Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15464 del 30/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 30/06/2010, (ud. 08/04/2010, dep. 30/06/2010), n.15464

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. DI DOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Italfrutta Soc. Agr. Coop. s.r.l., in persona del suo legale rapp.te

M.E., elettivamente domiciliata in Roma alla via Rotellini

88 presso lo studio dell’avv. Belli Ermanno dal quale è

rappresentato e difeso giusta procura speciale a margine del ricorso

congiuntamente e disgiuntamente all’avv. Elena Bernardi del Foro di

Modena;

– ricorrente –

contro

Comune di Mirandola, in persona del Sindaco pro tempore elettivamente

domiciliato in Roma alla via Monte Zebio 37 presso lo studio degli

avv.ti Furitano Marcello e Cecilia dai quali è rappresentato e

difeso giusta procura speciale a margine del ricorso unitamente

all’avv. Marco Zanasi del Foro di Modena;

– controricorrente –

avverso la sentenza 99/15/05, depositata in data 16.1.06, della

Commissione tributaria regionale della Emilia Romagna;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza de

8.4.10 dal Consigliere Dott. Giovanni Carleo;

Udita la difesa svolta per conto di parte ricorrente che ha concluso

per l’accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza

impugnata con ogni consequenziale statuizione anche in ordine alle

spese processuali;

sentita la difesa svolta per conto di parte resistente, che ha

concluso per il rigetto del ricorso con vittoria di spese;

Udito il P.G. in persona del dr. Wladimiro De Nunzio che ha concluso

per il rigetto del ricorso con le pronunce consequenziali.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con avvisi di accertamento e di liquidazione il Comune di Mirandola contestava alla società Italfrutta coop. a r.l. l’omessa denuncia ai fini ICI per gli anni 2000 e 2001. La società adiva la CIP di Modena con separati ricorsi deducendo di operare nel campo della manipolazione ed alienazione dei prodotti ortofrutticoli conferiti dai soci agricoltori ed aggiungendo che il fabbricato da essa posseduta era strumentale all’attività suddetta per cui non era imponibile ai fini del tributo in questione. La Commissione tributaria provinciale adita accoglieva i ricorsi riuniti. Proponeva appello il Comune di Mirandola La Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna accoglieva il gravame. Avverso la detta sentenza la contribuente ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi. Il Comune di Mirandola resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Corre l’obbligo di rilevare preliminarmente che la sentenza impugnata si fonda su due distinte rationes decidendi, la prima delle quali è costituita dal rilievo che nel caso di specie non sussiste identità soggettiva tra il possessore del fabbricato da un lato e il titolare di proprietà sul terreno dall’altro, essendo l’uno di proprietà della cooperativa, gli altri dei soci, Ciò, senza considerare che il fabbricato risulta catastalmente assegnato alla cat. (OMISSIS) e non a quella propria dei fabbricati rurali ((OMISSIS)). La seconda ratio è costituita invece dalla considerazione che nella vicenda processuale de qua non risultano “sufficientemente provate nè la natura dell’attività svolta dalla Cooperativa nè l’effettivo ed esclusivo utilizzo del fabbricato a fini strumentali dell’attività di manipolazione e lavorazione di prodotti conferiti dai soci”.

Ciò premesso, si deve evidenziare che il primo profilo della doglianza, svolta dalla società ricorrente, articolata sotto il profilo della violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 1, 2, 3, 5 e 9, D.L. n. 557 del 1993, art. 9 convertito nella L. n. 133 del 1994, L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 156 si fonda su un duplice ordine di considerazioni: 1) la CTR avrebbe trascurato che “i capannoni oggetto della pretesa ICI sono a destinazione rurale ai fini fiscali a tutti gli effetti, a prescindere dall’accatastamento a catasto fabbricati in categoria catastale diversa dalla categoria (OMISSIS) preteso dall’Ufficio del territorio competente” 2) la decisione sarebbe altresì errata per aver ritenuto “la debenza dell’ICI sul fabbricato della cooperativa a causa della diversa soggettività tra titolare del fabbricato (cooperativa) e titolari dei terreni (soci agricoltori conferenti)”.

Entrambe le considerazioni non colgono nel segno. Ed invero, la prima di esse risulta infondata alla luce dell’orientamento ormai consolidato di questa Corte, la quale ha affermato il principio di diritto secondo cui “in terna di ICI, solo con riferimento ai fabbricati non iscritti in catasto, Inapplicabilità dell’esenzione per i fabbricati rurali, prevista dal combinato disposto del D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1-bis, convertito con modificazioni nella L. n. 14 del 2009, e del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a), è subordinata all’accertamento dei requisiti previsti dal D.L. n. 557 del 1993, art. 9 conv. in L. n. 133 del 1994 e successive modifiche, accertamento questo che può essere condotto dal giudice tributario, investito della domanda di rimborso proposta dal contribuente, su cui grava l’onere di dare la prova della sussistenza dei predetti requisiti. Tra i requisiti, per gli immobili strumentali, non rileva l’identità fra titolare del fabbricato e titolare del fondo, potendo la ruralità essere riconosciuta anche agli immobili delle cooperative agricole che svolgono attività di manipolazione, trasformazione, conservazione, valorizzazione o commercializzazione dei prodotti agricoli conferiti dai soci, (cfr tra le tante, Sez. Un. 18565/09).

Al contrario, in caso di immobili iscritti al catasto come nel caso di specie. occorre distinguere l’immobile che sia stato iscritto nel catasto dei fabbricati come “rurale”, con l’attribuzione della relativa categoria ((OMISSIS)), in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dal D.L. n. 557 del 1993, art. 9 conv. in L. n. 133 del 1994 – il quale non è soggetto all’imposta, ai sensi del combinato disposto del D.L. n. 207 del 2008, art. 23-bis conv. in L. n. 14 del 2009, e del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a) – dall’l’immobile iscritto in una diversa categoria catastale. In quest’ultimo caso, infatti, sarà onere del contribuente, che pretenda l’esenzione dall’imposta, impugnare l’atto di classamento, restando, altrimenti, il fabbricato medesimo assoggettato ad ICI. Allo stesso modo, il Comune dovrà impugnare autonomamente l’attribuzione della categoria catastale (OMISSIS), al fine di poter legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’imposta, (cfr tra le tante, Sez. Un. 18565/09).

Il secondo profilo – sempre della prima doglianza – si fonda invece sulla considerazione che la CTR avrebbe errato nel ritenere insufficientemente provati sia la natura dell’attività svolta dalla Cooperativa sia l’effettivo ed esclusivo utilizzo del fabbricato. E ciò, perchè “non è tanto la natura agricola quanto la strumentalità dei fabbricati con le attività agricole di cui all’art. 29, quindi quella specifica svolta nel fabbricato che doveva essere oggetto di valutazione”. Al riguardo, indipendentemente dal rilievo attribuito dalla CTR al requisito dell’utilizzo esclusivo del fabbricato, torna utile premettere che, secondo la valutazione datane dai giudici di seconde cure, dalle risultanze processuali non sono emersi sufficienti elementi idonei a riscontrare che la Cooperativa ricorrente, nei due anni di imposta 2000 e 2001, abbia utilizzato effettivamente o comunque continuato ad utilizzare il proprio fabbricato a fini strumentali dell’attività di manipolazione e lavorazione di prodotti conferiti dai soci. Ora, pur volendo prescindere dal rilievo che nella specie si tratta di fabbricato iscritto al catasto (peraltro, assegnato alla cat. (OMISSIS) e non a quella propria dei fabbricati rurali ((OMISSIS)), vale la pena di sottolineare che la valutazione degli elementi di prova e l’apprezzamento dei fatti attengono al libero convincimento del giudice di merito, per cui deve ritenersi preclusa ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa. Ne deriva che deve ritenersi inammissibile la doglianza mediante la quale la parte ricorrente avanza, nella sostanza delle cose, un’ulteriore istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione, (cfr Cass. n. 9233/06). Ne consegue l’infondatezza di entrambi i profili della censura esaminata Passando infine all’esame della seconda doglianza, con cui la ricorrente deduce espressamente “per quanto alla mancata pronuncia in merito alla richiesta di annullamento delle sanzioni, la stessa si appalesa assolutamente immotivata ed incomprensibile in quanto specifico oggetto di petitum e in quanto le numerose sentenze di merito di segno contrastante ben giustificano, ad avviso della ricorrente, in ogni caso la disapplicazione delle sanzioni”, va rilevato che la censura, anche a prescindere dall’accertamento del suo fondamento (involgente un giudizio sul merito, di accoglimento ovvero di rigetto), è inammissibile per un duplice ulteriore ordine di considerazioni. Ed invero, premesso che la sentenza impugnata non contiene il minimo accenno alla questione, sollevata dalla ricorrente, delle due l’una: se la questione fu effettivamente dedotta in secondo grado come motivo di appello la ricorrente in questa sede avrebbe dovuto dedurre la violazione da parte della CTR del disposto dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e provvedere, a pena di inammissibilità, per il principio di autosufficienza del ricorso, alla trascrizione del motivo di impugnazione su cui la CTR avrebbe omesso di pronunciarsi, onere che invece non è stato assolto. Per contro, se la questione non fu affatto dedotta, come si ha motivo di ritenere dalla lettura della sentenza impugnata di secondo grado, pur non essendo configurabile il vizio di omessa pronuncia nel giudizio di appello (tra le altre vedi Cass. n. 6178/2005, n. 16033/2004) l’inammissibilità deriva dalla novità della questione, il cui esame resta precluso in sede di legittimità.

Alla stregua di tutte le superiori considerazioni, considerato che la sentenza impugnata appare in linea con i principi di diritto richiamati, ne consegue che il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato. Sussistono giusti motivi per compensare fra le parti le spese di questo giudizio in quanto l’orientamento giurisprudenziale riportato si è consolidato solo dopo l’introduzione della lite.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2010

 

 

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