Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15463 del 26/07/2016


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Cassazione civile sez. II, 26/07/2016, (ud. 17/05/2016, dep. 26/07/2016), n.15463

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4634-2012 proposto da:

C.F., (OMISSIS), G.D. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA UGO OJETTI 114, presso lo

studio dell’avvocato FRANCESCO ANTONIO CAPUTO, rappresentati e

difesi dall’avvocato GREGORIO BARBA per proc. spec. del 3/7/2015

rep. n. 105.637;

– ricorrenti –

contro

CO.SA., C.F. (OMISSIS), F.M. C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GIOVANNI NICOTERA 24, presso

lo studio dell’avvocato FRANCESCO SPOSATO, rappresentati e difesi

dall’avvocato GAETANO NICOTERA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 246/2011 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 08/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/05/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO;

udito l’Avvocato Barba Gregorio difensore dei ricorrenti che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. – F.M. e Co.Sa. convennero in giudizio C.F., chiedendo dichiararsi la simulazione relativa del contratto di compravendita stipulato tra le parti il 17.3.1990 e l’efficacia del dissimulato contratto di permuta stipulato tra le parti medesime con scrittura privata del 14.7.1989, con la quale i coniugi Co.- F. ebbero a cedere al C. la proprietà di un terreno edificabile in cambio di tre appartamenti che quest’ultimo si obbligava a costruire e trasferire ai primi; chiesero ancora gli attori il trasferimento coattivo della proprietà degli appartamenti costruiti dal C. e ad essi promessi, nonchè la condanna dello stesso all’adempimento in forma specifica.

Il convenuto resistette alle domande; chiese, in via riconvenzionale, la risoluzione del contratto di permuta per impossibilità sopravvenuta della prestazione a lui non imputabile.

Dopo la costituzione in giudizio di G.D., moglie del C., il Tribunale di Lamezia Terme, in accoglimento delle domande attoree, dichiarò la simulazione relativa del contratto di compravendita stipulato tra le parti il 17.3.1990 e l’efficacia del dissimulato contratto di permuta stipulato con scrittura privata del 14.7.1989; pronunciò il trasferimento della proprietà di tre appartamenti specificamente indicati, condannando altresì il convenuto ad eseguire i lavori necessari per il loro completamento.

2. – Sul gravame proposto in via principale da C.F. e in via incidentale da G.D., la Corte di Appello di Catanzaro, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, confermò la declaratoria di simulazione relativa del contratto di compravendita e di efficacia del dissimulato contratto di permuta, ma rigettò la domanda di trasferimento coattivo della proprietà degli appartamenti edificati dal C. nonchè la domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione da quest’ultimo proposta.

3. – Per la cassazione della sentenza di appello ricorrono C.F. e G.D. sulla base di tre motivi.

Resistono con controricorso F.M. e Co.Sa..

I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Col primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 1 e segg., artt. 82, 156 e 159 c.p.c., per avere la Corte di Appello escluso la nullità della sentenza di primo grado, nonostante la partecipazione al giudizio e la sottoscrizione degli atti processuali degli attori da parte dott.ssa G.F., praticante avvocato, prima che la stessa – il 9.5.1998 – venisse iscritta nell’albo degli avvocati.

La censura non è fondata.

Va premesso che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, condivisa dal Collegio, l’iscrizione nell’albo professionale di cui al R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, artt. 24 e segg. ha natura costitutiva ai fini dell’esercizio della libera professione forense davanti ai Tribunali o alle Corti di appello, con la conseguenza che, nella vigenza della citata normativa, l’atto introduttivo del giudizio di impugnazione sottoscritto da un praticante procuratore, non ancora iscritto nell’albo professionale degli avvocati ed abilitato a svolgere soltanto l’attività indicata nel R.D.L. cit., art. 8 è affetto da nullità assoluta ed insanabile, rilevabile anche d’ufficio in qualsiasi stato e grado del processo, data la stretta attinenza alla costituzione del rapporto processuale. (Sez. 1, Ordinanza n. 20436 del 23/09/2009, Rv. 610035); parimenti, la costituzione in giudizio innanzi al Tribunale in una causa di valore indeterminato tramite patrocinatore legale non ancora iscritto nell’albo professionale degli avvocati ed abilitato a svolgere l’attività nei limiti indicati nel R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 8 è affetta da nullità assoluta ed insanabile, rilevabile anche d’ufficio in qualsiasi stato e grado del processo, riguardando la violazione di norme di ordine pubblico, attinenti alla regolare costituzione del rapporto processuale (Sez. 3, Sentenza n. 26898 del 19/12/2014, Rv. 633782; cfr. anche Sez. 2, Sentenza n. 4357 del 26/07/1985, Rv. 441821).

Ciò premesso, va tuttavia rilevato che l’atto introduttivo del giudizio e il ricorso per sequestro conservato, introduttivo del relativo procedimento incidentale, sono stati sottoscritti, non solo dalla praticante dott.ssa G.F., ma anche dall’avv. G.S.; ciò esclude in radice la carenza di ius postulandi e la nullità degli atti processuali conseguenti.

In realtà, il problema della carenza di ius postulandi si pone – come rilevato dalla Corte territoriale (p. 13 della sentenza impugnata) – soltanto per alcuni atti del procedimento incidentale per sequestro conservativo, conclusosi con ordinanza del 18.3.1998, ossia per: 1) l’istanza di rimessione in termini del 16.12.1997, che è stata firmata solo dalla praticante; 2) la partecipazione della praticante ad alcune udienze in assenza del dominus.

Orbene, per ciò che riguarda la partecipazione della praticante alle udienze, va ribadito il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui, qualora l’avvocato sia sostituito in udienza da praticante non abilitato alla causa, in quanto di valore superiore ai limiti di cui alla L. n. 479 del 1999, art. 7 l’invalidità che ne deriva resta sanata se non sia fatta rilevare entro la prima istanza o difesa successiva, ai sensi dell’art. 157 c.p.c., comma 2, trattandosi di nullità relativa che non incide sulla regolare costituzione in giudizio della parte (Sez. L, Sentenza n. 5579 del 22/03/2016, Rv. 639047).

Nella specie, non avendo la controparte dedotto tempestivamente alcunchè circa la carenza di ius postulandi della dott.ssa G.F., ogni nullità scaturente dalla partecipazione della praticante alle udienze è rimasta sanata.

Quanto alla sottoscrizione dell’istanza di rimessione in termini da parte della praticante, va osservato che la dott.ssa G.F. è stata iscritta nell’albo dell’Ordine degli Avvocati di Lamezia Terme il 9.5.1998 e che legittimamente da tale data e per tutta la fase di merito ha esercitato il suo ufficio di avvocato. La controparte non solo per tutto il giudizio di primo grado nulla ha eccepito circa la carenza dello ius postulandi relativo all’istanza di rimessione in termini, ma non ha neppure impugnato con reclamo il provvedimento di sequestro adottato. Trattasi di provvedimento, adottato in seno ad un procedimento incidentale, del tutto indipendente rispetto al procedimento principale di merito, sull’esito del quale nessuna incidenza ha avuto e nel quale la difesa di parte attrice è stata sempre assicurata da difensori muniti di ius postulandi.

Deve, perciò, farsi applicazione della regola di cui all’art. 159 c.p.c., comma 1, secondo cui la nullità di un atto non comporta la nullità degli atti precedenti o successivi, che ne sono indipendenti.

Invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, la nullità di un atto processuale si estende a quello successivo soltanto nel caso in cui quest’ultimo sia dipendente dall’atto nullo, nel senso che il primo atto sia non solo cronologicamente anteriore, ma anche indispensabile per la realizzazione di quello che segue; non essendo sufficiente, ai fini della propagazione del vizio, che il primo provvedimento, affetto da nullità, abbia creato soltanto l’occasione per l’emissione di altro provvedimento, in tal caso essendo configurabile esclusivamente una ingiustizia nel merito del provvedimento successivo, perchè fondato su una valutazione di fatto condizionata da un provvedimento nullo (Sez. 1, Sentenza n. 9419 del 12/07/2001, Rv. 548102).

Nella specie, poichè il procedimento principale e la relativa sentenza di merito (pronunciata in esito al giudizio di primo grado) sono scaturiti da atti (atto di citazione e successivi atti di parte attrice) del tutto indipendenti dal provvedimento che ha deciso sull’istanza di sequestro e dal relativo sub-procedimento, deve ritenersi che – in forza della regola dettata dall’art. 159 c.p.c., comma 1 – la nullità per difetto di ius postulandi relativa a questi ultimi non ha investito i primi.

Sul punto, va enunciato il seguente principio di diritto:

“Il procedimento principale di merito e la sentenza che definisce il giudizio sono logicamente indipendenti rispetto al provvedimento che decide sull’istanza di sequestro; ne consegue che, nel caso in cui il provvedimento che decide sull’istanza di sequestro sia affetto da nullità assoluta e insanabile per difetto di ius postulandi, tale nullità non si estende al procedimento principale e alla sentenza di merito che definisce il giudizio, giusta il disposto dell’art. 159 c.p.c., comma 1 a tenore del quale la nullità di un atto non importa quella degli atti precedenti nè di quelli successivi che ne sono indipendenti”.

2. – Col secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 178, 191 e 334, nonchè il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per avere la Corte territoriale escluso la qualità di litisconsorte necessaria di G.D., moglie di C.F., e dichiarato conseguentemente inammissibile l’appello incidentale tardivo dalla medesima proposto. Si deduce che la stipulazione dei contratti per cui è causa avvenne prima che i coniugi C.- G. convenissero (il 26.2.1992) la cessazione della comunione legale e optassero per il regime della separazione dei beni, cosicchè il terreno acquistato dal C. divenne oggetto di comunione legale, con conseguente qualità di litisconsorte necessaria di G.D..

La censura è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata sul punto.

Invero, la Corte territoriale ha ritenuto che la questione relativa alla sussistenza di un litisconsorzio necessario nei confronti della G. fosse irrilevante nel giudizio di appello, sia perchè la G. aveva preso parte tanto al giudizio di primo grado quanto a quello di secondo, sia alla stregua delle argomentazioni addotte a sostegno della statuizione di rigetto della domanda di trasferimento della proprietà degli immobili formulata dagli attori (v. p. 28 della sentenza impugnata).

Sul punto, i ricorrenti non hanno preso posizione; nè lamentano peraltro l’esame delle censure proposte con l’appello incidentale tardivo. Ne deriva l’inammissibilità del motivo per difetto di interesse.

3. – Col terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1256 e 1463 c.c., nonchè il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per avere la Corte di Appello confermato il rigetto della domanda riconvenzionale con la quale il convenuto aveva chiesto la risoluzione del contratto di permuta per impossibilità sopravvenuta della prestazione. Si deduce che i giudici di appello avrebbero errato nel valutare le prove documentali e testimoniali acquisite ed erroneamente avrebbero concluso per la mancanza di prova della non imputabilità al convenuto dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione, ritenendo che il C. non avesse fatto quanto gli era possibile per ottenere il rilascio della concessione edilizia e non avesse inteso pagare gli oneri di urbanizzazione o sottoscrivere polizza fideiussoria; secondo i ricorrenti, in realtà, il mancato rilascio della concessione edilizia sarebbe dipeso dall’inclusione dell’area nella “zona di recupero” del P.R.G. comunale.

La censura è inammissibile.

Il ricorrente, infatti, critica – nella sostanza – la valutazione delle prove da parte dei giudici di merito e le conclusioni cui essi sono pervenuti in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale. La valutazione delle prove, tuttavia, è riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito e non è sindacabile in cassazione; a meno che ricorra una mancanza o illogicità della motivazione, ciò che – nel caso di specie – deve però escludersi.

Sul punto va ricordato il principio, recentemente affermato dalla Sezioni unite di questa Corte, secondo cui la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento. Non sussiste, invece, tale vizio ove vi sia esclusivamente difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente in ordine agli elementi delibati, non essendo possibile una revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito al fine di ottenere una nuova pronuncia sul fatto (Cass., Sez. U, sentenza n. 24148 del 25 ottobre 2013, Rv. 627790).

4. – Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 4.200,00 (quattromiladuecento), di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 17 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2016

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