Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15472 del 14/07/2011

Cassazione civile sez. III, 14/07/2011, (ud. 18/05/2011, dep. 14/07/2011), n.15472

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – rel. Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 13481-2009 proposto da:

L.P.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, presso CANCELLERIA CORTE CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’Avvocato ANGELICO ANTONIO giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrenti –

e contro

S.G. (OMISSIS), B.G.

(OMISSIS), T.G. (OMISSIS), T.

M. nato a (OMISSIS), T.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 497/2008 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

Sezione Seconda Civile, emessa il 19/03/2008, depositata il

10/04/2008; R.G.N. 1449/2005 e 28/2007.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/05/2011 dal Consigliere Dott. RAFFAELLA LANZILLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso 4.12.1992 B.G. ha chiesto al Tribunale di Siracusa la sospensione con provvedimento di urgenza dei lavori di demolizione e di scavo in vista della ricostruzione, eseguiti da L.P.C. sullo stabile confinante.

Il Tribunale ha disposto la sospensione e, nel corso del giudizio di merito, sono intervenuti T.F., G. ed A., proprietari di altro stabile confinante con la proprietà L.P., chiedendo che l’attrice fosse condannata a risarcire loro i danni subiti a causa dei lavori, in quanto l’abbattimento del fabbricato di proprietà L.P. aveva lasciato scoperta ed esposta alle intemperie la parete già comune ai due fabbricati, che era priva di adeguata coibentazione ed impermeabilizzazione.

Il Tribunale, con una prima sentenza non definitiva n. 194/2004, ha condannato la L.P. a risarcire i danni ai T., eseguendo tutte le opere necessarie al ripristino del muro già comune, così come descritte nella relazione di CTU esperita nel corso del giudizio: salvo il diritto di rivalsa della stessa nei confronti del B..

Con altra sentenza non definitiva n. 2/2006 ha dichiarato illegittima ed ha revocato l’ordinanza di sospensione dei lavori, a suo tempo richiesta dal B., ed ha condannato quest’ultimo a risarcire i danni arrecati alla L.P. tramite il provvedimento dichiarato illegittimo, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 2.

Le due sentenze sono state separatamente impugnate la prima dalla L. P. e la seconda dal B., che ne hanno chiesto la riforma, in contraddittorio con le controparti. Con sentenza 19 marzo -10 aprile 2008 n. 497 la Corte di appello di Palermo, previa riunione dei due giudizi, ha confermato la condanna della L.P. al risarcimento dei danni nei confronti dei T.; ha invece assolto il B., ritenendo che non gli si possa imputare di avere agito con dolo o colpa, o trascurando i criteri di normale prudenza, considerata l’incertezza della situazione alla data in cui era stato chiesto il provvedimento e l’impossibilità di escludere a priori che dallo scavo derivassero danni alla sua proprietà.

L.P.C. propone cinque motivi di ricorso per cassazione.

Gli intimati non hanno depositato difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 102 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per non avere la Corte di appello accolto la sua eccezione circa la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di sua sorella, L.P.F., comproprietaria con lei dell’immobile sul quale venivano eseguiti i lavori che hanno dato causa alla sua condanna al risarcimento dei danni.

La Corte di appello ha rigettato l’eccezione sul rilievo che l’azione proposta dai T. concerne la responsabilità personale di essa ricorrente, intestataria dell’autorizzazione amministrativa all’esecuzione dei lavori; non coinvolge i diritti sull’edificio, nè la posizione dell’altra proprietaria.

La ricorrente rileva che i danni sono stati individuati nelle infiltrazioni d’acqua verificatesi nell’immobile dei T. a seguito dei lavori di abbattimento dell’edificio; che l’esecuzione della condanna al ripristino nello status quo ante ed all’impermeabilizzazione della parete già comune ai due edifici e rimasta scoperta viene ad incidere anche sullo stabile di cui è proprietaria L.P.F., che dovrà sacrificare circa cm.

4 del muro di confine per consentire l’applicazione di uno strato di bitume, con armatura in poliestere, come disposto dal CTU. 2.- Il motivo non è fondato.

Correttamente ha rilevato la Corte di appello che il procedimento ha per oggetto la domanda di risarcimento dei danni provocati dal comportamento della sola L.P.C.; non coinvolge la posizione e i diritti della comproprietaria dell’immobile.

La circostanza che i lavori da eseguire vengano ad incidere su di un muro già comune alle due proprietà potrebbe configurare, se del caso, un ostacolo all’esecuzione della sentenza, qualora vi sia opposizione dell’altra proprietaria; ostacolo che dovrà essere risolto davanti al giudice dell’esecuzione. Non tocca le questioni dibattute e risolte nel presente giudizio (nel corso del quale, fra l’altro, la ricorrente non ha mai fatto valere l’asserita non integrità del contraddittorio).

3.- Con il secondo motivo, denunciando violazione dell’art. 96 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la ricorrente censura il capo della sentenza impugnata che ha respinto la sua domanda di risarcimento dei danni contro il B., il cui ricorso in via di urgenza – revocato nel 2006, per insussistenza dei suoi presupposti – ha comportato la sospensione dei lavori di costruzione.

Assume la ricorrente che la CTU esperita nel corso del giudizio ha accertato che i lavori di scavo non hanno esposto ad alcun pericolo la proprietà del B.; pericolo peraltro che, se pur fosse stato sussistente, avrebbe dovuto essere eliminato tramite la sollecita ricostruzione del fabbricato; non con un provvedimento di sospensione dei lavori, protrattosi dal 1992 al 2006.

4.- Il motivo è inammissibile, sia per l’inidonea formulazione del quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ.; sia perchè mette in discussione un accertamento in fatto della sentenza impugnata che risulta ampiamente e logicamente motivato.

Il quesito è generico, apodittico e non congruente con la motivazione della sentenza impugnata.

Esso chiede che venga affermato il diritto al risarcimento dei danni della parte danneggiata da un provvedimento cautelare rivelatosi non necessario, mentre la Corte di appello ha motivato la sua decisione con il fatto che la revoca del provvedimento di sospensione non è sufficiente a giustificare la condanna, ma richiede che si dimostri che la parte istante ha agito senza la normale prudenza) ed ha escluso che ciò si possa addebitare al B.. Trattasi di accertamento in fatto, non censurabile in sede di legittimità se la motivazione in ordine alla sussistenza o meno dell’elemento soggettivo risponde ad esatti criteri logico-giuridici (cfr. fra le tante, Cass. civ. Sez. 1, 15 settembre 2000 n. 12177; Idem, 8 settembre 2003 n. 13071 e 8 luglio 2004 n. 12545; Cass. civ. Sez. 2, 12 gennaio 2010 n. 327).

La ricorrente avrebbe dovuto dimostrare l’insufficienza, l’illogicità o l’incongruenza della motivazione sul punto, e tali censure avrebbe dovuto sintetizzare nel quesito ai sensi dell’art. 366 bis quesito che, per quanto concerne i vizi di motivazione, non è stato affatto formulato, secondo le modalità più volte indicate dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. (Cass. civ. Sez. Un. 1 ottobre 2007 n. 20603 e 18 giugno 2008 n. 16258; Cass. Civ. Sez. 3, 4 febbraio 2008 n. 2652; Cass. Civ. Sez. 3, 7 aprile 2008 n. 8897, n. 4646/2008 e n. 4719/2008, fra le tante). La Corte di appello ha ampiamente e logicamente motivato il suo convincimento, uniformandosi al principio per cui la semplice opinabilità del diritto fatto valere e l’eventuale prevedibilità del rigetto della domanda non costituiscono presupposto sufficiente a determinare la responsabilità aggravata, occorrendo un “quid pluris”, rappresentato da una condotta che, in relazione al caso concreto, sia qualificabile come imprudente, avventata o ingiustificata (Cass. civ. Sez. 1, 3 settembre 1998 n. 8735; Cass. civ. Sez. 3, 17 ottobre 2003 n. 15551).

Nè la ricorrente ha chiesto che fosse imputata al B. la responsabilità per il mero protrarsi della sospensione dei lavori anche dopo l’accertamento peritale circa l’assenza di pericolo, fornendo la prova che, in ipotesi, egli ebbe ingiustificatamente ad opporsi ad eventuali istanze di revoca del provvedimento.

4.- Il terzo, quarto e quinto motivo, con cui la ricorrente lamenta violazione degli artt. 883, 1227 e 2043 cod. civ., nonchè vizi di motivazione, nella parte in cui le è stata addebitata la responsabilità per i danni al muro dei T., sono inammissibili sia per l’inidonea formulazione dei quesiti, sia perchè sollecitano a questa Corte il riesame dei fatti.

Con il terzo motivo la ricorrente assume che i danni sarebbero ascrivibili a vizi strutturali del muro e non alla demolizione del palazzo di sua proprietà – circostanza contrastante con quanto accertato dal giudice di merito – senza indicare sotto quali profili la motivazione in proposito sarebbe viziata e suscettibile di censura in questa sede.

Con il quarto motivo assume che i danneggiati avrebbero aggravato i danni con i loro comportamenti, senza addurre alcuna motivazione a supporto; per di più formulando un quesito del tutto inammissibile, poichè chiede a questa Corte di accertare se il danneggiato sia tenuto ad evitare di aggravare il danno, ai sensi dell’art. 1227 cod. civ. (principio ovvio, perchè sancito dalla legge), senza in alcun modo illustrare sotto quale profilo ed in relazione a quali comportamenti la norma sarebbe stata violata nel caso di specie.

Con il quinto motivo (ancora indicato come quarto dalla ricorrente) censura le modalità di calcolo dei danni, formulando anche qui il quesito intermini apodittici e non congruenti.

5.- Il ricorso deve essere rigettato.

6.- Non essendosi costituiti gli intimati non vi è luogo a pronuncia sulle spese.

P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 18 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2011

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