Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15454 del 30/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 30/06/2010, (ud. 07/04/2010, dep. 30/06/2010), n.15454

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 8351-2006 proposto da:

M.O., C.R., elettivamente domiciliati in ROMA VIA

LORENZO IL MAGNIFICO 67, presso lo studio dell’avvocato ROSANO’

VINCENZO, rappresentati e difesi dall’avvocato FRAGOLA SAVERIO

PAOLO, giusta delega in calce;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 98/2004 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

CATANZARO, depositata il 31/01/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/04/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE BOGNANNI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARESTIA Antonietta, che ha concluso per il rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso alla commissione tributaria provinciale di Catanzaro i coniugi M.O. e C.R. proponevano opposizione avverso gli avvisi di accertamento, ai fini dell’Ici per gli anni 1993-95, che l’amministrazione del Comune di (OMISSIS) aveva fatto notificare per rettifica del valore di un terreno di loro proprietà, che era stato incluso nel piano di fabbricazione con destinazione “C”, e cioè zona residenziale di espansione semintensiva, sicchè veniva richiesta un’imposta maggiore di quella versata, dal momento che il valore dell’area era stato elevato da L. 19.000 al L. 45.000 al mq. Con successivo ricorso gli stessi contribuenti impugnavano altri analoghi avvisi di accertamento per gli anni 1996 e 1999. Esponevano che gli atti impositivi erano infondati, atteso che quell’appezzamento rientrava in zona priva del piano di attuazione, sicchè non era ancora praticamente edificabile, pertanto l’ente accertatore non poteva avanzare alcuna pretesa; di conseguenza chiedevano l’annullamento degli avvisi impugnati.

Instauratosi il contraddittorio, il Comune eccepiva l’inammissibilità del primo ricorso, siccome depositato in segreteria oltre il prescritto termine di giorni 30 dalla notifica, e in subordine l’infondatezza di esso e del successivo.

Quella commissione dichiarava inammissibile il primo, e rigettava il secondo con sentenze rispettivamente n. 149 del 2002 e n. 305 del 2003.

Avverso le relative decisioni i contribuenti proponevano separati ricorsi in appello, cui l’ente pubblico territoriale resisteva, dinanzi alla commissione tributaria regionale della Calabria, la quale, riuniti i processi, dichiarava inammissibile il primo gravame, e rigettava il secondo con sentenza n. 98 del 15.12.2004, osservando, relativamente al primo, che la genericità delle censure e la mancata indicazione dei punti oggetto di doglianza ne comportavano la prescritta declaratoria, così pure la non osservanza del termine per il deposito del primo ricorso; mentre quanto al merito per entrambi, la CTR rilevava che l’inclusione del terreno nella zona prevista nel piano di fabbricazione ne determinava comunque l’aumento di valore, a prescindere dall’approvazione di quello esecutivo.

Contro questa pronuncia M. e C. hanno proposto ricorso per cassazione, affidandolo a sei motivi.

Il Comune di (OMISSIS) non si è costituito.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Col primo motivo i ricorrenti deducono violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546/92, art. 22 nonchè insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in quanto la commissione tributaria regionale non ha considerato che, a prescindere dalla contraddittorietà in cui sarebbe caduta nel ritenere prima non depositato l’originale del ricorso e poi la copia di esso, in ogni caso la costituzione in giudizio dell’intimato aveva determinato sanatoria del vizio. Il motivo è infondato.

Al di là del fatto che i ricorrenti non hanno specificato compiutamente la doglianza, ed in particolare non hanno indicato compiutamente il punto in cui il giudice di appello è incorso nel vizio genericamente denunziato, va osservato che la CTR ha esattamente rilevato che il ricorso in appello avverso la sentenza n. 149 del 2002 era generico, giacche non solo non vi erano contenute censure specifiche, ma non erano stati indicati i punti precisi della decisione oggetto di critica, come peraltro è dato rilevare dall’esame diretto dell’atto impugnativo, possibile in questa sede, trattandosi di denunziata violazione di norme processuali.

Ciò premesso, comunque non appare superfluo osservare, per quanto attiene al merito della doglianza, che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22 richiamato anche dall’art. 53, comma 2, per il procedimento di appello, richiede, ai fini della costituzione in giudizio del ricorrente, il deposito non solo di copia del ricorso spedito per posta, ma anche della ricevuta di spedizione dell’atto per raccomandata a mezzo del servizio postale, la cui mancata allegazione comporta l’inammissibilità dell’impugnazione, non sanabile neppure per effetto della costituzione in giudizio del resistente, e ciò nel termine di giorni trenta dalla notifica dell’atto impugnativo, pena l’inammissibilità del ricorso, che nella fattispecie era evidente, posto che era stato notificato il 21.11.2000, e depositato in segreteria dai coniugi M.- C. solo il successivo 16.1.2001, come risulta in atti.

2) Col secondo motivo i ricorrenti denunziano vizi di motivazione degli avvisi di accertamento e della sentenza di secondo grado, giacchè il giudice di appello ha indicato le ragioni, in virtù delle quali ha ritenuto congruo il valore attribuito al terreno dal Comune, senza specificarne le fonti.

La censura, a parte alcuni aspetti di genericità, comunque è priva di pregio.

La CTR ha evidenziato che il valore venale del suolo in comune commercio, pari a L. 45.000 al mq., non è oggetto di contestazione, controvertendosi invece sul diverso profilo circa la edificabilità di esso. E tanto basta per ritenere che il punto è stato motivato, ancorchè in modo piuttosto sintetico.

3) Col terzo motivo i ricorrenti lamentano violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2 con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 poichè il giudice di appello non ha considerato che l’area in questione non poteva essere ritenuta edificabile, atteso che ancora nessun piano di lottizzazione o di attuazione era stato approvato, tanto che nessuna concessione ad edificare poteva essere rilasciata, e pertanto il valore del terreno come a suo tempo denunziato non poteva essere aumentato dall’ente impositore. Peraltro si doveva tenere conto del sedime che andava ceduto per le opere primarie di urbanizzazione, e ciò onde evitare un indebito arricchimento, valutandosi invece tutta la superficie per intero.

La doglianza non va condivisa.

La CTR ha osservato che l’area di che trattasi era inserita nel piano regolatore generale, e questo ha determinato certamente un aumento di valore, con la conseguente elevazione dell’imposta dovuta.

L’assunto è corretto.

Invero a seguito dell’entrata in vigore del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 11 quaterdecies, comma 16, convertito con modificazioni dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248, e del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 36, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, che hanno fornito l’interpretazione autentica del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lett. b), l’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, dev’essere desunta dalla qualificazione attribuita ad essa nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi. Infatti l’inizio del procedimento di trasformazione urbanistica è sufficiente a far lievitare il valore venale dell’immobile, le cui eventuali oscillazioni, in dipendenza dell’andamento del mercato, dello stato di attuazione delle procedure incidenti sullo “ius aedificandi” o di modifiche del piano regolatore che si traducano in una diversa classificazione del suolo, possono giustificare soltanto una variazione del prelievo nel periodo di imposta. Del resto ciò è conforme alla natura periodica del tributo in questione, senza che questo comporti il diritto al rimborso per gli anni pregressi, a meno che il Comune non ritenga di riconoscerlo, ai sensi del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 59, comma 1, lett. f). L’inapplicabilità poi del criterio fondato sul valore catastale dell’immobile impone peraltro di tener conto della maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie, nonchè della possibile incidenza degli ulteriori oneri di urbanizzazione sul valore dello stesso in comune commercio nella determinazione della base imponibile (V. pure Cass. Sez. U, sentenza n. 25506 del 30/11/2006; altre n. 9135 del 2005, n. 21753 del 2004).

4) Col quarto motivo i ricorrenti deducono violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11, comma 1 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 in quanto la commissione regionale non ha considerato che, anche se i contribuenti fossero caduti in errore, tuttavia il Comune avrebbe dovuto procedere al rimborso delle somme riscosse in più del dovuto, a seguito dell’approvazione del piano di attuazione, o quanto meno “spalmarle” negli anni successivi.

Si tratta all’evidenza di domanda nuova, giacchè non proposta nei gradi di merito, e perciò inammissibile in questa sede.

5) Col quinto motivo i ricorrenti denunziano violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6 giacchè nessuna sanzione poteva essere applicata, data la situazione di incertezza sia sulla portata che sull’ambito di applicazione della normativa di riferimento i tale materia nella specie.

La censura è anch’essa nuova, giacchè non proposta nei precedenti gradi, e quindi è inammissibile.

6) Col sesto motivo i ricorrenti lamentano eccesso di potere e contraddittorietà dell’azione amministrativa del Comune, dal momento che esso avrebbe preteso un’imposta d’importo maggiore rispetto all’indennizzo, corrisposto per l’espropriazione di parte del suolo per pubblica utilità.

Si tratta di doglianza evidentemente anch’essa di carattere nuovo, e che comunque attiene alla discrezionalità della PA, non deducibile quindi se non soltanto dinanzi al giudice amministrativo.

Ne deriva che il ricorso va rigettato.

Infine quanto alle spese del giudizio, non si fa luogo ad alcuna statuizione, stante la mancata costituzione dell’intimato.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta Sezione civile, il 7 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2010

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