Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1547 del 26/01/2010

Cassazione civile sez. II, 26/01/2010, (ud. 02/12/2009, dep. 26/01/2010), n.1547

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. ODDO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto il 16 novembre 2007 da:

D.C.M. e D.C.D. – rappresentati e

difesi in virtù di procura speciale a margine del ricorso dall’avv.

Jannarelli Antonio, presso il quale sono elettivamente domiciliati in

Roma, alla via di Pietralata, n. 320/D/4, c/o avv. Gigliola Mazza

Ricci;

– ricorrenti –

contro

M.U., P.G. e P.A. –

elettivamente domiciliati in Bari alla via Amendola, n. 172/C, presso

l’avv. Mascolo Michele;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bari n. 185 del 28

febbraio 2007;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 2

dicembre 2009 dal Consigliere Dott. Massimo Oddo;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

Russo Libertino Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 9 febbraio 1994, la s.d.f. Morra Umberto &

F.lli Piccirillo convenne la s.n.c. F.lli De Cristofaro & C. davanti al Tribunale di Lucera e ne domandò la condanna al pagamento della somma di L. 69.470.000, o di quella maggiore o minore ritenuta di giustizia, quale saldo del corrispettivo dei lavori appaltati all’attrice dalla convenuta, parte con scrittura privata e parte verbalmente, in relazione a tre concessioni edilizie rilasciate nel 1992 dal sindaco del Comune di S. Paolo Civitate e terminati nell’agosto 1993.

La F.lli De Cristofaro si costituì, contestando la pretesa dell’attrice e spiegando domanda riconvenzionale per la restituzione della somma di L. 9.933.088 versata in eccedenza e la condanna dell’appaltatrice al risarcimento dei danni per i vizi dell’opera, e, specificato dalla Morra & Piccirillo nel corso del giudizio l’ammontare del suo credito in L. 59.470.000, il Tribunale con sentenza del 15 marzo 2003, rigettò la domanda dell’attrice e dichiarò cessata la materia del contendere su quella riconvenzionale.

La decisione, gravata in proprio da M.U. e G. ed P.A.e, in via incidentale, personalmente da M. e D.C.D., venne riformata il 28 febbraio 2007 dalla Corte di appello di Bari, che rigettò l’impugnazione incidentale e, in accoglimento di quella principale condannò i D. C., in solido, al pagamento in favore del M. e dei P. della somma di Euro 25.461,33.

Premessa l’ammissibilità dell’appello, benchè contenente una domanda di condanna della convenuta al pagamento di una somma maggiore di quella richiesta dalla società attrice in primo grado, osservarono i giudici di secondo grado che l’importo ancora dovuto dalla committente per i lavori effettuati extracontratto doveva essere determinato in base alla contabilizzazione fattane dal c.t.u.

e che, da un lato, era stato escluso che i D.C. avessero corrisposto somme maggiori di quelle dovute e, dall’altro, i pochi e modesti difetti rilevati dal c.t.u. erano “stati in massima parte causati dal fatto che la costruzione è rimasta, dopo la cessazione del rapporto con i M. – P., non rifinita e non ultimata e perciò esposta alle intemperie del tempo”.

I D.C. sono ricorsi con quattro motivi per la Cassazione della sentenza e gli intimati M. e P. non hanno resistito in giudizio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va rilevata l’inammissibilità del ricorso di D. C.M. per l’inosservanza del termine perentorio di sessanta giorni stabilito per l’impugnazione dall’art. 325 c.p.c., comma 2, in quanto proposto il 31 maggio 2007 avverso una sentenza che dalla sua copia autentica depositata risulta essergli stata notificata il 16 novembre 2007.

Il primo motivo del ricorso di D.C.D. denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. e carenza e/o inadeguatezza della motivazione, avendo escluso l’inammissibilità dell’appello degli attori, nonostante che essi, chiedendo in secondo grado la condanna della committente al pagamento di una somma maggiore di quella domandata al Tribunale, avessero mutato l’originario petitum, e la sua illustrazione così si conclude:

“accerti l’Ecc.ma Corte Adita che la Corte d’Appello di Bari ha violato l’art. 345 c.p.c., laddove non accogliendo l’appello incidentale sull’eccezione di inammissibilità dell’appello principale, decretava – peraltro con motivazione del tutto carente e/o insufficiente e nonostante l’intervenuta modifica della domanda alla prima udienza ex art. 183 c.p.c., u.c., – che la citazione introduttiva del giudizio aveva previsto anche la condanna al pagamento “di quella somma maggiore o ritenuta di giustizia”, comunque, la pronuncia di accoglimento”. “Inoltre, sulla scorta delle diffuse argomentazioni svolte, accerti la Suprema Corte la evidente carenza e/o inadeguatezza della motivazione addotta a sostegno della decisione oggi gravata”. Il secondo motivo, per violazione e falsa applicazione dell’art. 1657 c.c., e carenza e/o inadeguatezza della motivazione, avendo applicato per la determinazione del costo dei lavori extracontratto il prezzario ufficiale della Regione Puglia del 1991, benchè del tutto inadeguato ad individuare il costo di gran lunga inferiore di lavori effettuati nel piccolo Comune di S. Paolo di Cividate, ed omesso invece di fare riferimento ai prezzi concordati dalle parti per i lavori previsti nel contratto, e la sua illustrazione così si conclude:

“accerti l’Ecc.ma Corte Adita che la Corte d’Appello di Bari ha violato l’art. 1657 c.c, laddove, accogliendo l’appello principale, determinava giudizialmente il corrispettivo del secondo appalto pur in presenza di criteri di determinazione da utilizzare preventivamente, peraltro senza che sia mai stata espressa alcuna motivazione in ordine alla inversione applicativa dei criteri previsti dal detto art. 1657 c.c.”. Il terzo motivo, per omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione, avendo acriticamente aderito nella determinazione del costo dei lavori extracontratto alla contabilizzazione fattane dal c.t.u., nonostante i puntuali e circostanziati rilievi avverso di essa dei consulenti di parte in ordine sia alla individuazione delle quantità delle singole categorie di lavori in base agli elaborati grafici di progetto, e non ad un rilievo oggettivo in loco, ed alla mera supposizioni della quantità e qualità delle opere non più visibili e sia all’inadeguatezza del prezzali ufficiali ad individuare il costo dei lavori in piccoli comuni di periferia ed al riscontro di essa fornito dai prezzi indicati per i lavori previsti nel contratto.

Il quarto motivo, per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, avendo rigettato la domanda riconvenzionale, “non solo perchè è risultato che i D.C. sono ancora debitori dei M. – P. per i lavori eseguiti, ma anche perchè i pochi difetti” accertati “sono stati in massima parte causati dal fatto che la costruzione è rimasta, dopo la cessazione del rapporto … non rifinita e non untimata e perciò esposta alle intemperie del tempo”, senza chiarire le ragioni per le quali non fosse ammissibile l’esistenza di reciproci crediti tra le parti e benchè, da un lato, l’affermazione della riconducibilità dei vizi riscontrati alla mancata ultimazione dei lavori fosse del tutto disancorata dalla risultanze della c.t.u. e, dall’altro, la modestia dell’ammontare non potesse assumere alcun rilievo sulla sua esistenza.

I motivi sono inammissibili.

Dispone l’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2, ed applicabile ratione temporis, essendo stata la sentenza impugnata pubblicata successivamente al 2 marzo 2006, che, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena d’inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto e, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, con la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione di assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

Funzione del quesito, al quale si correla il dovere della Corte, previsto dall’art. 384 c.p.c., comma 1, di enunciare il principio di diritto quando decide il ricorso proposto a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 3, ed in ogni altro caso in cui risolva una questione di particolare importanza, e della sommaria esposizione del fatto, è quella di consentire alle controparti ed al giudice, da un lato, l’immediata individuazione della questione sulla quale il motivo sollecita la pronuncia di legittimità e l’eventuale esercizio della funzione nomofilattica e, dall’altro, il diretto e tempestivo riscontro della rilevanza e decisività della censura rispetto all’oggetto della controversia.

Corollario dell’art. 366 bis c.p.c, e della sua funzione è, dunque, che il quesito di diritto deve contenere: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito;

b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata da quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare nel caso di specie (cfr.:

cass, civ., sez. 3, sent. 17 luglio 2008, n. 19769), e che, nel caso di denuncia di un vizio di motivazione, siano chiaramente indicati il fatto controverso ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente mediante una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità della doglianza formulata (cfr.: cass. civ., sez. 3, sent. 4 febbraio 2008, n. 2652).

A tali requisiti non risponde nessuno dei motivi del ricorso in esame, giacchè:

il primo ed il secondo, nella parte in cui denunciano la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, non si concludono con un quesito formulato in termini di sintesi logico-giuridica delle questioni proposte tali da consentire con la soluzione di esse l’enunciazione di una regula iuris che comporti l’accoglimento od il rigetto delle doglianze e che sia suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello decisi dalla sentenza impugnata, e, nella parte in cui lamentano, anche implicitamente, una carenza e/o inadeguatezza della motivazione, non sono accompagnati da un riepilogo fattuale che ne circoscriva puntualmente i limiti e valga ad escludere incertezze interpretative sul contenuto delle censure.

il terzo ed il quarto, che denunciano soltanto l’omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione, difettano egualmente di un momento di sintesi del fatto controverso e delle insufficienze e contraddittorietà lamentate che permetta per sè solo un preliminare apprezzamento della decisi vita della dedotta insufficienza di motivazione o della omissione o contraddittorietà di essa.

All’inammissibilità di tutti i motivi segue la declaratoria di inammissibilità del ricorso anche di D.C.D..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2010

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