Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15461 del 14/07/2011

Cassazione civile sez. III, 14/07/2011, (ud. 09/05/2011, dep. 14/07/2011), n.15461

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MASSERA Maurizio – Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

Dott. LEVI Giulio – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 10121/2009 proposto da:

COOPERATIVA LORENZA II A R.L. IN LIQUIDAZIONE (OMISSIS), in

persona del liquidatore pro tempore Sig. C.V.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14, presso lo

studio dell’avvocato BARBANTINI FEDELI Maria Teresa, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GODINO ANDREA giusta

delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PDR DE REGE S.P.A. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante Ing. B.M., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA CLAUDIO MONTEVERDI 20, presso lo studio dell’avvocato LAIS

Giulio, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato BAZZANI

VIRGILIO giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1459/2008 della CORTE D’APPELLO di GENOVA –

SEZIONE TERZA CIVILE, emessa il 20/11/2008, depositata il 17/12/2008,

R.G.N. 2176/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/05/2011 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

udito l’Avvocato BARBANTINI FEDELI MARIA TERESA;

udito l’Avvocato BAZZANI STEFANO (per delega dell’Avv. BAZZANI

VIRGILIO);

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nel febbraio 1999 PDR De Rege s.p.a. convenne innanzi al Tribunale di Genova la Cooperativa Lorenza II, chiedendone la condanna al pagamento dell’indennizzo previsto dall’art. 1671 cod. civ.. Dedusse di essere subentrata in un contratto di appalto stipulato con la convenuta dalla propria dante causa, Parodi & De Rege s.p.a., avente ad oggetto la realizzazione di un parcheggio sotterraneo, in attuazione della legge Tognoli, contratto dal quale l’appaltatrice era unilateralmente receduta.

Costituitasi in giudizio, la Cooperativa Lorenza II contestò la domanda, eccependo l’inadempimento dell’attrice, che avrebbe dovuto manlevarla nei confronti del Comune da ogni onere di garanzia ma che a tale obbligazione si era sottratta con argomentazioni pretestuose.

Chiese quindi il rigetto dell’avversa pretesa e, in via riconvenzionale, la condanna di PDR De Rege al risarcimento dei danni costituiti dal maggior costo sostenuto per la realizzazione dell’opera.

Con sentenza del 4 ottobre 2004 il giudice adito, in accoglimento della domanda, condannò la Cooperativa al pagamento, in favore della società attrice, della somma di Euro 122.494,54, oltre rivalutazione, interessi e spese. Proposto dalla soccombente gravame, la Corte d’appello lo ha respinto in data 17 dicembre 2008.

Avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione la Cooperativa Lorenzo II s.r.l., formulando cinque motivi. Resiste con controricorso PDR Bianchi De Rege s.p.a. (già PDR De Rege s.p.a.).

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 Col primo motivo l’impugnante lamenta violazione degli artt. 2558 e 1406 cod. civ.. Deduce che la lettura sistematica dei primi due commi dell’art. 2558 cod. civ. impone di ritenere che l’acquirente dell’azienda subentra in tutti i contratti che non abbiano carattere personale, in assenza di una contraria pattuizione tra alienante e acquirente che escluda tale automatica successione, ma che tuttavia il terzo acquirente può recedere dal contratto entro tre mesi per giusta causa. Sostiene quindi che, contrariamente a quanto affermato dal giudice di merito, il termine se non è pattuito diversamente, con cui si apre la disposizione codicistica richiamata, va inteso come espressivo di una facoltà delle parti, tra le quali sia intervenuta la cessione di azienda, di evitare l’automatica successione che altrimenti si verificherebbe ex lege per tutti i contratti che non abbiano carattere personale, non già come facoltà di estendere la cessione anche ai contratti che invece tale carattere abbiano.

Assume quindi che il contratto di appalto stipulato con la controparte aveva sicuramente carattere personale, stante il rilievo dirimente delle garanzie finanziarie che l’appaltatore doveva fornire. In ogni caso, aggiunge, su tale profilo della controversia, si era ormai formato il giudicato interno.

Formula quindi il seguente quesito:

dica la Corte se l’art. 2558 cod. civ., debba essere interpretato nel senso che la diversa pattuizione prevista nel comma 1 di detto articolo, si riferisca alla possibilità, per le parti della cessione di azienda, di estendere l’automatica successione dell’acquirente nei contratti di impresa anche ai contratti che abbiano carattere personale, senza che per la cessione di questi ultimi sia indispensabile il consenso del terzo contraente ceduto, ex art. 1406 cod. civ..

1.2 Con il secondo mezzo la ricorrente deduce violazione dell’art. 1372 cod. civ. e art. 81 cod. proc. civ.. Sostiene che erroneamente la Corte d’appello aveva riconosciuto a PDR De Rege s.p.a. la legittimazione attiva in relazione a domande attinenti a un rapporto di cui la stessa non era mai stata parte. Ricorda che, stipulato il contratto di appalto in data 29 novembre 1996 fra la Cooperativa Lorenza II, da una parte, e la società PARODi & De Rege s.p.a.

dall’altra, la cooperativa, in ragione dei prolungati inadempimenti di quest’ultima, le aveva comunicato una diffida ad adempiere che era rimasta inevasa. Essendosi quindi il contratto risolto di diritto, allo scadere del termine assegnato, ex art. 1454 cod. civ., erroneamente, la Corte d’appello aveva affermato la titolarità del rapporto in capo alla controparte.

Formula il seguente quesito di diritto:

dica la Corte se debba essere riconosciuta la legittimazione ad causam a un soggetto che si afferma titolare di un diritto contrattuale controverso, acquistato a titolo particolare, in assenza di presupposti – di legge ovvero negoziali – per il valido trasferimento del diritto stesso, invece che al contraente affermato suo dante causa.

1.3 Con il terzo mezzo si deducono violazione dell’art. 1453 cod. civ., nonchè vizi motivazionali, in relazione al negativo apprezzamento del giudice di merito della decisione di PARODI & De Rege s.p.a. di mettersi in liquidazione, in termini di inadempimento contrattuale di tale rilevanza da giustificare il rifiuto della Cooperativa Lorenza II di proseguire nel rapporto.

Ricordato che ai liquidatori è vietato intraprendere nuove operazioni, sostiene che la Corte d’appello avrebbe incongruamente valorizzato la mancanza di prova che la messa in liquidazione era stata effettuata con la consapevolezza di nuocere alle ragioni della cooperativa.

Formula, con riferimento alla violazione di legge, il seguente quesito:

dica la Corte se l’inadempimento che legittima l’azione di risoluzione ovvero l’eccezione inadimplenti non est adimpendum debba comportare anche la consapevolezza della parte inadempiente di recare pregiudizio alle ragioni di controparte.

1.4 Col quarto motivo l’impugnante denuncia mancanza di motivazione in ordine alla quantificazione del preteso, mancato guadagno spettante a PDR De Rege s.p.a., ex art. 1671 cod. civ.. Sostiene che la Corte d’appello ha acriticamente confermato la decisione del Tribunale, la quale aveva, a sua volta, fatte proprie le conclusioni del nominato esperto, ignorando del tutto le articolate osservazioni svolte nell’atto di gravame.

1.5 Col quinto mezzo, infine, si duole della sua condanna a rifondere alla controparte le spese dei due gradi di giudizio.

2 Il ricorso è inammissibile per plurime e concorrenti ragioni.

I rilievi svolti nei primi tre motivi, che si prestano a essere esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono anzitutto eccentrici rispetto alle ragioni della decisione.

Valga al riguardo considerare che il giudice di merito, pur avendo confutato l’assunto dell’appellante volto a far valere il carattere personale del contratto dedotto in giudizio – e dunque la sua non automatica cedibilità all’acquirente dell’azienda – con il rilievo che trattavasi di questione priva di pratica rilevanza, essendo stato il contratto stesso oggetto di specifica cessione, ha poi di fatto ragionato come se il contratto fosse un contratto d’impresa, andando a verificare se il terzo contraente (nella fattispecie, la Cooperativa) avesse o meno manifestato la sua volontà di recedere entro tre mesi dalla notizia del trasferimento. E in tale prospettiva, verificati puntigliosamente gli elementi emersi dalla compiuta istruttoria, ha ritenuto condivisibile l’opinione del giudice di prime cure in ordine alla intempestività del recesso comunicato dalla controparte. Ha evidenziato, in proposito, che la cessione di azienda era stata formalizzata il 27 ottobre 1997; che la notizia era stata data il successivo giorno 28 o, a tutto concedere, il 2 dicembre 2007; laddove la volontà di recedere era stata manifestata dal contraente ceduto solo all’udienza del 29 aprile 1998, nell’ambito del procedimento instaurato da P.D.R., per ottenere in via di urgenza la consegna dell’area: ben oltre, dunque, il termine di tre mesi previsto dall’art. 2558 cod. civ., comma 2.

Occupandosi poi degli evocati effetti risolutori della diffida, ha ritenuto che, successivamente alla scadenza del termine con essa assegnato, la cooperativa aveva posto in essere comportamenti incompatibili con la volontà di sciogliere il contratto.

Infine, in ordine all’apprezzamento in termini di inadempimento della decisione di PARODI di mettersi in liquidazione, ha affermato che la stessa costituiva al più un atto idoneo a legittimare il timore dell’inadempimento.

3 A fronte di tale percorso argomentativo, l’impugnante non attacca le effettive ragioni poste dal giudice di merito a sostegno del suo convincimento in relazione ai vari profili della controversia oggetto di censura.

Nulla dice, invero, nè sulla ritenuta, tardiva manifestazione della volontà di recedere dal contratto; nè sulla esternazione di una volontà incompatibile con l’effetto risolutorio, pur dopo la scadenza del termine assegnato con la diffida; nè, ancora, sulla inidoneità del mero timore di inadempimento, ingenerato da una delibera di messa in liquidazione, a legittimare una domanda di risoluzione, che sono gli snodi cruciali dell’iter motivazionale del provvedimento impugnato.

Ne deriva che i motivi di ricorso non minano minimamente la capacità delle non censurate argomentazioni svolte dalla Corte d’appello a giustificare giuridicamente e logicamente la decisione adottata.

4 A ciò aggiungasi che i quesiti, nella parte in cui si riferiscono alle evocate violazioni di legge, non risultano correttamente formulati.

Si ricorda in proposito che la funzione propria del quesito di diritto è di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (confr. Cass. civ. 25 marzo 2009, n. 7197). Di qui l’enucleazione, come fondamentale criterio di scrutinio della corretta formulazione del quesito stesso, della sua conferenza, rispetto alla fattispecie dedotta in giudizio, nonchè della sua rilevanza, ai fini della decisione del ricorso (confr. Cass. civ. 4 gennaio 2011).

5 Nella fattispecie i quesiti articolati a sostegno degli evocati errores in iudicando sono astratti e incongrui non solo rispetto alla ratio decidendi del provvedimento impugnato, ma alle stesse censure svolte nei motivi ai quali accedono.

6 Sono poi del pari inammissibili le critiche con le quali si denunciano vizi motivazionali, e quindi, quelle svolte nella seconda parte del terzo motivo, nonchè nel quarto e nel quinto mezzo.

E invero, ai sensi della seconda parte dell’art. 366 bis cod. proc. civ., è inammissibile il motivo di ricorso per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5) nel quale manchi l’esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali, la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (confr. Cass. civ. 14 ottobre 2008, n. 25117). Ciò significa che la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (confr. Cass. civ. 1 ottobre 2007, n. 20603).

Nella fattispecie siffatto momento di sintesi difetta del tutto.

In definitiva il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Segue la condanna dell’impugnante al pagamento delle spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 7.200,00 (di cui Euro 7.000,00 per onorari), oltre I.V.A. e C.P.A., come per legge.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2011

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