Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15466 del 26/07/2016


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Cassazione civile sez. II, 26/07/2016, (ud. 07/06/2016, dep. 26/07/2016), n.15466

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10305-2012 proposto da:

B.N., + ALTRI OMESSI

– ricorrenti –

e contro

R.M.G., R.L., elettivamente domiciliate in

ROMA, PIAZZA DEI PRATI STROZZI 22, presso lo studio dell’avvocato

GAETANO VENETO, che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato

PIETRO CARDANOBILE giusta procura a margine del controricorso;

– ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 72/2012 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 30/01/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/06/2016 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

udito l’Avvocato Michele Ursini per i ricorrenti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato in data 30 agosto 1988 V. e B.C.M. convenivano dinanzi al Tribunale di Bari la sorella B.A.N., onde procedere alla divisione giudiziale degli immobili caduti nella successione della madre G.M.G., costituiti da un caseggiato con cortile e suolo libero retrostante, sito in (OMISSIS), attenendosi a quanto disposto con testamento pubblico del 7 aprile 1950, pubblicato in data 13 maggio 1972, con il quale la de cuius aveva manifestato il desiderio che ad ognuno dei suoi tre figli fosse assegnata una porzione del caseggiato e del terreno. Aggiungevano altresì che la convenuta aveva goduto in maniera esclusiva del bene comune, e che pertanto andava condannata al pagamento dei frutti per il pregresso godimento.

Si costituiva la convenuta che si opponeva alla sola domanda di rendiconto.

All’esito dell’istruttoria, consistita nell’espletamento di una CTU, decedute le originarie parti attrici, e subentrati gli eredi, il Tribunale con una prima sentenza del 16 gennaio 2003 n. 95, dopo avere preso atto dell’impossibilità di poter dare attuazione alle norme date dalla testatrice ex art. 733 c.c., dichiarò esecutivo il progetto di divisione predisposto dal CTU, provvedendo con separata ordinanza per il prosieguo delle operazioni e per la domanda di rendiconto.

Formulata riserva di gravame dagli attori ed espletata nuova CTU, il Tribunale con la sentenza n. 974 del 24 maggio 2004, pose a carico della convenuta la complessiva somma di Euro 11.058,12, oltre interessi legali dalla sentenza al saldo, a titolo di rimborso dei frutti percetti in maniera esclusiva, provvedendo con separata ordinanza per il prosieguo delle operazioni di divisione.

Quindi, all’esito del sorteggio, con la sentenza n. 821 del 13 aprile 2005, il Tribunale assegnò le quote secondo le risultanze del sorteggio, onerando la convenuta del pagamento del conguaglio in favore degli altri coeredi, pari ad Euro 5.526,09 per ognuno dei due gruppi di eredi dei fratelli B., compensando per due terzi le spese di lite, disponendo che il residuo terzo dovesse essere versato dalla convenuta in favore degli attori e ponendo le spese notarili e di CTU a carico della massa. Gli eredi degli attori proponevano appello avverso le tre sentenze, e nella resistenza dell’appellata, la Corte di Appello di Bari con la sentenza n. 72 del 30 gennaio 2012, rideterminava le somme dovute a titolo di conguagli ed a titolo di rendiconto, condannando l’appellata al relativo pagamento, confermando per il resto la sentenza gravata, ponendo a carico della appellata le spese della CTU espletata in grado di appello, compensando per la metà le spese processuali sostenute dalle parti, stabilendo che la restante metà, come liquidata in dispositivo, fosse dovuta dall’appellata in favore degli appellanti.

Rilevava la Corte barese che l’appello avverso la prima sentenza doveva ritenersi ammissibile in quanto nella stessa non vi era una statuizione relativa alla liquidazione delle spese di lite, dovendo quindi opinarsi per la sua natura non definitiva.

Nel merito rilevava che, attesa la naturale conformazione del bene, doveva convenirsi circa il fatto che l’immobile non fosse divisibile conformemente alle volontà espresse dalla de cuius nel testamento ex art. 733 c.c., come peraltro riconosciuto dagli stessi attori nei loro scritti defensionali in primo grado.

Una volta ravvisata la validità delle operazioni di sorteggio, emergeva, ad avviso della sentenza di appello, che, anche in considerazione delle nuove indagini peritali svolte in sede di gravame, il valore del terreno era inferiore rispetto a quanto stabilito dal Tribunale, non potendo allo stesso attribuirsi natura edificatoria.

Per l’effetto, andavano rideterminati i conguagli dovuti dalla convenuta, risultata assegnataria del fabbricato, in favore degli eredi dei fratelli, ai quali era invece toccata per sorteggio una quota del terreno.

Infine, quanto ai frutti, si condividevano le osservazioni degli appellanti secondo cui, atteso lo scadente stato di conservazione e manutenzione del fabbricato, l’ammontare dei frutti, così come determinato dal CTU non poteva essere ridotto di una percentuale del 30%, corrispondente agli esborsi sostenuti per la manutenzione straordinaria del bene, attività che invece doveva reputarsi omessa, e per l’effetto provvedeva anche ad incrementare la somma spettante agli eredi delle originarie parti attrici a tale titolo.

Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello, B.N., + ALTRI OMESSI R.M.G. e R.L., quali eredi di B.A.N., hanno resistito con controricorso, proponendo a loro volta ricorso incidentale affidato ad un motivo.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso principale si denunzia la nullità della decisione ex art. 112 c.p.c. per omesso esame e pronuncia in ordine ad un vizio del procedimento denunziato con il secondo motivo di appello.

Ed, infatti, la Corte di Appello, pur avendo ritenuto, dissentendo da quanto invece affermato dal Tribunale con la sentenza n. 974 del 2004, che la prima sentenza n. 95/2003 avesse natura non definitiva, sicchè era ammissibile il gravame proposto avverso la stessa, per effetto della validità della riserva di impugnazione, tuttavia aveva omesso di pronunciarsi sull’eccezione di nullità del procedimento, parimenti avanzata in sede di appello, con la quale si lamentava il fatto che si fosse proceduto al sorteggio, senza che la sentenza che decideva sula divisione fosse ancora passata in giudicato, in palese contrasto con quanto disposto dall’art. 791 c.p.c..

Si sostiene pertanto che il vizio de quo avrebbe dovuto portare all’annullamento sia della prima sentenza non definitiva che di quella definitiva.

Con il secondo motivo di ricorso principale si denunzia la violazione di legge e precisamente dell’art. 733 c.c., nonchè il difetto di motivazione in ordine all’omesso esame di una circostanza decisiva per il giudizio rappresentata dall’operata accettazione del progetto di divisione compiuta dalla convenuta nel corso del giudizio di primo grado. Si lamenta altresì la violazione dell’art. 112 c.p.c. nella parte in cui la sentenza impugnata si è discostata dai criteri dettati per la divisione dalla testatrice, ponendo in essere una decisione ultra petita.

Si sostiene che, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice di primo grado, con decisione confermata sul punto dalla Corte d’Appello, in realtà i beni in comune potevano essere suddivisi in conformità delle volontà espresse dalla de cuius.

Ciò trovava conferma nella circostanza che la stessa convenuta, con la sottoscrizione della memoria di replica del 30 aprile 1998, aveva manifestato la propria adesione al progetto di divisione che assicurava un riparto dei beni in linea con le volontà testamentarie, sicchè la decisione dei giudici di merito di discostarsi da tale progetto concretava la violazione dell’art. 733 c.c., non potendo attribuirsi efficacia alcuna alle deduzioni difensive svolte dai ricorrenti in sede di merito, trattandosi di difese formulate unicamente per reagire alle arbitrarie determinazioni del CTU all’esito del rinnovo delle operazioni peritali.

Il Tribunale prima, e la Corte d’Appello, poi non potevano discostarsi dalla volontà delle stesse parti che avevano aderito al progetto di divisione conforme al testamento, avendo in particolare la convenuta a sua volta manifestato tale adesione con la sottoscrizione della memoria di replica.

Peraltro la decisione di derogare alle indicazioni fornite dalla de cuius, in assenza di una formale richiesta in tal senso proveniente dalle parti, implicava la violazione dell’art. 112 c.p.c. Con il terzo motivo del ricorso principale si denunzia la motivazione contraddittoria o comunque insufficiente della Corte distrettuale, nella parte in cui ha condiviso il progetto di divisione approvato con la prima delle sentenze emesse dal Tribunale.

Ed, invero, a seguito della CTU espletata in grado di appello, ed una volta emersa la non edificabilità del terreno, con la conseguente riduzione del suo valore venale, la sentenza gravata ha provveduto a rideterminare la misura dei conguagli dovuti in favore degli attributari delle quote costituite da porzioni del terreno, laddove viceversa avrebbe dovuto provvedere alla redazione di un nuovo progetto di divisione, che tenesse conto dell’alterazione dell’equilibrio delle quote.

Inoltre, il frazionamento del terreno avrebbe comportato la necessità di assicurare un’autonoma possibilità di accesso ad una delle due quote, di modo che la porzione di terreno avente accesso diretto dalla via pubblica sarebbe stata gravata da una servitù di passaggio in favore dell’altra quota, con un conseguente minor valore (e ciò dovendo altresì considerarsi le difficoltà di ottenere un’autorizzazione da parte del Comune per la realizzazione della strada di accesso).

In alternativa, il titolare della quota interclusa dovrebbe in futuro agire per la costituzione della servitù coattiva di passo in danno del titolare dell’atta quota, con l’aggravio costituito dal pagamento della relativa indennità.

Infine si deduce che, avendo il CTU in appello evidenziato come una proficua utilizzazione del suolo poteva essere quella di parcheggio scoperto, al fine di attuare tale destinazione si imponeva il permanere in comunione delle aree, con l’imposizione di fatto di una nuova comunione, limitatamente al terreno.

Con il quarto motivo di ricorso principale si lamenta la violazione dell’art. 720 c.c., nonchè l’omessa pronuncia da parte della Corte di merito sulla domanda di assegnazione dell’intero caseggiato agli attori con attribuzione in favore dell’appellata del retrostante terreno.

In particolare i ricorrenti nel corso del giudizio di merito avevano reiteratamente chiesto che fosse loro assegnato il fabbricato, in comunione pro indiviso, sicchè, una volta ritenuta impraticabile la disposizione testamentaria, il giudice di merito, in attuazione della previsione di cui all’art. 720 c.c. avrebbe dovuto assecondare tale richiesta.

Con il quinto motivo di ricorso principale, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1282 e 1224 c.c., in quanto, pur essendosi riconosciuto in favore dei ricorrenti un diritto di credito in relazione ai frutti non percetti durante la permanenza della comunione, tuttavia gli interessi legali erano stati attribuiti a far data dal 24 maggio 2004, e non dal diverso ed anteriore giorno della costituzione in mora, coincidente con la notifica dell’atto di citazione.

Con il sesto motivo di ricorso principale, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., attesa la liquidazione delle spese processuali e degli onorari in misura inferiore ai limiti minimi previsti dalla tariffa professionale vigente al momento della decisione (art. 360 c.p.c., n. 5).

Infatti, tenuto conto del valore della controversia, determinato in Euro 261.640,00, considerati i minimi tariffari, sulla base dello scaglione di riferimento, e tenuto conto della compensazione per la metà delle spese, agli appellanti competeva la somma di Euro 3.362,50, di gran lunga maggiore rispetto a quella di Euro 1.150,00 liquidata in sentenza.

Analogamente quanto ai diritti la somma di Euro 800,00 era di gran lunga inferiore rispetto a quella scaturente dall’applicazione delle tariffe vigenti, tenuto conto delle prestazioni elencate nella notula depositata.

Con un unico motivo di ricorso incidentale, le intimate lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 340 c.p.c., art. 279 c.p.c., comma 2 e art. 791 c.p.c., nonchè l’omessa o insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo del giudizio.

Si deduce che erroneamente la Corte di merito avrebbe disatteso l’eccezione di inammissibilità dell’appello formulata in considerazione della natura definitiva della sentenza n. 95 del 2003, richiamando unicamente il criterio della mancata liquidazione delle spese. Tale motivazione oltre ad essere del tutto insufficiente, trascurerebbe le peculiarità del giudizio di divisione, ed in particolare della sentenza con la quale viene approvato il relativo progetto, disponendosi il prosieguo unicamente per le operazioni di sorteggio.

In tal caso, la sentenza, come confermato da copiosa giurisprudenza di legittimità, ad onta delle diverse indicazioni di carattere formale, avrebbe sempre natura definitiva, insuscettibile come tale di riserva di impugnazione differita, con l’ulteriore conseguenza che alla data di proposizione dell’appello, la sentenza del 2003 era già passata in cosa giudicata, dovendo quindi reputarsi che legittimamente si era proceduto al sorteggio delle quote.

2. Evidenti ragioni di ordine logico impongono la disamina preliminare del motivo di ricorso incidentale, in quanto, nell’investire la stessa ammissibilità dell’appello indirizzato verso la prima sentenza del Tribunale, risulta idoneo, ove ritenuto fondato, ad assorbire tutti i motivi di ricorso principale concernenti l’attuazione della divisione tra le parti, trattandosi di questioni tutte decise appunto con la prima delle sentenze emesse, e le cui statuizioni sono state in parte modificate ad opera della Corte distrettuale (si pensi alla misura dei conguagli dovuti dalla convenuta in favore degli attori), e ciò proprio sul presupposto dell’ammissibilità dell’appello proposto avverso la medesima.

Reputa il Collegio che il ricorso incidentale sia fondato e che pertanto debba trovare accoglimento.

Emerge pacificamente che il Tribunale di Bari con la prima delle tre sentenze appellate, e precisamente la n. 95 del 2003, oltre a reputare inattuabile la divisione in conformità delle volontà espresse dalla de cuius ex art. 733 c.c., dichiarava lo scioglimento della comunione, secondo il progetto di divisione predisposto dal nuovo CTU, il quale prevedeva la formazione di tre quote, delle quali la prima comprensiva dell’intero fabbricato e del cortile retrostante, la secondo dell’esatta metà del giardino, e la terza della residua metà.

La stessa sentenza poi, dichiarato esecutivo il progetto, ha disposto con separata ordinanza per il prosieguo, dettando le modalità del sorteggio delle quote, e per l’istruzione della domanda relativa ai frutti.

Tuttavia ometteva di provvedere sulle spese del giudizio, iscrivendole al definitivo.

Successivamente con ordinanza del 17 dicembre 2003, il Giudice istruttore disponeva sospendersi il sorteggio, in mancanza della formazione del giudicato, mentre con la successiva sentenza n. 974 del 2004, in motivazione riteneva che, poichè la precedente sentenza aveva già approvato il progetto di divisione, la riserva di impugnazione formulata dagli attori alla prima udienza successiva alla pronuncia della prima sentenza, era da reputarsi priva di efficacia, ordinando quindi procedersi al sorteggio dinanzi al notaio delegato.

A fronte dell’eccezione di inammissibilità dell’appello formulata dall’appellata in relazione al gravame proposto dagli aventi causa delle originarie parti attrici, anche nei confronti della prima sentenza del Tribunale, la Corte distrettuale, citando Cass. n. 4618/07, ha dichiarato di condividere il costante orientamento giurisprudenziale che qualifica non definitiva la sentenza che, decidendo, come nella specie, una o più delle domande cumulate, non provveda sulle spese relative, rinviandone la liquidazione all’ulteriore corso.

Ritiene il Collegio che debba ritenersi errata l’affermazione della Corte distrettuale laddove ha ritenuto che la sentenza che ha approvato il progetto di divisione, disponendo il prosieguo, oltre che per la domanda di rendiconto, esclusivamente per le operazioni di sorteggio, avesse natura non definitiva, e che pertanto dovesse ritenersi ammissibile l’appello proposto avverso la stessa, sul presupposto dell’operatività della riserva di gravame formulata dagli attori.

Va premesso che nella fattispecie risultavano sottoposte all’esame del Tribunale, oltre alla domanda di divisione del compendio ereditario di, anche la domanda di rendiconto ricollegata alla pretesa occupazione esclusiva dei beni comuni da parte della convenuta.

E’ evidente pertanto l’autonomia, rispetto alla domanda di divisione di quella di rendiconto. In tal senso si veda Cass. 30 dicembre 2011 n. 30552, secondo cui, nell’ambito dei rapporti tra coeredi, la resa dei conti di cui all’art. 723 c.c., oltre che operazione inserita nel procedimento divisorio, può anche costituire un obbligo a sè stante, fondato – così come avviene in qualsiasi situazione di comunione – sul presupposto della gestione di affari altrui condotta da uno dei partecipanti; ne consegue che l’azione di rendiconto può presentarsi anche distinta ed autonoma rispetto alla domanda di scioglimento della comunione pur se le due domande abbiano dato luogo ad un unico giudizio, sicchè le medesime possono essere scisse e decise senza reciproci condizionamenti, nonchè Cass. 27 marzo 2002 n. 4364 per la quale la domanda di conguaglio in relazione ai frutti prodotti dai cespiti ereditari, asseritamente percetti in misura non proporzionale alle quote da parte di alcuni dei coeredi rispetto ad altri, deve essere proposta non nell’ambito della domanda relativa alla divisione ed ai conseguenti conguagli divisionali, bensì, sia pure contestualmente, con una distinta ed autonoma domanda di rendiconto.

Poste tali premesse, appare alla Corte che alla sentenza del 2003 debba attribuirsi il carattere della definitività relativamente alla decisione sulla domanda di divisione, avendo effettivamente risolto tutte le questioni inerenti la formazione del progetto di divisione, ed essendosi limitata a disporre il prosieguo, limitatamente a tale domanda, solo per quanto concerne le operazioni materiali di sorteggio, avendo peraltro provveduto, atteso il riferimento al fatto che la causa dovesse proseguire per l’esame delle altre domande, anche alla separazione della domanda di divisione dall’altra domanda, autonoma, sebbene proposte contestualmente alla prima (in tal senso si veda da ultimo, per una fattispecie analoga Cass. 29/2/2016 n. 3933).

Nè può ritenersi idonea ad inficiare tale conclusione la circostanza che la pronuncia in esame non abbia altresì ritenuto di dover provvedere sulle spese del giudizio.

Ed, invero, non ignora il Collegio che uno degli indici formali che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, è risolutivo al fine di stabilire la natura definitiva o meno di una sentenza, sia proprio la statuizione formale sulle spese di lite.

In tal senso si veda Cass. S.U. 1 marzo 1990 n. 1577, la quale, proprio a risoluzione del contrasto in passato esistente, ha affermato che nel caso di cumulo di domande fra gli stessi soggetti, la sentenza, che decida una o più di dette domande, con prosecuzione del procedimento per le altre, ha natura non definitiva, e come tale può essere oggetto di riserva d’impugnazione differita (artt. 340 e 361 c.p.c.), qualora non disponga la separazione, ai sensi dell’art. 279 c.p.c., comma 2, n. 5, e non provveda sulle spese relative alla domanda od alle domande decise, rinviando all’ulteriore corso del giudizio, atteso che, anche al fine indicato, la definitività della sentenza esige un espresso provvedimento di separazione, ovvero la pronuncia sulle spese, che chiude la contesa cui si riferisce e che quindi necessariamente implica la separazione medesima (in tal senso da ultimo Cass. S.U. 28/4/2011 n. 9441).

Ma depongono in senso contrario, oltre che la presenza di un diverso indice di natura formale, costituito dalla volontà esplicitata con l’ordinanza che ha disposto la prosecuzione del giudizio, di voler chiaramente separare l’ulteriore attività istruttoria, relativa alla domanda di rendiconto ancora da decidere, rispetto al compimento delle operazioni materiali necessarie ad assicurare la concreta attuazione del progetto divisionale dichiarato esecutivo, la natura stessa della sentenza che abbia approvato il progetto divisionale, così come costantemente affermata dalla giurisprudenza di questa Corte, ed anche in epoca successiva al menzionato intervento delle Sezioni Unite del 1990, in ordine ai criteri distintivi tra sentenze definitive e non. Ed, infatti, con specifico riferimento alle pronunce con le quali venga approvato il progetto di divisione, questa Corte ha affermato che nel giudizio di divisione ereditaria, costituisce sentenza definitiva soltanto quella che scioglie la comunione rispetto a tutti i beni che ne facevano parte, mentre le eventuali sentenze che concludono le singole fasi del procedimento hanno carattere strumentale e natura di sentenza non definitiva e sono, come tali, suscettibili di riserva di gravame, ai sensi dell’art. 340 c.p.c. (Cass. 29 dicembre 2011 n. 29829; Cass. 7 marzo 2007 n. 5203; Cass. 16 novembre 1996 n. 10066).

Più in dettaglio, già Cass. n. 974/1967, seguita da Cass. n. 1694/1971, e ripresa poi da Cass. n. 4080/1986, ha affermato che nel procedimento divisorio hanno natura non definitiva e sono, quindi, suscettibili d’impugnazione differita, le sentenze meramente strumentali, cioè preordinate alle successive operazioni divisionali, mentre hanno carattere definitivo e non si sottraggono alla regola dell’impugnazione immediata, le sentenze che esauriscono l’intera materia del contendere e racchiudono in sè l’effetto divisorio decidendo tutte le questioni in ordine al diritto e alle modalità della divisione pur non realizzando la concreta attribuzione dei beni ai singoli condividenti in quanto rimettano alla fase successiva le operazioni relative al sorteggio delle quote.

In termini analoghi si veda Cass. n. 4777/1989, per la quale il principio dell’unitarietà del processo divisionale – come giudizio avente per finalità essenziale la trasformazione del diritto del condividente ad una quota ideale nel corrispondente diritto di proprietà esclusiva su specifici beni oggetto della comunione – non esclude che nell’ambito di tale processo debbano distinguersi sentenze (non definitive) aventi carattere meramente strumentale, in quanto destinate a dare impulso alle successive operazioni divisionali, e sentenze (definitive) prive di tale carattere di strumentalità, in quanto esauriscono la materia del contendere, sebbene non realizzino di per sè sole la concreta attribuzione dei beni ai singoli condividenti e debbano essere seguite da ulteriori operazioni (stima, sorteggi di lotti, determinazioni di eventuali plusvalenze o minusvalenze e relativi conguagli). pertanto, ha natura non definitiva – agli effetti degli artt. 340 e 361 c.p.c. – la sentenza che, intervenendo nel corso del giudizio divisorio, risolva tutte le contestazioni insorte fra i condividenti in ordine ai rispettivi diritti, nonchè ai limiti ed alle particolari connotazioni di questi (nella specie, con riguardo alla validità del testamento olografo, con il quale si disponeva per la divisione dell’asse ereditario), rimettendo ad una successiva fase esclusivamente le operazioni relative alla concreta determinazione ed all’attribuzione delle quote.

Il principio di diritto espresso dalle menzionate sentenze ha poi trovato continuità anche dopo il 1990, in ed anche alla luce di quanto manifestato dall’intervento delle Sezioni Unite, in Cass. 21 aprile 1994 n. 3788 nonchè nella non massimata Cass. n. 12818/2004 che, analogamente a quanto avvenuto nel caso in esame, a fronte di una riserva di gravame formulata dall’appellante avverso la sentenza che aveva esaurito tutte le questioni insorte tra le parti relativamente alla domanda di divisione, ha ritenuto la riserva stessa priva di efficacia.

Trattasi di principio che conferma che la sentenza in esame, la quale ha definito tutte le questioni strettamente riferentisi alla divisione del patrimonio immobiliare, disponendo solo il prosieguo per l’estrazione a sorte dei lotti e per il compimento delle operazioni materiali necessarie a tal fine (frazionamento catastale), ha chiaramente natura definitiva.

Nè appare pertinente il richiamo effettuato dalla Corte distrettuale a quanto affermato da Cass. n. 4618/2007, posto che nel caso deciso da tale precedente, la sentenza di cui si controverteva circa la natura definitiva o meno, aveva deciso, accogliendone alcune e rigettandone altre, sulle domande di una delle parti, e disposto con separata ordinanza in ordine alla divisione dei residui beni, laddove, quindi relativamente alla domanda di divisione dei beni caduti in successione, la sentenza non aveva deciso su tutti i beni in comunione, così che non poteva reputarsi esaurita la materia del contendere in ordine alla unitaria domanda di scioglimento della comunione.

La conclusione alla quale reputa di accedere il Collegio, trova poi conferma nell’ulteriore considerazione secondo cui, negando il carattere di definitività alla pronuncia che approva il progetto di divisione, come paventato da parte controricorrente, e come già evidenziato da questa Corte in Cass. n. 3933/2016, il processo stesso rischierebbe di entrare in una situazione di stallo dalla quale appare pressochè impossibile poter uscire.

Ed, infatti, secondo il costante orientamento della Corte (cfr. Cass. 1 ottobre 2013 n. 22435) nel procedimento di scioglimento della comunione, il giudice istruttore, alla stregua di quanto sancito dall’art. 789 c.p.c., commi 3 e 4, può procedere all’estrazione a sorte dei lotti solo quando le contestazioni al progetto di divisione da lui predisposto siano state risolte con sentenza passata in giudicato (conf. da ultimo Cass. 31 luglio 2013 n. 18354; Cass. 28 ottobre 2002 n. 15163).

Ove si attribuisse alla pronuncia che approva il progetto e rinvia per le sole operazioni di estrazione a sorte dei lotti, natura non definitiva, come invece opinato dalla Corte distrettuale, sarebbe possibile per una delle parti formulare riserva di gravame, impedendo in tal modo il passaggio in giudicato della sentenza stessa, e di riflesso, impedendo che possa procedersi all’estrazione a sorte dei lotti, senza che tale situazione di impasse sia altrimenti rimediabile.

Viceversa, la soluzione della natura definitiva della pronuncia de qua, impone alla parte, interessata a contestare la correttezza della medesima, di proporre impugnazione immediata, alla cui definizione con sentenza passata in cosa giudicata, sarà poi dato far seguire le operazioni di sorteggio, ancorchè l’istruttore ovvero il notaio delegato debbano attendere l’esaurimento delle fasi di impugnazione.

Alla luce di tali principi, reputa il Collegio che, in accoglimento del motivo di ricorso incidentale, debba dichiararsi l’inammissibilità dell’appello proposto dagli eredi delle originarie parti attrici, avverso la sentenza del Tribunale di Bari n. 95 del 16 gennaio 2003, stante l’inefficacia della riserva di impugnazione a suo tempo formulata, ed atteso che, alla data di proposizione dell’appello (17/11/2005), era ampiamente decorso il termine per impugnare.

Ne discende che tutte le statuizioni adottate dal Tribunale con detta pronuncia, e concernenti l’approvazione del progetto di divisione, con la conseguente decisione di tutte le questioni preliminari a tale statuizione, sono passate in cosa giudicata.

La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata nella parte in cui ha ritenuto di poter esaminare le doglianze dell’appellante concernenti il progetto di divisione, atteso il passaggio in giudicato della pronuncia che aveva definitivamente approvato lo stesso, ma senza che si imponga il rinvio, dovendosi unicamente prendere atto del fatto che il giudizio, relativamente alla domanda di divisione, non poteva essere esaminata nel prosieguo del giudizio.

3. All’accoglimento dell’unico motivo del ricorso incidentale consegue poi l’assorbimento dei primi quattro motivi del ricorso principale, posto che con il primo si contesta la legittimità del sorteggio, che, alla luce di quanto esposto, sarebbe avvenuto allorquando la sentenza che aveva approvato la divisione era già passata in giudicato, con il secondo si censurano le concrete modalità con le quali si è provveduto alla divisione, avendo invece ormai efficacia definitiva la scelta compiuta dal Tribunale con la prima pronuncia, con il terzo sì deduce che sarebbe stato necessario procedere alla redazione di un nuovo progetto, alla luce della modifica del valore del terreno conseguente alla CTU espletata in grado di appello (dovendo però escludersi che, stante la definitività ed irretrattabilità della decisione sulla divisione, si potesse disporre una nuova consulenza per la stima dei beni, restando ferma quindi anche la misura dei conguagli così come determinata nel progetto di cui alla sentenza passata in cosa giudicata), e con il quarto si lamenta il mancato accoglimento della richiesta di attribuzione del bene, e cioè di una modalità di scioglimento della comunione che appare incompatibile con l’affermata divisibilità, e che anche riguardata come richiesta di addivenire ad una diversa soluzione divisionale, sarebbe preclusa dalla immutabilità della decisione sula divisione.

4. Passando alla disamina degli altri motivi del ricorso principale, deve rilevarsi l’infondatezza del quinto motivo, teso a contestare la correttezza nell’individuazione della data di decorrenza degli interessi legali sulle somme dovute a titolo di compenso per i frutti non goduti, in ragione della detenzione esclusiva del bene ad opera della convenuta.

Ed, infatti, giova rilevare che la data di decorrenza del 24 maggio 2004 per gli interessi legali de quibus, lungi dall’essere frutto di un’autonoma scelta della Corte di Appello, riproduce quanto disposto con la seconda sentenza del Tribunale di Bari, la quale nel determinare le somme dovute a tale titolo, faceva decorrere gli interessi dalla stessa data della pronuncia, che è quella del 24 magio 2004, sino al soddisfo (cfr. pag. 2 della sentenza impugnata).

Orbene, sempre dalla lettura della decisione della Corte barese, si evince che il motivo di appello concernente tale domanda di rendiconto, investiva unicamente la corretta quantificazione delle somme dovute, sul presupposto che erano state riconosciute in favore della convenuta alcune spese che in realtà non erano state sostenute, motivo che proprio per tale profilo è stato accolto, provvedendosi ad escludere la riduzione del 30 % di cui la convenuta aveva beneficiato all’esito del giudizio di primo grado.

Mancava tuttavia qualsivoglia riferimento nelle ragioni poste a base del motivo di appello, alla correttezza della data di decorrenza degli interessi sulle somme riconosciute per tale causale, sicchè la doglianza di cui a motivo di ricorso appare palesemente inammissibile, non avendo i ricorrenti provveduto a suo tempo ad investire con una specifica censura anche tale punto della decisione del Tribunale.

5. Quanto, infine, al sesto motivo di ricorso, in conseguenza della cassazione senza rinvio della decisione impugnata, quanto alle statuizioni che hanno investito la domanda di divisione, allora si impone in ogni caso una nuova determinazione del carico delle spese, relative non solo al giudizio di legittimità, ma anche al giudizio di appello, la cui decisione è stata cassata, e sul punto ritiene la Corte di dover addivenire ad una decisione complessiva di compensazione in ragione della reciproca soccombenza, atteso che da una parte gli appellanti sono soccombenti, quanto alla ammissibilità dell’appello sulla sentenza di divisione, e dall’altra sono vittoriosi, quanto alla determinazione della misura dei frutti, occorrendo a tal fine tenere conto anche dell’esito del giudizio in cassazione e della obiettiva complessità delle questioni giuridiche trattate.

PQM

La Corte accoglie il ricorso incidentale, e per l’effetto cassa senza rinvio la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto ammissibile l’appello proposto avverso la sentenza del Tribunale di Bari n. 95/2003, ed ha quindi rideterminato i conguagli dovuti tra i condividenti;

dichiara assorbiti i primi quattro motivi nonchè il sesto motivo del ricorso principale;

rigetta il quinto motivo del ricorso principale;

compensa le spese del giudizio di appello e di quelle di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 7 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2016

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