Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15472 del 26/07/2016


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Cassazione civile sez. VI, 26/07/2016, (ud. 16/06/2016, dep. 26/07/2016), n.15472

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16639/2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ YUKI CLUB;

– intimata –

avverso la sentenza n. 78/4/2013 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di ANCONA del 5/02/2013, depositata il 09/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/06/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

Il relatore Cons. Dott. Giuseppe Caracciolo, letti gli atti depositati, osserva:

La CTR di Ancona ha respinto l’appello dell’Agenzia – appello proposto contro la sentenza n. 58/07/2009 della CTP di Ascoli Piceno che aveva già accolto il ricorso della “Yuki Club – Associazione sportiva” – ed ha così annullato l’avviso di accertamento per IRPEG-ILOR, relative ai periodi di imposta 1997-1998, fondato sul disconoscimento del diritto all’esenzione previsto dalla L. n. 398 del 1991, per le associazioni sportive dilettantistiche, sulla mancanza (poi giustificata da distruzione per incendio) dei documenti e registri relativi all’attività associativa per le annualità antecedenti a quella qui in verifica; sulle difformità dello statuto associativo dallo schema previsto dalla legge e sull’assunto che la effettiva natura del soggetto giuridico (per le modalità del sua concreta manifestazione) fosse idonea evidenziare lo svolgimento di una attività speculativa.

La predetta CTR ha motivato la decisione ritenendo: a) che lo statuto dell’Associazione è redatto in ossequio alla normativa che consente la “decommercializzazione” e non sussistono clausole difformi rispetto a quelle richieste dalla legge; b) che la documentazione prodotta per gli anni di imposta 2001-2003 poteva essere considerata “indizio” della effettiva esistenza degli analoghi documenti relativi agli anni qui in considerazione, per quanto ne fosse stata dichiarata la distruzione, a causa di incendio, distruzione poi denunciata in data 27.1.2004 alla Questura di Ascoli Piceno; c) che – onerata la parte contribuente della prova “del possesso dei requisiti di legge che le consente di poter fruire dei benefici fiscali” e, per converso, onerato l’ufficio della prova “dell’esistenza di elementi che escludono il godimento di detti benefici” – non poteva ravvisarsi requisito imprescindibile quello della forma scritta dell’istanza di adesione degli associandi nel mentre i documenti prodotti – redatti in maniera esemplare – inducevano a ritenere sussistenti i requisiti minimi di conformità della gestione associativa al requisito democratico e mutualistico. Per contro l’Agenzia non aveva fornito la prova che l’associazione avesse svolto “attività istituzionalmente non prevista…..in quanto espletata a favore di terzi estranei (non soci), nel mentre la circostanza delle ulteriori somme mensili versate dai soci (oltre alla quota associativa) in ragione delle “diverse prestazioni effettuate a loro favore da parte dell’ente associativo è perfettamente compatibile con la natura non lucrativa dell’ente stesso, atteso il disposto di cui all’art. 148 T.U.I.R., comma 3.

L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

La parte contribuente non ha svolto attività difensiva.

Il ricorso – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., assegnato allo scrivente relatore, componente della sezione di cui all’art. 376 c.p.c. – può essere definito ai sensi dell’art. 375 c.p.c..

Ed invero, con il primo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39; del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 148, nonchè dell’art. 2697 c.c.) la parte ricorrente lamenta che la Commissione di appello abbia erroneamente ritenuto che gravasse sull’Ufficio l’onere di provare che l’associazione avesse svolto attività di carattere commerciale, per quanto la norma dell’art. 148 T.U.I.R., preveda espressamente i casi nei quali le attività svolte dagli enti associativi non hanno rilevanza fiscale. Peraltro, per la fruizione del regime agevolato è necessaria non solo la astratta conformità delle previsioni statutarie, ma anche la conformità concreta dell’attività associativa alle previsioni dell’anzidetta norma. Alla luce di questo principio, la Commissione di appello ha – secondo la ricorrente – “del tutto omesso di conformare le proprie valutazioni alle risultanze probatorie del caso concreto” ed ha disatteso il principio fondamentale circa la ripartizione dell’onere probatorio, considerando che sarebbe spettato alla contribuente fornire gli elementi utili a contrastare le risultanze dell’attività di verifica, onere in concreto non assolto. Dopo avere riepilogato i fatti accertati che avevano fatto propendere l’ufficio per l’attribuzione di natura commerciale all’attività svolta dall’associazione, ed avere trascritto passaggi significativi dell’atto di appello, la parte ricorrente è tornata a ribadire che se la CTR “avesse valutato concretamente e realmente le risultanze della verifica, il contenuto dell’avviso di accertamento e i numerosi e gravi indizi emersi a carico dell’associazione, non avrebbe potuto rigettare, come ha fatto, l’appello dell’Ufficio….”.

Il motivo di impugnazione, nella sua composita formulazione (concretamente improntata alla identificazione di una pluralità di vizi riferiti alla pronuncia impugnata, tra i quali si sono evidenziati solo quelli nitidamente articolati) appare inammissibilmente proposto anche a voler prescindere dal rilievo della promiscuità.

Da un canto, la parte ricorrente si duole della violazione della regola attinente al riparto dell’onere della prova, ma senza riferire detta violazione al concreto argomentare del giudicante e rimanendo nei limiti della vaghezza e della genericità della critica. Quest’ultimo – d’altronde – non ha affatto addossato alla parte pubblica l’integrale debito della dimostrazione dei fatti ma solo degli “elementi che escludono il godimento dei benefici” (e cioè, come specificato nel seguito della motivazione della sentenza, le attività “istituzionalmente non previste” perchè “espletate a favore di terzi estranei”), è perciò non ha affatto violato il principio secondo il quale incombe alla parte onerata in via principale la dimostrazione dei fatti costitutivi ed alla parte onerata in via secondaria la dimostrazione dei fatti impeditivi.

D’altro canto, la parte ricorrente – imputando al giudicante di non avere conformato le proprie valutazioni alle risultanze probatorie del caso concreto, peraltro senza specificarne il dettaglio – ha chiamato la Corte ad effettuare non già un controllo sulla corretta applicazione della regola in tema di riparto probatorio o un controllo sulla regolarità logica dell’iter argomentativo, ma addirittura una revisione della corretta e congrua selezione del materiale probatorio acquisito in atti e perciò ha non solo contraddetto la tipologia del vizio identificato in rubrica, ma anche invocato una verifica straripante rispetto ai compiti istituzionali della Corte, che non può spingersi alla revisione del giudizio sul merito qualificatorio della concreta vicenda di fatto.

Con il secondo motivo di impugnazione (improntato all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio) la parte ricorrente si duole del fatto che il giudicante avrebbe omesso di esaminare la circostanza che l’associazione aveva – solo in data 27.1.2004, e perciò successivamente all’accesso dei funzionari, avvenuto il 12.12.2003 – presentato la denuncia di smarrimento dei documenti relativi alle annualità 1991-2001, siccome distrutte in occasione dell’incendio del 28.2.2001.

Anche detto secondo motivo appare inammissibilmente formulato.

A tacer del fatto che il giudicante ha espressamente dato atto nella pronuncia che la denuncia della distruzione era appunto datata 27.1.2004, ciò che appare rimarchevole ai fini del giudizio di inammissibilità è il fatto che la parte ricorrente non ha in alcun modo giustificato la qualificazione di decisività del fatto asseritamente eluso, qualificazione che peraltro non è neppure evidente “ex se”, sicchè non è prospettata nè prospettabile la ragione per la quale la decisione non avrebbe potuto non essere diversa ove mai il giudicante avesse dato il giusto rilievo al fatto che la parte ricorrente ha valorizzato.

Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in Camera di consiglio per inammissibilità.

Roma, 27 aprile 2015.

ritenuto inoltre:

che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;

che la parte ricorrente ha depositato memoria con la quale insiste sulla fondatezza dei motivi di impugnazione, senza neppure argomentare a riguardo della proposta di inammissibilità del primo, rilievo che è da considerarsi dirimente ai fini della soluzione della questione controversa, siccome è stato correttamente evidenziato nella relazione dianzi trascritta;

che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;

che la decisione sostanzialmente processuale, non inficia i consolidati principi di Cass. 8623/12, 4872/15 ed altri.

che le spese di lite non necessitano di regolazione, atteso che la parte vittoriosa non si è costituita.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Così deciso in Roma, il 16 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2016

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