Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15460 del 14/07/2011

Cassazione civile sez. III, 14/07/2011, (ud. 09/05/2011, dep. 14/07/2011), n.15460

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MASSERA Maurizio – Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

Dott. LEVI Giulio – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28108/2006 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (OMISSIS), in persona del

Ministro pro tempore elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è

difeso per legge;

– ricorrente –

contro

AUTOSERVICE G.S. DI SALAMINA G.B.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 132/2005 del GIUDICE DI PACE di SORESINA,

emessa il 1/07/2005, depositata il 06/07/2005, R.G.N. 129/C/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/05/2011 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze propose opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso in data 17 maggio 2002 dal Giudice di Pace di Soresina, su istanza di Autoservice G.S. di Salamina G.B., per il pagamento dell’importo di Euro 834,49, reclamato dall’ingiungente quale compenso per attività di custodia di un veicolo sottoposto a confisca.

Sostenne l’opponente il proprio difetto di legittimazione passiva perchè, a seguito della istituzione delle Agenzie fiscali, disposta dal D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, la pretesa doveva essere indirizzata all’Agenzia del Demanio.

Con sentenza del 6 luglio 2005 l’opposizione è stata rigettata.

Ricorre per cassazione il Ministero, formulando due motivi.

Nessuna attività difensiva ha svolto l’intimata Autoservice.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo l’impugnante denuncia violazione del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, artt. 57 e 61; del D.M. 28 dicembre 2000, n. 1390; dell’art. 100 cod. proc. civ., nonchè mancanza, insufficienza e contraddittorietà della motivazione, ex art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5. Deduce che il provvedimento monitorio era stato emesso nei confronti del Ministero delle Finanze, Ufficio del territorio di Cremona, Rep. 4^, Sez. Demanio, di talchè, contrariamente all’opinione espressa dal giudice di merito, destinatario dell’ingiunzione di pagamento era il predetto Ministero, non già, come ritenuto dal decidente, l’Agenzia del Demanio, e cioè il soggetto subentrato per legge nella titolarità passiva del rapporto dedotto in giudizio.

2. Col secondo mezzo il ricorrente lamenta violazione dell’art. 633 cod. proc. civ., ex art. 360 cod. proc. civ., n. 3, con riferimento alla ritenuta sussistenza dei presupposti per l’attivazione della tutela monitoria, laddove, in mancanza di un decreto di liquidazione da parte del giudice che aveva nominato l’ausiliario, ex artt. 61 e 65 cod. proc. civ., il credito azionato mancava di liquidità. In ogni caso, una volta proposta l’opposizione e contestati l’esistenza e l’ammontare del credito azionato, sarebbe spettato all’opposto dimostrare i fatti costitutivi della sua pretesa.

3.1 Il ricorso è infondato.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno tracciato, sin dalla sentenza 15 ottobre 1999, n. 716, i limiti del controllo esercitabile nei confronti delle sentenze pronunziate dal Giudice di Pace secondo equità, cui certamente appartiene, per ragioni di valore, la presente controversia. A tale fine hanno enunciato il principio per cui il ricorso per cassazione avverso le suddette sentenze è ammissibile per violazione di norme processuali, ex art. 360 cod. proc. civ., comma 1, nn. 1, 2 e 4, ivi compresa l’ipotesi di inesistenza della motivazione, per radicale e insanabile contraddittorietà o mera apparenza della stessa, ai sensi del n. 5 della predetta norma, quando il vizio attenga a un punto decisivo della controversia, e, con riferimento agli errores in iudicando, per violazione di norme costituzionali, di norme comunitarie di rango superiore a quelle ordinarie, nonchè, a seguito della pronuncia della Corte costituzionale 6 luglio 2004, n. 206 (e con l’avvertenza che ci si riferisce alla situazione antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006, che ha, entro certi limiti, reintrodotto in parte qua, il rimedio dell’appello) per violazione dei principi informatori della materia.

La successiva elaborazione della giurisprudenza di legittimità ha poi evidenziato che questi differiscono dai principi regolatori, che vincolavano il conciliatore, perchè, mentre quest’ultimo doveva osservare le regole fondamentali del rapporto, traendole dal complesso delle norme preesistenti con le quali il legislatore lo aveva disciplinato, il Giudice di pace non deve applicare una regola equitativa desunta, per via di astrazione generalizzante, dalla disciplina positiva, ma deve solo curare che essa non contrasti con i principi ai quali si è ispirato il legislatore nel dettare una determinata regolamentazione della materia (Cass. civ. 3, 17 gennaio 2005, n. 743; Cass. civ. 2, 18 giugno 2008, n. 16545).

3.2 Con particolare riguardo alle questioni poste dal presente giudizio, merita poi precisare che, mentre il difetto (o la sussistenza) di effettiva titolarità attiva o passiva del rapporto sostanziale non può essere dedotto come motivo di ricorso per cassazione contro le sentenze emesse dal giudice di pace ai sensi dell’art. 113 cod. proc. civ., comma 2, comportando una disamina e una decisione attinente al merito della controversia, il controllo circa la legitimatio ad causam, esercitabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, si risolve nell’accertare se, secondo la prospettazione del rapporto controverso data dall’attore, questi e il convenuto assumano, rispettivamente, la veste di soggetto che ha il potere di chiedere la pronuncia giurisdizionale e di soggetto tenuto a subirla, onde il relativo difetto (di legitimatio ad causam, appunto) è deducibile come motivo di ricorso per cassazione avverso le sentenze emesse secondo equità dal giudice di pace, risultando detto giudice tenuto (come detto) all’osservanza delle norme formali e alla verifica in specie della regolare costituzione del rapporto processuale (cfr. Cass. civ., 1, 20 novembre 2003, n. 17606; Cass. civ., 3, 1 marzo 2004, n. 4121).

4 Ciò posto, ciò di cui il ricorrente si duole, nel primo motivo di ricorso, è la valutazione del giudice di merito in ordine all’effettivo destinatario del provvedimento monitorio, individuato dal decidente nell’Agenzia del Demanio, e cioè proprio nel soggetto che, secondo lo stesso impugnante, ha, in definitiva, la titolarità passiva della pretesa azionata.

Ne deriva che, a prescindere dai profili di inammissibilità, per carenza di interesse, del proposto ricorso, la censura coinvolge l’interpretazione della domanda giudiziale, la quale, come è del tutto pacifico, costituisce operazione riservata al giudice del merito, il cui giudizio, risolvendosi in un accertamento di fatto, non è censurabile in sede di legittimità quando sia motivato in maniera congrua e adeguata (Cass. civ., 9 settembre 2008, n. 22893).

5. Prive di pregio sono altresì le critiche svolte nel secondo mezzo.

In proposito è sufficiente osservare che il Giudice di Pace ha motivato il suo convincimento rilevando che il decreto ingiuntivo opposto era basato su prova scritta idonea, costituita da fattura e da estratti autentici delle scritture contabili e, in ordine al quantum debeatur, che i compensi per l’attività di custodia corrispondevano a quelli previsti dalle tariffe concordate con il Ministero.

6. Ciò significa che l’idoneità della prova scritta offerta dall’istante, ai fini dell’adozione del provvedimento monitorio, è stata valutata alla stregua delle previsioni normative che regolano la materia, e segnatamente del disposto dell’art. 634 cod. proc. civ., mentre l’apprezzamento della debenza e congruità della somma domandata, non che integrare violazione dei principi-informatori della materia, è questione di stretto merito.

Nulla sulle spese, non essendosi l’intimato costituito in giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2011

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