Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15457 del 14/07/2011

Cassazione civile sez. III, 14/07/2011, (ud. 28/04/2011, dep. 14/07/2011), n.15457

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 10104/2009 proposto da:

B.L. (OMISSIS), in proprio e quale erede del

Sig. B.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

OVIDIO 20, presso lo studio dell’avvocato DELFINI Francesca, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LOREDANA SCALMANA

giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

EDITRICE LA STAMPA S.P.A., in persona del procuratore speciale e

legale rappresentante pro tempore Dott. B.A.,

elettivamente domiciliata in ROMA, C.SO VITTORIO EMANUELE II 284,

presso lo Studio dell’avvocato DONNINI Roberto, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati GIANCOTTI GIANANDREA, PAVESIO CARLO

giusta delega in calce al ricorso notificato;

– controricorrente –

e contro

GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2977/2008 del TRIBUNALE di TORINO – SEZIONE 7^

CIVILE, emessa il 21/4/2008, depositata il 21/04/2008, R.G.N.

31857/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/04/2011 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito l’Avvocato GIANANDREA GIANCOTTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 21/4/2008 il Tribunale di Torino respingeva la domanda proposta dalla sig. B.L. nei confronti della società Editrice La Stampa s.p.a. di risarcimento dei danni subiti in conseguenza della pubblicazione di più articoli apparsi sul quotidiano La Stampa che consentivano “l’identificazione diretta della persona coinvolta nei fatti di cronaca in tali articoli trattati, sig. B.P., e della sua famiglia”, e quindi di lei, moglie del defunto B.P., che non aveva “prestato alcun consenso alla pubblicazione dei dati personali (nome, cognome, comune di residenza e comune di origine) dello stesso sig. B.P.”, deducendo che “tali dati erano stati trattati in modo da eccedere dalla finalità giornalistica di informazione, erano stati di per se soli trattati in modo illecito e non corretto ed avevano leso l’immagine ed il decoro sia del de cuius che della ricorrente, lesa sia in proprio che quale erede”.

Avverso la suindicata pronunzia la B., in proprio e nella qualità, propone ora ricorso per cassazione, affidato a 4 motivi.

Resiste con controricorso la società Editrice La Stampa s.p.a..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1^ motivo le ricorrente denunzia contraddittoria motivazione su fatto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con il 2^ motivo denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 136 e 137, artt. 5, 8 codice deontologico delle attività giornalistiche, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 3^ motivo denunzia violazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 1, 2, 15, art. 2 Cost., art. 2050 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 4^ motivo denunzia violazione dell’art. 6 Carta U.E., 1^ Direttiva 95/46/CE, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono sotto plurimi profili inammissibili.

Va anzitutto osservato che ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo deve, a pena di inammissibilità, concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).

Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.

II quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia – ale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108), e non può con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v.

Cass., 17/7/2007, n. 15949).

Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c. deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, sicchè la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile, non potendo considerarsi in particolare sufficiente ed idonea la mera generica richiesta di accertamento della sussistenza della violazione di una norma di legge (da ultimo v. Cass., 28/5/2009, n. 12649).

Orbene, nel caso i quesiti di diritto recati dal ricorso non risultano informati allo schema delineato da questa Corte (cfr. in particolare Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), non recando invero la riassuntiva indicazione degli aspetti di fatto rilevanti; del modo in cui gli stessi sono stati dai giudici di merito rispettivamente decisi; della diversa regola di diritto la cui applicazione avrebbe condotto a diversa decisione.

I formulati quesiti in realtà nel caso si sostanziano in espressioni evocanti le non accolte tesi difensive, (anche) prospettando corollari tratti da presupposti o postulati di fatto alle medesime corrispondenti e contrari alle conclusioni raggiunte nell’impugnata sentenza fondate sul delineato quadro probatorio, a tale stregua palesandosi prive di decisività, tali cioè da non consentire, in base alla loro sola lettura (v. Cass., Sez. Un., 27/3/2009, n. 7433;

Sez. Un., 14/2/2008, n. 3519; Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658;

Cass., 7/4/2009, n. 8463), di ben individuare le questioni affrontate e le soluzioni al riguardo adottate nella sentenza impugnata, nonchè di precisare i termini della contestazione (cfr. Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645; Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), circoscrivendo la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (cfr., Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

L’inidonea formulazione del quesito di diritto equivale invero alla relativa omessa formulazione, in quanto nel dettare una prescrizione di ordine formale la norma incide anche sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire con il quesito l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (v. Cass., 7/4/2009, n. 8463; Cass. Sez. un., 30/10/2008, n. 26020; Cass. Sez. un., 25/11/2008. n. 28054), (anche) in tal caso rimanendo invero vanificata la finalità di consentire a questa Corte il miglior esercizio della funzione nomofilattica sottesa alla disciplina del quesito introdotta con il d.lgs. n. 40 del 2006 (cfr., da ultimo, Cass. Sez. un., 10/9/2009, n. 19444).

La norma di cui all’art. 366 bis c.p.c., è d’altro canto insuscettibile di essere interpretata nel senso che il quesito di diritto possa, e a fortiori debba, desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, giacchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (v.

Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un,, 26/03/2007, n. 7258).

Tanto più che nel caso i motivi risultano formulati in violazione del principio di autosufficienza, atteso che le ricorrenti fanno richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito (es. al “ricorso D.Lgs. n. 196 del 2003, ex art. 152”, alla comparsa di costituzione e risposta della società Editrice La Stampa s.p.a.) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente ed esaustivamente – per quanto in questa sede d’interesse – riprodurli nel ricorso.

Quanto al pure denunziato vizio di motivazione, risponde a principio consolidato che a completamento della relativa esposizione esso deve indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione:

a) del controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (art. 366 bis c.p.c.).

Al riguardo, si è precisato che l’art. 366 bis c.p.c., rispetto alla mera illustrazione del motivo impone un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile, ai fini dell’assolvimento del relativo onere essendo pertanto necessario che una parte del medesimo venga a tale indicazione “specificamente destinata” (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002).

Orbene, nel caso i motivi con il quale si denunzia vizio di motivazione non recano la “chiara indicazione” -nei termini più sopra indicati- delle relative “ragioni”, tali non potendo invero ritenersi i formulati momenti di sintesi, invero non recanti la sintetica e riassuntiva indicazione del fatto controverso, degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione, degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria, inammissibilmente rimettendosene l’individuazione all’attività esegetica di questa Corte, con interpretazione che si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (cfr. Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

Va per altro verso ribadito che il vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si configura solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (in particolare cfr.

Cass., 25/2/2004, n. 3803).

Tale vizio non consiste pertanto nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (v. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass., 20/10/2005, n. 20322).

La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processualè sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., 7/3/2006, n. 4842;. Cass., 27/4/2005, n. 8718).

Orbene, i suindicati principi risultano non osservati dall’odierna ricorrente.

Va al riguardo sottolineato, (anche) a completamento di quanto già più sopra indicato, che il vizio di motivazione non può essere invero utilizzato per far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte, non valendo esso a proporre in particolare un pretesamente migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti attengono al libero convincimento del giudice (v. Cass., 9/5/2003, n. 7058).

Secondo risalente orientamento di questa Corte, al giudice di merito non può imputarsi di avere omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacchè nè l’una nè l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento come nella specie risulti da un esame logico e coerente, non di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, bensì di quelle ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo.

In altri termini, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse ( v. Cass., 9/3/2011, n. 5586 ).

Il motivo di ricorso per cassazione viene altrimenti a risolversi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice del merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di legittimità.

Senza sottacersi, in ordine al 1^ motivo, che, nel dolersi del non essersi dal giudice considerato che “la diffusione dei dati identificativi costituisce già da sè violazione alle norme di legge, in quanto notizia del rinvenimento di un corpo senza vita in uno stabile diverso da quello di residenza del deceduto, non rende legittima la pubblicazione anche dei dati identificativi del soggetto” la ricorrente muove in realtà una censura di violazione di norme di diritto, e manca al riguardo il prescritto quesito di diritto (il motivo d’altro canto non recando neanche il prescritto momento di sintesi, in relazione al denunziato vizio di motivazione).

Emerge dunque, alla stregua dei suesposti rilievi, evidente come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili le deduzioni dell’odierna ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, si risolvono in realtà nella mera doglianza circa l’asseritamente erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso dalla medesima operata (cfr.

Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., la ricorrente in realtà sollecita, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento degli stessi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

All’inammissibilità dei motivi consegue l’inammissibilità del ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2011

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