 1, art. 6, comma 1, e art. 8, commi 1 e 2, non facciano cenno alla nullità del contratto di mediazione non è d’ostacolo all’affermazione della nullità medesima, posto che all’uopo soccorrerebbe l’art. 1418 c.c., che apre la via alla nullità virtuale, per cui non rileva la mancata espressa disposizione sul punto.

In ogni caso, richiamando come favorevole alla loro domanda di restituzione la motivazione della sentenza del tribunale circa la nullità del titolo riferito all’obbligazione del pagamento della provvigione (come è dato espressamente evincere da quella parte del relativo motivo, innanzi esaminato sotto un diverso profilo) ribadiscono che, quando anche fosse da escludere la nullità dell’intero contratto di mediazione, essendo nulla ex lege l’obbligazione relativa al pagamento della mediazione a soggetto non iscritto al relativo albo, la transazione sarebbe stata conclusa relativamente ad un ed, titolo nullo, il che, in base alla norma dell’art. 1972 c.c., comma 2, autorizzava la parte, che detta causa di nullità ignorava, a far valere l’annullamento della transazione stessa.

Il motivo deve essere accolto.

La Corte territoriale ha escluso l’ipotizzabilità, nella specie, della norma di cui all’art. 1972 c.c., perchè, in caso di attività di intermediazione prestata da soggetto non iscritto al relativo albo professionale, il contratto non è viziato da nullità, “comportando quella violazione solo la non insorgenza del diritto alla provvigione e l’applicazione della sanzione amministrativa ovvero, in caso di recidiva, l’applicazione della pena prevista per l’esercizio abusivo della professione”.

Il giudice di secondo grado ha, poi, affermato che “difettando lo stesso presupposto della domanda formulata in primo grado dagli attori, il giudice adito non avrebbe potuto accogliere la pretesa di disporre la restituzione delle somme corrisposte in adempimento di un titolo (la transazione) che va considerata valida ed efficace, appunto perchè si sostituisce – del tutto legittimamente – ad altro titolo che, quand’anche fosse vero l’assunto degli odierni appellanti e lo si volesse qualificare come contratto di conferimento dell’incarico di mediazione, sarebbe rimasto comunque valido, se pure non idoneo a produrre l’efficacia che l’odierno appellato si riprometteva, e cioè strumento per l’adempimento dell’obbligazione pecuniaria in suo favore”.

Le suddette argomentazioni, in tema di interpretazione della norma di cui all’art. 1972 c.c., non possono essere condivise.

Occorre, anzitutto, premettere che, nella fattispecie in esame, la transazione trova come suo presupposto un negozio di mediazione cosiddetta atipica, che, secondo l’indirizzo interpretativo di questa Corte, viene a configurarsi, accanto alla mediazione ordinaria, quale contratto a prestazioni corrispettive, con riguardo anche ad una soltanto delle parti interessate (c.d. mediazione unilaterale).

Tale ipotesi ricorre nel caso in cui una parte, volendo concludere un affare, incarichi altri di svolgere un’attività intesa alla ricerca di una persona interessata alla conclusione del medesimo affare a determinate, prestabilite condizioni.

Essa rientra nell’ambito di applicabilità della disposizione prevista dalla L. n. 39 del 1989, art. 2, comma 4, che, per l’appunto, disciplina anche ipotesi atipiche di mediazione, stante la rilevanza, nell’atipicità, che assume il connotato della mediazione, alla quale si accompagna l’attività ulteriore in vista della conclusione dell’affare.

In tale più ampio contesto dell’attività di intermediazione, anche per l’esercizio dell’attività atipica di mediazione è richiesta l’iscrizione nell’albo degli agenti di affari in mediazione, di cui al menzionato art. 2 della citata L. n. 39 del 1989, con la conseguenza che il suo svolgimento, in difetto di tale condizione, esclude, ai sensi dell’art. 6 della stessa legge, il diritto alla provvigione (Cass., 5 settembre 2006, n. 19066).

Orbene, se anche per l’attività atipica di mediazione vale il principio che la necessità dell’iscrizione nell’albo professionale è prevista per l’insorgenza del diritto alla provvigione (L. n. 39 del 1989, art. 6), dalla mancata iscrizione non deriva, però, la nullità di tale contratto, perchè, – come pure questo giudice di legittimità ha già sancito (Cass., 27 giugno 2002, n. 9380; Cass., 5 settembre 2006, n. 19066) – la violazione di una norma imperativa, ancorchè sanzionata penalmente, non da luogo necessariamente alla nullità del contratto, comportando quella violazione solo la non insorgenza del diritto alla provvigione e l’applicazione della sanzione amministrativa ovvero, in caso di recidiva, l’applicazione della pena prevista per l’esercizio abusivo della professione.

Tuttavia, se resta esclusa per tale ragione l’applicabilità dell’art. 1972 c.c., comma 1, (nel senso che la transazione non trova la preclusione della nullità dell’intero contratto), ciò non significa anche che non possa, per altro verso, ravvisarsi proprio nella nullità dell’obbligazione relativa alla spettanza della provvigione, la sussistenza del c.d. “titolo nullo” comportante l’annullabilità della transazione (secondo la previsione del secondo comma della stessa norma) qualora essa si sia perfezionata nell’ignoranza della suddetta causa di nullità.

Nel caso in esame, sulla scorta dell’enunciato principio, deve pertanto accogliersi il quarto mezzo di doglianza, in quanto, accertato che la mancata iscrizione all’albo dei mediatori professionali comportava per il resistente G. la mancata spettanza della provvigione stante la nullità ex lege della relativa attribuzione ai sensi dell’art. 1418 c.c., comma 1, (Cass., 3 novembre 2000, n. 14381), il giudice del merito avrebbe dovuto esaminare se, nella sussistenza delle altre condizioni di merito e di rito per l’applicazione della norma, per la stipulata transazione ricorreva la prevista annullabilità ai sensi dell’art. 1972 c.c., comma 2.

L’accoglimento del quarto motivo comporta l’assorbimento del quinto con il quale si denuncia “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 324, 333 e 346 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto relativo alla restituzione della somma riscossa dal G. in base alla transazione.

In conclusione, rigettati i primi tre motivi del ricorso e dichiarato assorbito il quinto, in accoglimento del quarto mezzo di doglianza la sentenza impugnata è cassata con rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Trento in diversa composizione, che deciderà in applicazione della regola di diritto innanzi enunciata e provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi tre motivi del ricorso; accoglie il quarto motivo e dichiara assorbito il quinto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Trento in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2011

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