Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15464 del 22/07/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 15464 Anno 2015
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: MANNA FELICE

SENTENZA
sul ricorso 210-2014 proposto da:
CALABRO’ MARIA EUFEMIA, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA AURELIA 385, presso lo studio dell’avvocato ANDREA
SITZIA, rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONIO MARIO
LABATE, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587 in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

Data pubblicazione: 22/07/2015

- controficotrente –

avverso il decreto nel procedimento R.G. 1506/2012 della CORTE
D’APPELLO di CATANZARO del 13.3.2013, depositato il
15/04/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/04/2015 dal Consigliere Relatore Dott. FELICE MANNA.

Ric. 2014 n. 00210 sez. M2 – ud. 09-04-2015
-2-

IN FATTO
Con ricorso del 6.9.2012 Maria Eufemia Calabrò adiva la Corte d’appello
di Catanzaro per ottenere la condanna del Ministero della Giustizia al
pagamento di un equo indennizzo, ai sensi dell’art.2 della legge 24 marzo

diritti dell’uomo (CEDU), del 4.11.1950, ratificata con legge n. 848/55.
Giudizio presupposto una causa civile avente ad oggetto la revoca d’un
assegno d’invalidità, iniziata innanzi al Tribunale di Palmi il 31.10.2002 e
ancora pendente in grado d’appello alla data di proposizione del ricorso.
Resisteva il Ministero.
Con decreto del 15.4.2013 la Corte d’appello, in parziale accoglimento
della domanda, calcolata in nove anni e dieci mesi la durata complessiva del
giudizio presupposto, e stimata la durata eccedente, al netto di una parte del
termine lungo d’impugnazione, in quattro anni, liquidava l’equa riparazione in
complessivi € 2.800,00, in ragione di E 700,00 per ogni anno di ritardo. Alla
base della scelta di quantificare l’indennizzo in misura inferiore a quella
normalmente prevista in casi analoghi dalla giurisprudenza di legittimità, il
fatto che la domanda era stata respinta in primo grado. Il che denotava il
carattere aleatorio della pretesa e, quindi, la contenutezza del danno morale,
vista la comodità con la quale la parte ricorrente aveva proposto appello,
utilizzando circa un anno per presentare l’impugnazione.
Per la cassazione di tale decreto Maria Eufemia Calabrò propone ricorso,
affidato a un solo motivo.
Resiste il Ministero della Giustizia con controricorso.

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2001, n.89, in relazione all’art. 6, paragrafo 1 della Convenzione europea dei

Il Collegio ha disposto che la motivazione della sentenza sia redatta in
forma semplificata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Con l’unico motivo d’impugnazione è dedotta la violazione o falsa

per il giudizio, in relazione, rispettivamente, ai nn. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c.
Sostiene parte ricorrente che la Corte territoriale non si è attenuta al
consolidato indirizzo di questa Corte, secondo cui per i primi tre anni di
durata irragionevole del giudizio presupposto occorre liquidare l’importo di €
750,00 ad anno, mentre per i successivi l’indennizzo va elevato a € 1.000,00
ad anno; che il paterna d’animo derivante dalla pendenza processuale non è
escluso anche quando l’esito del giudizio sia totalmente sfavorevole alla
parte; e che l’impiego del termine lungo d’impugnazione non è indice di
scarso interesse, ma — nello specifico — conseguenza degli impegni
professionali del difensore.
2. – Il motivo è infondato.
Se è vero che il giudice nazionale deve, in linea di principio, uniformarsi ai
criteri di liquidazione elaborati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo
(secondo cui, data l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di
un danno e non indebitamente lucrativa, la quantificazione del danno non
patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a euro 750,00 per ogni anno
di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non
inferiore a euro 1.000,00 per quelli successivi), permane tuttavia, in capo allo
stesso giudice, il potere di discostarsene, in misura ragionevole, qualora,
avuto riguardo alle peculiarità della singola fattispecie, ravvisi elementi
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applicazione dell’art. 2 legge n. 89/01, nonché l’omesso esame di fatti decisivi

concreti di positiva smentita di detti criteri, dei quali deve dar conto in
motivazione (Cass. nn. 18617/10, 17922/10 e 21284/14).
2.1. – Nella specie, la Corte distrettuale ha adottato un criterio di
liquidazione in linea con quest’ultimo indirizzo, motivando il modesto

presupposto e con il comodo impiego di quasi tutto il termine lungo per
proporre il gravame. Ampio utilizzo che — va ulteriormente osservato a
confutazione dell’argomentazione difensiva della ricorrente — non può essere
efficacemente addebitato agli impegni professionali del difensore, l’attività o
l’inattività del quale è in ogni caso ascrivibile alla parte assistita.
Quanto, poi, alla riduzione dell’indennizzo per il carattere aleatorio della
pretesa, va rilevato, infine, che è sì vero che la circostanza che la causa di
merito abbia avuto un risultato negativo, sia pure prevedibile, è irrilevante ai
fini del riconoscimento del danno non patrimoniale. L’esito sfavorevole della
lite non condiziona, infatti, il diritto alla ragionevole durata del processo, né
incide di per sé sulla pretesa indennitaria della parte che abbia dovuto
sopportare l’eccessiva durata della causa, salvo che essa si sia resa
responsabile di lite temeraria o di un vero e proprio abuso del processo. Ma è
altrettanto vero anche che detto esito può tuttavia incidere riduttivamente sulla
misura dell’indennizzo, allorché la domanda sia stata proposta in un contesto
tale da renderla, se non temeraria, comunque fortemente aleatoria (cfr. Cass.
nn. 24107/09 e 18875/10).
Pertanto, escluso che l’indennizzo annuo di € 700,00 possa ritenersi
inconsistente, e quindi lesivo dell’adeguato ristoro che la giurisprudenza della
Corte europea intende assicurare in relazione alla violazione del termine di
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scostamento con il carattere aleatorio della pretesa azionata nel giudizio

durata ragionevole del processo, la liquidazione operata dalla Corte
territoriale si sottrae alla censura mossa.
3. – Il ricorso va pertanto respinto, con aggravio di spese liquidate come in
dispositivo a carico della parte ricorrente.

pagamento del contributo unificato, non si applica l’art. 13, comma 1-quater
D.P.R. n. 115/02, inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese, che
liquida in € 500,00, oltre spese prenotate e prenotande a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 9.4.2015.

4. – Rilevato che dagli atti il processo risulta esente dall’obbligo di

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