Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15459 del 14/07/2011

Cassazione civile sez. III, 14/07/2011, (ud. 03/05/2011, dep. 14/07/2011), n.15459

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 14672/2009 proposto da:

SACCONE STABILIMENTO TIPOLITOGRAFICO SPA (OMISSIS), in persona

degli Amministratore delegati, legali rappresentanti p.t. sigg.ri

S.A. e S.C., considerato domiciliato “ex

lege” in ROMA, presso CANCELLERIA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato

2011 e difeso dall’avvocato ORSINI Giuseppe, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

SAN PAOLO BANCO DI NAPOLI SPA (OMISSIS), in persona del Dott.

P.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALESSANDRO III,

N.6, presso lo studio dell’avvocato MANGAZZO FRANCESCO, rappresentato

e difeso dall’avvocato MONACO Pasquale giusta delega in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 498/2009 del TRIBUNALE di SANTA MARIA CAPUA

VETERE, emessa il 16/02/2009, depositata il 06/03/2009; R.G.N.

1240/06.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/05/2011 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito l’Avvocato URSINI GIUSEPPE;

udito l’Avvocato MONACO PASQUALE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 498 del 6/3/2009 il Tribunale di S. Maria C.V. respingeva l’opposizione ex art. 615 c.p.c., proposta dalla società Saccone s.p.a. nei confronti dell’esecuzione immobiliare dalla società Sanpaolo Banco di Napoli s.p.a. preannunziata con precetto intimato il 23/2/2006.

Avverso la suindicata pronunzia la società Saccone s.p.a. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso la società Sanpaolo Banco di Napoli s.p.a., che ha presentato anche memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1^ motivo la ricorrente denunzia violazione degli artt. 1283, 1284, 1419, 821 c.c., L. n. 385 del 1993, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 2^ motivo denunzia violazione degli artt. 1283, 1284. 1419, 821 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 3^ motivo denunzia violazione dell’art. 1815 c.c., artt. 187, 191 c.p.c., L. n. 24 del 2001, artt. 1, 3, L. n. 108 del 1996, art. 3, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono sotto plurimi profili inammissibili.

Va anzitutto osservato che ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 è 4, l’illustrazione di ciascun motivo deve, a pena di inammissibilità, concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).

Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.

Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia -tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108)-, e non può con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v.

Cass., 17/7/2007, n. 15949).

Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c. deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, sicchè la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile, non potendo considerarsi in particolare sufficiente ed idonea la mera generica richiesta di accertamento della sussistenza della violazione di una norma di legge (v. Cass., 28/5/2009, n. 12649).

Orbene, nel caso i quesiti di diritto recati dal ricorso non risultano informati allo schema delineato da questa Corte (cfr. in particolare Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), non recando la riassuntiva indicazione degli aspetti di fatto rilevanti; del modo in cui gli stessi sono stati dai giudici di merito rispettivamente decisi; della diversa regola di diritto la cui applicazione avrebbe condotto a diversa decisione.

I formulati quesiti in realtà nel caso si sostanziano in espressioni evocanti le non accolte tesi difensive, (anche) prospettando corollari tratti da presupposti o postulati, di fatto alle medesime corrispondenti e contrari alle conclusioni raggiunte nell’impugnata sentenza fondate sul delineato quadro probatorio, a tale stregua palesandosi prive di decisività, tali cioè da non consentire, in base alla loro sola lettura (v. Cass., Sez. Un., 27/3/2009, n. 7433;

Sez. Un., 14/2/2008, n. 3519; Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658;

Cass., 7/4/2009, n. 8463), di ben individuare le questioni affrontate e le soluzioni al riguardo adottate nella sentenza impugnata, nonchè di precisare i termini della contestazione (cfr. Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645; Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), circoscrivendo la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (cfr., Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

L’inidonea formulazione del quesito di diritto equivale invero alla relativa omessa formulazione, in quanto nel dettare una prescrizione di ordine formale la norma incide anche sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire con il quesito l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (v. Cass., 7/4/2009, n. 8463; Cass. Sez. un., 30/10/2008, n. 26020; Cass. Sez. un., 25/11/2008. n. 28054), (anche) in tal caso rimanendo invero vanificata la finalità di consentire a questa Corte il miglior esercizio della funzione nomofilattica sottesa alla disciplina del quesito introdotta con il d.lgs. n. 40 del 2006 (cfr., da ultimo, Cass. Sez. un., 10/9/2009, n. 19444).

La norma di cui all’art. 366 bis c.p.c., è d’altro canto insuscettibile di essere interpretata nel senso che il quesito di diritto possa, e a fortiori debba, desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, giacchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (v.

Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

Tanto più che nel caso i motivi risultano formulati in violazione del principio di autosufficienza, atteso che le ricorrenti fanno richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito (es., agli “atti di causa”, alla “citazione” e agli “atti successivi”, al “precetto”, al “finanziamento”, al “conto corrente n. (OMISSIS)”, alla “fideiussione omnibus”, alla “CTP, alla CTU”) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente ed esaustivamente -per quanto in questa sede d’interesse- riprodurli nel ricorso.

Senza sottacersi che, quanto al 1^ motivo (con il quale la ricorrente lamenta che “con la sua sentenza il sig. Giudice, argomentando sul solo mutuo fondiario dimostra di non aver visionato gli atti di causa dai quali risulta contestato il fatto che il finanziamento concesso ai sensi della citata legge era stato concesso al solo scopo di finanziamento, mentre la banca lo ha utilizzato solo in ripianamento della posizione debitoria”), la ricorrente non muove invero censura di error in procedendo, anche in relazione al quale il principio di autosufficienza va invero osservato, dovendo specificamente indicarsi l’atto difensivo o il verbale di udienza nei quali le domande o le eccezioni sono state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività (v. Cass., 31/1/2006, n. 2138; Cass., 27/1/2006, n. 1732; Cass., 4/4/2005, n. 6972; Cass., 23/1/2004, n. 1170; Cass., 16/4/2003, n. 6055).

E’ infatti al riguardo noto che, pur divenendo nell’ipotesi in cui vengano denunciati con il ricorso per cassazione errores in procedendo la Corte di legittimità giudice anche del fatto (processuale), con conseguente potere-dovere di procedere direttamente all’esame e ali1interpretazione degli atti processuali, preliminare ad ogni altra questione si prospetta comunque quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diviene possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo, sicchè esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione la Corte di Cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (v. Cass., 23/1/2006, n. 1221).

Nè d’altro canto la ricorrente muove censura di errore di fatto integrante se del caso un vizio revocatorio ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, la cui differenza con l’error in procedendo ex art. 112 c.p.c. si coglie nel concernere l’omesso esame ex art. 112 c.p.c. direttamente una domanda o un’eccezione introdotta in causa (e, quindi, nel caso del motivo d’appello uno dei fatti costitutivi della “domanda” di appello), laddove l’errore di fatto che può dare luogo alla revocazione di una sentenza emessa dalla Corte di cassazione consiste nell’erronea percezione dei fatti di causa, sostanziantesi nella affermazione o supposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di un fatto la cui verità risulti, invece, in modo indiscutibile, esclusa o accertata in base al tenore degli atti o dei documenti di causa, sempre che il fatto, oggetto dell’asserito errore, non abbia costituito materia del dibattito processuale su cui la pronuncia contestata abbia statuito (v. 27/3/2007, n. 7469; Cass., 23/5/2006, n. 12254).

Emerge dunque, alla stregua dei suesposti rilievi, evidente come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili le deduzioni dell’odierna ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, si risolvono in realtà nella mera doglianza circa l’asseritamente erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso dai medesimi operata (cfr.

Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., la ricorrente in realtà sollecita, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi all’attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento degli stessi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

All’inammissibilità dei motivi consegue l’inammissibilità del ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 5,000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 3 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2011

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