Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15471 del 03/06/2021

Cassazione civile sez. lav., 03/06/2021, (ud. 10/02/2021, dep. 03/06/2021), n.15471

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2353/2018 proposto da:

Z.I.M., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dagli avvocati LUIGI GIACOMO MESSINA, GIUSEPPE MONTALBANO;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI AGRIGENTO (A.S.P.), in persona del

legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA PIAZZA

CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato FAUSTO GAETANO GIULIANA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 923/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 06/11/2017 R.G.N. 826/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/02/2021 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE Giovanni, che ha concluso per accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato ALESSANDRO GIUSSANI, per delega verbale Avvocato

GIUSEPPE MONTALBANO;

udito l’Avvocato CLAUDIO RONCHIETTO, per delega verbale Avvocato

FAUSTO GAETANO GIULIANA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Sciacca, su ricorso di Z.I.M., dichiarava l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro subordinato a tempo determinato stipulato dalla ricorrente con l’Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento (d’ora in poi solo Azienda o ASP) in data 12/12/2012 con termine fino all’11/3/2013 prorogato fino all’11/6/2013, e condannava l’Azienda a pagare alla predetta un’indennità pari a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

2. La sentenza era impugnata dalla Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento e la Corte d’appello di Palermo, nell’accogliere l’impugnazione, rigettava la domanda.

La Corte territoriale precisava che la domanda attrice era stata accolta dal Tribunale con riferimento all’ultimo dei contratti stipulati, perchè rispetto ai precedenti la lavoratrice era incorsa nella decadenza prevista dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, come modificata dalla L. n. 92 del 2012, avendo impugnato i contratti oltre i termini ivi indicati e rilevava che, sul punto, l’appellante si era limitata, a riproporre l’eccezione formulata in prime cure ignorando la statuizione del Tribunale.

Riteneva che, trattandosi di un unico contratto a termine, illegittimo per la genericità delle ragioni poste a fondamento della clausola di durata, non sussistessero i presupposti per il risarcimento del dàono di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, dal momento che, in proposito, la lavoratrice non aveva specificato i profili di illegittimità – individuati dal D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 4 e 5 – inerenti alla proroga e ai supposti profili di abuso, necessario ai fini del riconoscimento del cosiddetto danno comunitario e che tale lacuna assertiva impediva l’accoglimento della domanda.

3. Contro la sentenza la lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione e ha formulato un unico complesso motivo al quale ha resistito con controricorso la Azienda.

4. La sesta sezione di questa Corte, con ordinanza interlocutoria n. 18298 del 2020, ha sollecitato un approfondimento di natura nomofilattica volto ad indagare se al contratto in questione stipulato da una p.a. nel 2012 sia applicabile la disciplina introdotto dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, c.d. legge Fornero (entrata in vigore il 18 luglio 2012), che, attraverso le modifiche apportate del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1 e 4, ha consentito la stipula di contratti a-causali per un tempo non superiore a 12 mesi, non suscettibile di proroga (ciò fino all’ulteriore riforma di cui al D.L. 28 giugno 2013, n. 76, conv. in L. 9 agosto 2013, n. 99).

5. La ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale della sezione sesta.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo la parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 e alla Direttiva 1999/70 CEE, clausola n. 5.

Lamenta l’erroneità della sentenza nella parte in cui, pur avendo richiamato i principi espressi dalla sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 5072/2016, nonchè i principi espressi dal diritto Eurounitario, ha rigettato la domanda di risarcimento del danno senza considerare che il contratto illegittimo per genericità della causale era stato prorogato.

2. L’ordinanza interlocutoria ha posto il duplice problema di verificare, da un lato, l’applicabilità delle disposizioni della legge Fornero al contratto in esame, in quanto stipulato da una pubblica amministrazione e soggetto alla disciplina prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, dall’altro la configurabilità di un abuso risarcibile in caso di proroga (illegittima) di un contratto acausale legittimo, in quanto stipulato nel vigore della legge Fornero (e prima del D.L. n. 76 del 2013, cit.).

Ciò sul rilievo che non può dirsi formato il giudicato sulla valutazione compiuta dalla Corte circa la illegittimità del primo contratto, non potendosi ritenere che nella specie si sia formata la cosiddetta “minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno”, la quale individua la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, ossia la statuizione che affermi l’esistenza di un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico (Cass. 8 ottobre 2018, n. 24783; Cass. 17 aprile 2019, n. 10760).

3. Rileva il collegio la sussistenza di un vizio che preclude l’esame del merito.

4. Non è, infatti, superabile l’eccezione di improcedibilità del ricorso per mancato deposito della copia notificata della sentenza impugnata formulata dall’ASP.

5. L’art. 369 c.p.c., sancisce, come è noto, l’improcedibilità del ricorso senza alcuna eccezione nel caso in cui non venga depositata copia autentica della sentenza impugnata e la relativa relata di notificazione.

Nella specie, la stessa ricorrente assume (v. pag. 2 del ricorso) che la sentenza impugnata è stata “notificata telematicamente in data 8 novembre 2017”, tuttavia la medesima non ha depositato, unitamente al ricorso per cassazione o comunque entro il termine di cui dell’art. 369 c.p.c., comma 1, anche la copia della relata di notifica ovvero, trattandosi di notifica di sentenza che si assume avvenuta telematicamente, la copia della relata della notificazione telematica e del corrispondente messaggio PEC con annesse ricevute.

La previsione in argomento è funzionale al riscontro da parte di questa Corte della tempestività dell’esercizio del diritto di impugnazione, il quale, una volta avvenuta la notificazione della sentenza, è esercitabile soltanto con l’osservanza del c.d. termine breve, a tutela dell’esigenza pubblicistica (e, quindi, non disponibile dalle parti) del rispetto del vincolo di cosa giudicata formale (v. Cass., Sez. Un., 16 aprile 2009, n. 9005).

La giurisprudenza, cui va dato seguito, ha per un verso chiarito che qualora tale relata risulti in atti, perchè presente nel fascicolo di ufficio del previo grado di merito ovvero perchè prodotta dalla parte controricorrente, l’improcedibilità non può essere dichiarata (Cass., Sez. Un., 2 maggio 2017, n. 10648), dall’altro ha precisato che, in mancanza del fascicolo di ufficio di cui pure risulti chiesta l’acquisizione, deve comunque dichiararsi l’improcedibilità, posto che l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, prevede tale sanzione per l’omesso deposito in parola ad opera della parte, senza che possano dilatarsi irragionevolmente i tempi processuali per una carenza comunque imputabile alla stessa, e anche atteso che non è previsto, al di fuori di ipotesi eccezionali, qui non dedotte, che nel fascicolo d’ufficio debba inserirsi copia della relata di notifica, trattandosi di attività che non avviene su iniziativa dell’ufficio e che interviene in un momento successivo alla definizione del giudizio (Cass., 15 settembre 2017, n. 21386; Cass. 31 maggio 2018, n. 13751; si veda anche Cass. 12 febbraio 2020, n. 3466).

Peraltro, nel caso in esame, la copia autentica della sentenza con relata di notifica non si rinviene nemmeno nella produzione di parte controricorrente (v. la già citata Cass., Sez. Un., n. 10648/2017).

Neppure il ricorso per cassazione può ritenersi procedibile per effetto della c.d. prova di resistenza, non risultando che la notificazione del ricorso si sia perfezionata, dal lato della ricorrente, entro il sessantesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza (cfr. Cass. 10 luglio 2013, n. 17066, “poichè il collegamento tra la data di pubblicazione della sentenza (indicata nel ricorso) e quella della notificazione del ricorso (emergente dalla relata di notificazione dello stesso) assicura comunque lo scopo, cui tende la prescrizione normativa, di consentire al giudice dell’impugnazione, sin dal momento del deposito del ricorso, di accertarne la tempestività in relazione al termine di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2”; conf. Cass. 30 aprile 2019, n. 11386): nella specie, a fronte di una sentenza impugnata pubblicata il 6 novembre 2017, il ricorso è stato notificato il 7 gennaio 2018, dopo la scadenza dei 60 giorni (il 5 gennaio 2018, venerdì).

6. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarata l’improcedibilità del ricorso.

7. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

8. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass., Sez. Un., 20 febbraio 2020, n. 4315, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente.

PQM

La Corte dichiara l’improcedibilità del ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2021

 

 

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