Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1546 del 19/01/2022

Cassazione civile sez. trib., 19/01/2022, (ud. 17/12/2021, dep. 19/01/2022), n.1546

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6270/2015 R.G. proposto da:

C.P.P., rappresentato e difeso dall’Avv. Generoso

Bloise, con domicilio eletto in Roma, via Borghesano Lucchese, n.

19, presso lo studio dello stesso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, Direzione provinciale III di Roma, Ufficio

territoriale di Albano Laziale, in persona del Direttore pro

tempore;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

n. 4509/35/14 depositata il 7 luglio 2014.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 17 dicembre

2021 dal Consigliere Giuseppe Nicastro.

 

Fatto

RILEVATO

che:

il 10/16 ottobre 2008, l’Agenzia delle entrate notificò a C.P.P., nella qualità di amministratore di fatto di IN4MATICA s.r.l., cinque avvisi di accertamento, relativi ai periodi d’imposta dal 2001 al 2005, con i quali accertò, in capo alla predetta società, maggiori IRPEG, IRAP e IVA, irrogando le correlative sanzioni sia nei confronti della società sia nei confronti del C.;

C.P.P. impugnò l’avviso di accertamento davanti alla Commissione tributaria provinciale di Roma, che rigettò il ricorso del contribuente;

avverso tale pronuncia, C.P.P. propose appello alla Commissione tributaria regionale del Lazio (hinc anche: “CTR”), che lo rigettò;

in particolare, la CTR, dopo avere esposto dottrina e giurisprudenza sulla figura dell’amministratore di fatto, motivò: a) quanto alle sanzioni irrogate con gli impugnati avvisi di accertamento, che “non è fuori di luogo rilevare che in materia di sanzioni amministrative tributarie, il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 11, parifica la figura del legale rappresentante e amministratore di società con quella dell’amministratore di fatto, sancendo formalmente la diretta responsabilità anche di quest’ultimo per le sanzioni tributarie (Cass. n. 25809 del 12/06/2013). L’originario principio fondante del D.Lgs. n. 472 del 1997, sulla responsabilità personale, è stato modificato dal D.L. n. 269 del 2003, art. 7, secondo cui le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica, ovvero del soggetto che ha tratto effettivo beneficio dalla violazione, ossia, nel caso di specie, l’amministratore di fatto”; b) quanto alla qualità di amministratore di fatto del C., che “(n)ella specie risulta che il formale rappresentante della IN4MATICA è del tutto irreperible se non addirittura con identità contraffatta mentre il C. ha esercitato di fatto poteri di gestione della società, aprendo il conto corrente bancario ad essa intestato. Egli era inoltre depositarlo della documentazione riferibile alla società nonché delle password di accesso alla posta elettronica della stessa e dei recapiti dei fornitori. Tutto ciò fa ritenere corretta la ricostruzione dell’Ufficio che ha attribuito al C. le funzioni di amministratore di fatto e non risulta adeguatamente confutato dal ricorrente dovendosi escludere che un mero dipendente peraltro “in nero” e oltretutto temporaneo possa svolgere le funzioni anzidette e con il livello di responsabilità che se ne deve desumere dovendo quindi prevalere il dato sostanziale rispetto a quello formale”;

avverso tale decisione – depositata in segreteria il 7 luglio 2014 -ricorre per cassazione C.P.P., che affida il proprio ricorso, notificato il 23/25 febbraio 2015, a due motivi;

l’Agenzia delle entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro tempore, ha depositato una “nota” con la quale si è Costituita al solo fine dell’eventuale partecipazione alla discussione orale.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cit. cod., dell’art. 2729 c.c., e del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4, per avere la CTR, con riguardo alla ritenuta qualità di amministratore di fatto del C., “errato nel non valutare sotto qualsivoglia profilo le possibili diverse giustificazioni logiche e giuridiche degli elementi indiziari valutando se gli stessi non fossero giustificabili in modo diverso rispetto alla prospettazione erariale per essere considerati gravi, precisi e concordanti”;

con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione o falsa applicazione del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 7, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 novembre 2003, n. 326, per avere la CTR ritenuto l’applicabilità delle sanzioni nei confronti dell’amministratore di fatto;

il primo motivo non è fondato;

va anzitutto ribadito che, “(i)n tema di prova per presunzioni, il giudice, posto che deve esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento” (Cass., 06/06/2012, n. 9108, 02/03/2017, n. 5374);

questa Corte ha altresì affermato il principio, al quale il Collegio intende pure dare continuità, secondo cui, “(i)n tema di società, la persona che, benché priva della corrispondente investitura formale, si accerti essersi inserita nella gestione della società stessa, impartendo direttive e condizionandone le scelte operative, va considerata amministratore di fatto ove tale ingerenza, lungi dall’esaurirsi nel compimento di atti eterogenei ed occasionali, riveli avere caratteri di sistematicità e completezza” (Cass., 01/03/2016, n. 4045);

la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di entrambi i citati principi di diritto, indicando analiticamente e valutando nel loro complesso, come richiesto dal primo principio, gli indizi sulla base dei quali ha formulato il proprio giudizio di merito circa l’esercizio di fatto di poteri di gestione della società dal parte del C. – l’apertura del conto corrente bancario intestato alla IN4MATICA s.r.l., la disponibilità della documentazione riferibile alla stessa, delle password di accesso alla posta elettronica e dei recapiti dei fornitori – oltre che gli elementi contrari addotti dal contribuente, con ciò attuando anche il contenuto del secondo principio di diritto;

tale giudizio di merito, formulato, come detto, nel rispetto dei principi nomofilattici affermati da questa Corte, non è evidentemente sindacabile in questa sede di legittimità;

da ciò consegue l’infondatezza del motivo;

il secondo motivo non è fondato;

in deroga al principio (mutuato dal diritto penale) della responsabilità personale della persona fisica che ha commesso la violazione stabilito dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 2, comma 2, nonché in deroga all’art. 11 dello stesso decreto, che prevede la responsabilità solidale della società nell’interesse della quale ha agito la persona fisica autrice della violazione, il D.L. n. 269 del 2003, art. 7, comma 1, ha previsto che “(l)e sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica”, in tal modo ponendo solo a carico di quest’ultima, anche quando sia gestita da un amministratore di fatto, le sanzioni amministrative relative alle violazioni non ancora contestate o per le quali la sanzione non sia stata irrogata alla data del 2 ottobre 2003 di entrata in vigore del D.L. (D.L. n. 269 del 2003, art. 7 comma 2), questa Corte (Cass., 09/05/2019, n. 12334, 20/10/2021, n. 29038) ha chiarito che l’applicazione della norma introdotta dal D.L. n. 269 del 2003, art. 7, presuppone che la persona fisica, autrice della violazione, abbia agito nell’interesse e a beneficio della società, dotata di personalità giuridica, rappresentata o amministrata, giacché solo la ricorrenza di tale condizione giustifica il fatto che la sanzione amministrativa, in deroga al principio personalistico, non colpisca l’autore materiale della violazione ma sia posta, in via esclusiva, a carico del diverso soggetto giuridico (la società con personalità giuridica) in quanto effettivo beneficiario della violazione della norma tributaria commessa dal proprio rappresentante o amministratore;

viceversa, qualora risulti che il rappresentante o l’amministratore, anche di fatto, della società con personalità giuridica abbiano agito nel proprio esclusivo interesse, utilizzando l’ente con personalità giuridica quale schermo o paravento per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a proprio personale vantaggio, viene meno la ratio che giustifica l’applicazione del D.L. n. 269 del 2003, art. 7, diretto a sanzionare la sola società o ente con personalità giuridica, e deve essere ripristinata la regola generale secondo cui la sanzione amministrativa colpisce la persona fisica autrice dell’illecito;

venendo al caso di specie, dalla lettura del ricorso (pag. 2) risulta che “(l)’Amministrazione Finanziaria riteneva che la società sottoposta a controllo fosse in realtà una società fittizia, insolvente innanzi all’Erario, attiva solo per frodare il fisco, interponendosi cartolarmente tra operatori economici in transazioni comunitarie”;

dalla lettura dei motivi del ricorso introduttivo nonché dei motivi di appello – entrambi trascritti nel ricorso alle pagine, rispettivamente, da 3 a 6 e da 6 a 10 – non risulta che il ricorrente avesse contestato il fatto che IN4MATICA s.r.l. fosse “una società fittizia”;

la CTR, avendo reputato che, in tale situazione, il “soggetto che ha tratto effettivo beneficio dalla violazione (era), nel caso di specie, l’amministratore di fatto”, ha correttamente ritenuto, in applicazione dei ricordati principi di diritto, l’applicabilità delle sanzioni nei confronti dello stesso amministratore di fatto;

da ciò consegue l’infondatezza del motivo;

il ricorso deve, pertanto, essere rigettato;

non occorre provvedere sulle spese atteso che l’Agenzia delle entrate non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – comma inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del suddetto art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022

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