Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15455 del 26/07/2016


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Cassazione civile sez. II, 26/07/2016, (ud. 13/04/2016, dep. 26/07/2016), n.15455

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27944-2011 proposto da:

R.M., (OMISSIS), R.E. C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA LUDOVISI 35, presso lo studio dell’avvocato

MARIO GIUSEPPE RIDOLA, rappresentati e difesi dagli avvocati LORENZO

MAGRINI, GIAN PAOLO OLIVETTI RASON;

– ricorrenti –

contro

T.E., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIALE TIZIANO 80, presso lo studio dell’avvocato PIERO ENRICO

TURETTA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GIAMPIERO SANTONI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 410/2011 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 28/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/04/2016 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;

udito l’Avvocato Turetta Piero Enrico difensore della

controricorrente che si riporta agli atti depositati;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con atto 18.10.1994 T.E. convenne davanti al Tribunale di Pistoia C.A., V.B., N.A. e P.G. per ottenere, tra l’altro, la rimozione di una serie di manufatti da essi realizzati sulla p.lla 230 del foglio 230 e sulla restante proprietà contigua.

I primi tre convenuti si costituirono deducendo il difetto di legittimazione passiva della N. e comunque l’infondatezza della domanda. In via riconvenzionale chiesero che venisse accertato l’acquisto per usucapione pro quota del cortile o quanto meno della proprietà esclusiva dei manufatti.

2 Dopo una serie di modificazioni soggettive riguardanti la parte convenuta a causa di vari decessi, il Tribunale, sulla scorta di una consulenza tecnica e di una prova testimoniale, con sentenza 25.5.2009 accolse la domanda di demolizione rigettando ogni altra pretesa e la Corte d’Appello di Firenze, adita da P.L. (erede di G.), da M. ed R.E. (eredi di C.A.) e da V.B., con sentenza del 28.3.2011 confermò questa statuizione rilevando, per quanto ancora interessa in questa sede:

– che, vertendosi anche in tema di revindica, la T. aveva dimostrato, attraverso la produzione dei propri titoli, la proprietà esclusiva sul cortile, mentre apparivano carenti i titoli di proprietà prodotti dai convenuti;

– che l’eventuale accertamento della proprietà comune sulla corte avrebbe giustificato la domanda di demolizione dei manufatti, trattandosi di abuso della cosa comune da parte di alcuni comproprietari mediante erezione di costruzioni di uso esclusivo.

– che l’eccezione riconvenzionale di usucapione della proprietà esclusiva dei manufatti risultava smentita dal rilievo aerofotografico del 22.9.1995, mentre le circostanze riferite dai testi non erano idonee a dimostrare una proprietà esclusiva delle singole porzioni pretese dai convenuti;

– che la tesi difensiva fondata sulla proprietà comune della corte si rivelava incompatibile con la pretesa usucapione delle singole porzioni successivamente occupate dai manufatti.

3 Contro tale decisione ricorrono per cassazione M. ed R.E. sulla base di cinque motivi a cui resiste con controricorso la T..

La P. e il V. non hanno svolto difese.

I ricorrenti hanno depositato una memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 Col primo motivo si denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione, degli artt. 113 e 115 c.p.c., artt. 948 e 2697 c.c. – Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione: sostengono i ricorrenti che, vertendosi in tema di revindica, la Corte d’Appello non poteva limitarsi al solo esame dei titoli dell’attrice a decorrere dalla successione del padre apertasi il 1 maggio 1963 risalendo fino all’atto di acquisto dei genitori del 1920, ma doveva considerare anche quelli prodotti dai convenuti, erroneamente ritenuti inidonei; in ogni caso doveva risalire ad un titolo originario dell’attore e, in mancanza, rigettare la domanda, in applicazione dei principi rigorosi che regolano il riparto dell’onere della prova in tema di revindica.

1.2. Col secondo motivo si denunzia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione, degli artt. 113 e 115 c.p.c., artt. 948 e 2650 cc. – Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo. I ricorrenti criticano nuovamente la Corte per non avere dato rilievo ai propri titoli di provenienza risalenti al 1747, da cui si evince il trasferimento della proprietà in comune della corte identificata dal mappale 230. Riportano le osservazioni del consulente tecnico geom. Ve. sui vari passaggi riguardanti l’immobile contestando l’asserita genericità dei titoli.

1.3 Col terzo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione, degli artt. 1158 e 1159 c.c. – Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo. Sostengono i R. che qualora fosse risultata la proprietà esclusiva della T. andava accolta la domanda di accertamento dell’avvenuta usucapione della pozione della particella 230 da essi posseduta e comunque dei manufatti ivi costruiti. Ritengono incongruente la motivazione della Corte d’Appello sul rigetto della relativa domanda rimproverando una errata interpretazione delle risultanze documentali perchè da una fotografia aerea scattata nel 1975 già si notava la presenza dei manufatti e tale presenza si notava anche nel rilievo del 1985. Ritengono illogico il rigetto della domanda di usucapione pur essendo stata fornita la prova certa della costruzione dei manufatti nel ventennio antecedente la proposizione del giudizio di primo grado e quindi del possesso uti dominus sulla porzione della particella 230, occupata in maniera esclusiva dai ricorrenti, dal V. e dalla P..

1.4 Col quarto motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e omessa pronuncia su una parte della domanda e su un fatto controverso e decisivo per il giudizio. A dire dei ricorrenti, la Corte d’Appello ha omesso completamente di pronunciarsi sull’usucapione della comproprietà tra gli appellanti e la signora Tesi dell’intera particella 230 del foglio 270, questione da sola assorbente dell’intera materia del contendere, considerato che era stata avanzata specifica domanda di usucapione non più della porzione di corte sottesa ai manufatti, ma della comproprietà dell’intera particella 230. Richiamano la regola dell’usucapione abbreviata, in presenza della buona fede e del titolo idoneo al trasferimento della comproprietà, nonchè le risultanze peritali sulla ricostruzione del catasto per concludere che la signora C.A., dante causa dei ricorrenti, era certa di avere ricevuto in data 9.1.1970 per successione dal padre la comproprietà della particella 230. Il compossesso dal 1970 doveva pertanto giustificare l’accoglimento della domanda di usucapione della comproprietà della corte.

1.5 Col quinto ed ultimo motivo si denunzia, infine, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione, degli artt. 112, 113 e 115 c.p.c., e art. 1102 c.c. – Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo: la Corte d’Appello – si afferma – è incorsa nel vizio di ultrapetizione laddove ha affermato che devono essere demolite le costruzioni erette sulla particella 230 anche nell’ipotesi in cui questa fosse, come è, considerata comune. Secondo i ricorrenti, poichè la domanda della signora T. era volta ad ottenere la demolizione dei manufatti insistenti sulla sua proprietà esclusiva, è chiaro che niente ha chiesto la parte appellata nel caso in cui dovesse essere considerata comune, come risulta essere, la corte per cui è causa.

Rilevano inoltre che – una volta accertato il diritto di comproprietà sulla corte tra i convenuti e la signora T., la Corte d’Appello ha errato nell’interpretare e applicare l’art. 1102 c.c. sui limiti dell’utilizzo del bene comune perchè l’erezione di manufatti rappresenta solo un uso più intenso, ma non ha affatto alterato la destinazione del bene comune nè impedito il pari uso agli altri partecipanti. Negano quindi che la costruzione di manufatti integri un abuso del diritto di comproprietà considerate anche le limitate dimensioni dei manufatti (che non superano i 13 mq) rispetto all’estensione del cortile.

2 I1 primo motivo di ricorso è fondato.

La Corte d’Appello ha affermato a chiare lettere che tra le domande proposte dall’attrice, vi era anche quella “reale di rivendicazione” (v. pag. 23 sentenza impugnata). Tale affermazione non è stata impugnata da nessuna delle parti (i ricorrenti la richiamano espressamente e la controricorrente a sua volta non ha proposto ricorso incidentale): pertanto sulla qualificazione dell’azione e sul suo inquadramento nello schema legale di cui all’art. 948 c.c. oggi non è dato di discutere in questa sede, restando invece aperta la tematica dell’assolvimento dell’onere probatorio in tema di revindica.

Come ripetutamente affermato da questa Corte, il rigore della regola secondo cui chi agisce in rivendicazione deve provare la sussistenza del proprio diritto di proprietà o di altro diritto reale sul bene anche attraverso i propri danti causa, fino a risalire ad un acquisto a titolo originario o dimostrando il compimento dell’usucapione, non riceve attenuazione per il fatto che la controparte proponga domanda riconvenzionale ovvero eccezione di usucapione, in quanto chi è convenuto nel giudizio di rivendicazione non ha l’onere di fornire alcuna prova, potendo avvalersi del principio “possideo quia possideo”, anche nel caso in cui opponga un proprio diritto di dominio sulla cosa rivendicata, dal momento che tale difesa non implica alcuna rinuncia alla più vantaggiosa) posizione di possessore (v. Sez. 2, Sentenza n. 5131 del 03/03/2009 Rv. 606937 non massimata; Sez. 2, Sentenza n. 11555 del 17/05/2007 Rv. 597719; Sez. 2, Sentenza n. 5472 del 12/04/2001 Rv. 545874).

Nel caso di specie, i convenuti avevano opposto il diritto di comproprietà sul cortile p.lla 230 sia per titolo che per usucapione e sotto il primo profilo avevano esibito una serie di titoli culminanti in un atto divisionale del 1747 a loro dire dirimente perchè conteneva l’assegnazione in comune di quella zonetta di terreno, zonetta risultante in seguito erroneamente attribuita non più in comune per un errore nell’impianto del Catasto Leopoldino.

La Corte d’Appello, non avendo riscontrato l’avvenuto acquisto per usucapione a favore dell’attrice o suoi danti causa sulla particella 230, avrebbe dovuto porsi il problema dell’individuazione, in altro modo, di un acquisto a titolo originario a favore degli stessi, ma una tale attività di verifica non risulta espletata: l’indagine sui titoli dell’attrice si ferma infatti ad un atto di acquisto dei suoi genitori datato 3 novembre 1920, ma trattasi, come è evidente, di acquisto a titolo derivativo e non originario. Nè appare corretto il richiamo alla “continuità di trascrizioni estesa per un’ottantina d’anni” (v. pag. 25) perchè il principio della continuità delle trascrizioni, dettato dall’art. 2644 c.c., con riferimento agli atti indicati nell’art. 2643 c.c. risolve unicamente il conflitto tra più acquisti a titolo derivativo dal medesimo dante causa (v. Sez. 3, Sentenza n. 18888 del 10/07/2008 Rv. 604205 in motivazione; Sez. 2, Sentenza n. 2161 del 03/02/2005 Rv. 579186).

A ciò aggiungasi un superficiale esame dei titoli prodotti dai convenuti-appellanti, definiti carenti sulla base della sola terminologia adoperata da chi li aveva redatti, senza compiere invece alcuno sforzo interpretativo per stabilire cosa si intendesse con l’espressione “diritto sulla corte comune mappale 230” o a cosa corrispondesse “l’aia” o “il passo comune” di cui pure si parla nei titoli stessi (v. pag. 24 sentenza impugnata), senza tentare una individuazione in loco (anche con l’ausilio del consulente) e, infine, senza considerare gli errori negli aggiornamenti dell’impianto catastale e senza prendere in esame l’atto di divisione per notaio Ser Jacinto Merlini del 5 maggio 1747 intervenuto tra i lontani danti causa delle parti oggi in lite (v. pag. 24) e quindi idoneo ad individuare il comune dante causa con le debite conseguenze in tema di onere probatorio nel giudizio di rivendicazione.

La violazione delle norme che disciplinano la prova della rivendicazione e il vizio di motivazione sono palesi e rendono pertanto inevitabile la cassazione della sentenza per un nuovo esame dei rispettivi titoli sulla scorta dei principi esposti.

L’accoglimento del primo motivo assorbe logicamente l’esame dei restanti motivi.

Il giudice di rinvio, che si individua in altra sezione della Corte d’Appello di Firenze, provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte d’Appello di Firenze.

Così deciso in Roma, il 13 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2016

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