Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15463 del 01/06/2021

Cassazione civile sez. lav., 03/06/2021, (ud. 19/01/2021, dep. 03/06/2021), n.15463

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26647/2015 proposto da:

TELECOM ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L. G. FARAVELLI 22,

presso lo studio degli avvocati ENZO MORRICO, ARTURO MARESCA,

ROBERTO ROMEI, FRANCO RAIMONDO BOCCIA, che la rappresentano e

difendono;

– ricorrente –

contro

T.P., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO

EMANUELE II 209, presso lo studio dell’avvocato LUCA SILVESTRI,

rappresentata e difesa dall’avvocato ERNESTO MARIA CIRILLO;

– controricorrente –

e contro

TELEPOST S.P.A.;

– intimata –

sul ricorso 27757/015 proposto da:

TELEPOST S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo

studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ANDREA UBERTI;

– ricorrente –

contro

T.P., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO

EMANUELE II 209, presso lo studio dell’avvocato LUCA SILVESTRI,

rappresentata e difesa dall’avvocato ERNESTO MARIA CIRILLO;

TELECOM ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L. G. FARAVELLI 22,

presso lo studio degli avvocati ENZO MORRICO, ARTURO MARESCA,

ROBERTO ROMEI, FRANCO RAIMONDO BOCCIA, che la rappresentano e

difendono;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3250/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 28/05/2015, R.G.N. 9232/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/01/2021 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi;

udito l’Avvocato ELISA PUCCETTI, per delega verbale Avvocato ANDREA

UBERTI;

udito l’Avvocato GAETANO GIANNI’, per delega verbale Avvocato ARTURO

MARESCA;

udito l’Avvocato ALFREDO CIRILLO, per delega verbale Avvocato ERNESTO

MARIA CIRILLO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. T.P. convenne in giudizio Telepost s.p.a. e Telecom Italia s.p.a. ed espose:

– che in un precedente giudizio era stata accertata e dichiarata l’inefficacia della cessione di ramo d’azienda tra Telecom Italia s.p.a. e Telepost s.p.a.;

– condannata la Telecom a ripristinare il rapporto di lavoro;

– dichiarata l’illegittimità del mutamento di mansioni disposto da Telecom dal luglio 2003;

– ordinata la restituzione della ricorrente alle mansioni in precedenza svolte;

– condannate le società, per i periodi di rispettiva competenza, al risarcimento del danno da dequalificazione quantificato in Euro 400,00 mensili oltre interessi legali sulle somme annualmente rivalutate.

1.1. Tanto premesso dedusse la ricorrente che Telecom s.p.a. non aveva dato esecuzione alla sentenza; che il demansionamento presso Telepost s.p.a. si era protratto nel tempo poichè le mansioni erano rimaste le medesime; che per l’effetto si era aggravato il danno professionale a cagione della lunga durata dell’inadempimento e ne era derivato altresì un danno esistenziale.

1.2. Chiese perciò la condanna delle convenute al risarcimento dei danni ulteriori riportati.

2. Sia Telepost s.p.a. che Telecom Italia s.p.a. si costituirono per resistere al ricorso.

2.1. La prima eccepì di aver impugnato la sentenza che aveva annullato la cessione e condannato al risarcimento e che comunque le mansioni alle quali era stata adibita la lavoratrice erano le medesime già svolte presso la cedente e comunque le uniche disponibili in azienda.

2.2. Telecom Italia s.p.a. invece dedusse la propria carenza di legittimazione passiva sul rilievo che il demansionamento denunciato era riferibile ad un periodo successivo alla cessione del ramo di azienda.

3. Il Tribunale in parziale accoglimento del ricorso condannava le società convenute in solido tra loro al risarcimento del danno per il periodo dall’agosto 2005 al novembre 2009 che quantificava in Euro 900,00 mensili oltre accessori dovuti per legge.

4. La Corte di appello di Napoli decidendo sui gravami proposti da Telepost s.p.a. e da Telecom Italia s.p.a. confermava la decisione del primo giudice osservando:

– che avverso la sentenza di appello che aveva confermato l’accertamento dell’inefficacia della cessione e l’assegnazione a mansioni dequalificanti, condannando in solido le società al risarcimento del danno, non era stato proposto ricorso per cassazione e dunque era passata in giudicato;

– che tale giudicato era utilizzabile ai fini della decisione della controversia, avente ad oggetto il danno da demansionamento per il periodo immediatamente successivo a quello esaminato dalla sentenza passata in giudicato atteso che non erano stati allegati elementi che potevano indurre ad approfondimenti istruttori in ordine alla sussistenza del danno con riguardo alla quale la lavoratrice aveva fornito puntuali allegazioni;

– ha escluso che Telepost s.p.a. fosse stata manlevata in sede di cessione di ramo d’azienda da Telecom Italia s.p.a.;

– al riguardo ha evidenziato che in atti non era stato prodotto l’allegato H alla cessione dal quale si assumeva che potesse essere desunto tale obbligo di manleva;

– ha osservato poi che comunque non avrebbe potuto coprire fatti verificatisi successivamente alla cessione.

5. Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso Telecom Italia s.p.a. con un unico motivo al quale ha resistito con controricorso T.P.. Telepost s.p.a. ha del pari proposto ricorso avverso la medesima sentenza articolato in sei motivi. Sia Telecom Italia s.p.a. che T.P. hanno opposto difese con separati controricorsi. Telepost s.p.a. ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.. Nell’impossibilità di una riconvocazione del Collegio a causa del collocamento fuori ruolo del Presidente, la causa è stata rimessa sul ruolo per essere decisa all’udienza odierna in vista della quale le parti hanno depositato memorie illustrative ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. Va preliminarmente dato atto che i due ricorsi, proposti in via autonoma avverso la medesima sentenza da Telecom s.p.a. e da Telepost s.p.a. sono stati riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

7. Ciò posto, il motivo di ricorso con il quale la società Telecom Italia si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 2112 e 1223 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non può essere accolto.

7.1. La Corte di merito ha accertato che in un precedente giudizio era stata dimostrata: l’illegittimità della cessione del ramo di azienda da Telecom Italia s.p.a. a Telepost s.p.a.; l’esistenza di un demansionamento presso Telecom e poi, a seguire, presso la cessionaria; la responsabilità solidale delle due società per il danno conseguente fino alla data di proposizione di quel ricorso (20.7.2005) ciascuna per il periodo di sua competenza.

7.1. Ha poi verificato che la condanna solidale nella sentenza qui impugnata era stata disposta in quanto Telecom aveva concorso nel verificarsi del danno essendo rimasta inadempiente all’obbligo, che su di lei gravava, di ricostituire il rapporto di lavoro restituendo la lavoratrice a mansioni proprie del suo livello di inquadramento.

7.2. Si tratta di una ricostruzione in fatto che non è neppure censurata con il ricorso che si appunta piuttosto sul fatto che l’inadempimento sarebbe riferibile in via esclusiva alla società cessionaria che aveva in carico il rapporto di lavoro.

7.3. Va invece considerato che ciò che è stato accertato è che due condotte autonome e differenti hanno concorso, ciascuna autonomamente, nel verificarsi dell’unico danno denunciato per il periodo in osservazione conseguente alla mancata adibizione a mansioni proprie del livello di inquadramento della lavoratrice. Il demansionamento della lavoratrice è conseguenza del comportamento della cedente che in corso di rapporto ha assegnato la lavoratrice a mansioni non corrispondenti al suo profilo e, successivamente all’accertamento della nullità della cessione del ramo di azienda è rimasta inadempiente all’obbligo di ricostituire il rapporto di lavoro con assegnazione alle mansioni accertate nella sentenza già passata in giudicato. Con esso concorre il comportamento della cessionaria che ha perseverato nel mantenere la lavoratrice in mansioni che non si confacevano al suo inquadramento. In conclusione il ricorso della Telecom s.p.a. deve essere rigettato.

8. Neppure il ricorso proposto da Telepost s.p.a. può essere accolto.

8.1. I primi due motivi di ricorso, con i quali è denunciata la violazione dell’art. 124 disp. att. c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. (primo motivo) e la violazione degli artt. 115 e 324 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c., devono essere esaminati congiuntamente, poichè attengono entrambi all’utilizzazione da parte della Corte territoriale del giudicato esterno formatosi nella controversia avente ad oggetto la cessione del ramo di azienda tra Telecom e Telepost e l’accertamento del demansionamento della lavoratrice, e sono inammissibili.

8.1. Era onere della società ricorrente che allega di aver contestato l’esistenza del giudicato davanti alla Corte di merito specificatamente riportare come dove e quando tali eccezioni, che non risultano dalla lettura della sentenza impugnata, erano state sollevate ed esattamente in che termini così da consentire alla Collegio di verificare contenuto e portata dell’eccezione svolta ed escludere che la stessa sia stata sollevata solo davanti a questa Corte.

9. Del pari è inammissibile la censura formulata nel terzo motivo di ricorso atteso che la Corte di merito ha in fatto accertato che le mansioni sono rimaste analoghe a quelle già assegnate alla lavoratrice quando era ancora dipendente Telecom escludendo, evidentemente, che l’implementazione delle procedure esistenti da parte della cessionario avesse ristabilito un equilibrio tra le mansioni svolte ed il profilo di inquadramento posseduto. Si tratta di accertamento di fatto non più censurabile.

10. Quanto poi al denunciato omesso esame di fatti decisivi in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed alla violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione agli artt. 2103 e 1256 c.c., per essere la cedente Telecom tenuta a ripristinare il rapporto ed a rivedere le mansioni cui assegnare la lavoratrice, si osserva che da un canto la censura formulata in termini di vizio di motivazione è inammissibile per le medesime considerazioni svolte in relazione al precedente motivo di ricorso.

10.1. Con riguardo alla denunciata violazione di legge si osserva che, come si è ricordato nell’esaminare il ricorso della Telecom s.p.a., pur in presenza di un rapporto di lavoro quiescente con l’originaria impresa cedente, ripristinato de iure con la declaratoria giudiziale di invalidità del trasferimento, vi è una prestazione materialmente resa in favore del soggetto con il quale il lavoratore, illegittimamente trasferito con la cessione di ramo d’azienda poi annullata, ha instaurato un rapporto di lavoro in via di fatto e tale distinto rapporto di lavoro non è la mera prosecuzione del precedente ed è produttivo di effetti giuridici e quindi di obblighi in capo al soggetto che in concreto utilizza la prestazione lavorativa del ceduto nell’ambito della propria organizzazione imprenditoriale e tra essi quello che discende dall’operatività dell’art. 2103 c.c., che governa la disciplina dell’assegnazione delle mansioni del prestatore di lavoro subordinato. L’eventuale violazione di tale norma non può che essere imputata a chi utilizza la prestazione e che ha il potere di assegnare le mansioni con la conseguenza che cessionario che in concreto utilizza la prestazione lavorativa.

11. Va rigettato il quinto motivo di ricorso con il quale è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 2103 e 2697 c.c., atteso che la Corte di merito, in adesione alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, dalla stessa ricorrente ricordata, ha ritenuto provato il danno con ragionamento presuntivo e sulla base delle allegazioni al riguardo della ricorrente oggettivamente accertate (durata e importanza dell’inadempimento e rapida obsolescenza delle conoscenze nel settore di destinazione).

12. Quanto alla denunciata violazione degli artt. 1362,1363 e 1367 c.c., da parte della Corte di merito nell’interpretare le clausole di garanzia allegate al contratto di cessione di ramo di azienda va rilevato che il contratto risulta allegato solo per stralcio e le clausole sono riprodotte per brevi estratti risultandone così violato il combinato disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.

13. In conclusione, per le ragioni esposte, entrambi i ricorsi devono essere rigettati. Devono essere compensaste le spese tra Telecom Italia s.p.a. e Telepost s.p.a. mentre vanno poste a carico delle società soccombenti quelle sostenute dalla controricorrente T.P. che, nella misura liquidata in dispositivo, devono essere distratte in favore dell’avvocato Ernesto Maria Cirillo che se ne è dichiarato antistatario. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte delle ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per i ricorsi a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R., se dovuto.

PQM

La Corte rigetta entrambi i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento in solido delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 6.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge. Spese da distrarsi. Compensa le spese tra Telecom Italia s.p.a. e Telepost s.p.a..

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2021

 

 

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