Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15453 del 26/07/2016


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Cassazione civile sez. II, 26/07/2016, (ud. 07/04/2016, dep. 26/07/2016), n.15453

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27848 – 2011 R.G. proposto da:

M.L., – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliata in Roma,

alla via Flaminia, n. 109, presso lo studio dell’avvocato Biagio

Bertolone che congiuntamente e disgiuntamente all’avvocato Armando

Roccella la rappresenta e difende in virtù di procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

e

B.F., – cf. (OMISSIS) – B.R. – c.f.

(OMISSIS) – (entrambi quali eredi di B.G. – (OMISSIS)),

B.S. – c.f. (OMISSIS) – B.D. – c.f. (OMISSIS)

– (entrambi quali eredi di M.R. – c.f. (OMISSIS)),

elettivamente domiciliati in Roma, alla piazza Euclide, n. 47,

presso lo studio dell’avvocato Carlo Ferruccio La Porta che

congiuntamente e disgiuntamente all’avvocato Bruno Tavarelli li

rappresenta e difende in virtù di procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrenti – ricorrenti incidentali –

contro

Ba.MA. – c.f. (OMISSIS) – Ba.GI. – c.f. (OMISSIS) –

rappresentati e difesi in virtù di procura speciale in calce ai

controricorsi dall’avvocato Leopoldo Frediani ed elettivamente

domiciliati in Roma, alla piazza Randaccio, n. 1, presso lo studio

dell’avvocato Aldo Buongiorno;

– controricorrenti –

(avverso la ricorrente principale ed i ricorrenti incidentali)

Avverso la sentenza n. 805 dei 5/18.7.2011 della corte d’appello di

Genova;

Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 7

aprile 2016 dal consigliere Dott. Luigi Abete;

Udito l’avvocato Biagio Bertolone per la ricorrente principale;

Udito l’avvocato Carlo Ferruccio La Porta per i ricorrenti

incidentali;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore

generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per l’accoglimento

del primo motivo del ricorso principale, assorbito ogni ulteriore

motivo, nonchè per l’accoglimento del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto in data aprile 1995 Ba.Ma. e Ba.Gi., proprietari in comune e pro indiviso di un appezzamento di terreno in territorio del comune di (OMISSIS), citavano a comparire innanzi al tribunale di Massa M.L., proprietaria del terreno confinante con il loro cespite sul lato “(OMISSIS)”, nonchè B.G. e M.R., comproprietari del terreno confinante con il loro cespite sul lato “mare”.

Esponevano che sia M.L. sia B.G. e M.R. avevano edificato i fabbricati sovrastanti i rispettivi fondi in violazione della distanza minima di m. 10 prevista dalle n.t.a. del p.r.g. del comune di Carrara; che in particolare Ba.Gi. aveva, si, autorizzato M.L. il 28.8.1990 con lettera indirizzata al sindaco del comune di Carrara a costruire in violazione delle prescritte distanze, ma a patto che la convenuta gli accordasse analoga autorizzazione, autorizzazione che viceversa gli aveva denegato.

Chiedevano, previo annullamento dell’autorizzazione in data 28.8.1990, che i convenuti fossero condannati alla demolizione delle opere realizzate in violazione delle previste distanze ed al risarcimento dei danni cagionati, con il favore delle spese di lite.

Costituitasi, M.L. instava per il rigetto delle avverse domande ed, in via riconvenzionale, perchè Ba.Gi. fosse condannato a risarcirle il danno arrecatole.

Costituitisi, B.G. e M.R. del pari instavano per il rigetto delle domande ex adverso esperite.

Assunte le prove orali, espletata la c.t.u. all’uopo disposta, con sentenza n. 477/2006 il giudice adito dichiarava che i convenuti avevano edificato le rispettive costruzioni a distanza dal confine con la proprietà degli attori inferiore a quella prevista e pari a m. 10, condannava conseguentemente i convenuti ad arretrare a loro cura e spese i reciproci manufatti fino al rispetto della distanza prescritta, rigettava la domanda risarcitoria esperita dagli attori, compensava integralmente tra le parti tutte le spese di lite e poneva definitivamente a carico dei convenuti le spese di c.t.u..

Interponeva appello M.L..

Proponevano appello incidentale M.R., in proprio e quale erede di B.G., nonchè B.F. e R., quali eredi di B.G..

Resistevano Ba.Gi. e Ma.; esperivano altresì appello incidentale.

Disposta ed espletata nuova c.t.u. onde acclarare le conseguenze atte a determinarsi in dipendenza del nuovo piano regolatore di cui il comune di Carrara si era medio tempore dotato, con sentenza n. 805 dei 5/18.7.2011 la corte d’appello di Genova, a parziale modifica del capo 1) della statuizione di prime cure, in ogni altra parte confermata, condannava gli originari convenuti ad arretrare le reciproche costruzioni fino al rispetto della distanza di tre metri dal confine con la proprietà degli originari attori, dichiarava inammissibile la domanda riconvenzionale esperita in prime cure da M.L., compensava integralmente le spese del grado.

Esplicitava la corte di merito, in ordine al primo motivo dell’appello principale, che l’autorizzazione a costruire a distanza inferiore a quella prescritta era stata accordata a M.L. unicamente da Ba.Gi. e non anche da Ba.Ma., sicchè se ne doveva disconoscere la validità, “mancando il consenso espresso della comproprietaria” (così sentenza d’appello, pag. 9).

Esplicitava – la corte – in ordine al secondo motivo dell’appello principale ed all’appello incidentale esperito da M.R. nonchè da B.F. e R. che alla stregua della disciplina urbanistica sopravvenuta la distanza minima dal confine da osservare nella zona ove erano ubicate le costruzioni delle parti in lite, era pari a tre metri; che i manufatti degli originari convenuti erano posizionati comunque a distanza inferiore alla quella minima prevista ex novo, sicchè dovevasi “provvedere in coerenza con la nuova norma di piano regolatore, a modificare il primo punto del dispositivo della sentenza impugnata” (così sentenza d’appello, pag. 10).

Esplicitava infine che, “come risulta dalla testuale lettura delle conclusioni riportate nella citazione d’appello” (così sentenza d’appello, pag. 10), non era stata riproposta in appello la domanda con cui M.L. aveva in prime cure, in via riconvenzionale, sollecitato la condanna di Ba.Gi. a risarcire il danno cagionatole, per averla indotta ad edificare confidando in buona fede sulla validità ed efficacia dell’autorizzazione accordata pur nei confronti della comproprietaria.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso M.L.; ne ha chiesto sulla scorta di cinque motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.

B.F. e B.R., quali eredi di B.G., nonchè B.S. e B.D., quali credi di M.R., hanno depositato controricorso contenente ricorso incidentale articolato in un unico motivo; hanno chiesto, in accoglimento del ricorso principale e dell’esperito ricorso incidentale, cassarsi la sentenza della corte d’appello di Genova con ogni conseguente pronuncia anche in ordine alle spese.

Ba.Gi. e Ma. hanno depositato separati controricorsi onde resistere al ricorso principale ed al ricorso incidentale.

Hanno chiesto rigettarsi l’avverso ricorso principale con il favore delle spese e con condanna a norma dell’art. 96 c.p.c., u.c..

Hanno chiesto dichiararsi inammissibile l’avverso ricorso incidentale in dipendenza della inidoneità della procura speciale a margine del controricorso ai fini della proposizione dell’impugnazione incidentale ed, al contempo, in dipendenza della tardiva proposizione della medesima impugnazione incidentale; hanno chiesto in ogni caso rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese e con condanna a norma dell’art. 96 c.p.c., u.c..

La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Parimenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c. i controricorrenti Ba.Ma. e Gi..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente principale deduce “violazione o falsa applicazione di norme di diritto art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione all’art. 1 disp. gen. ed in relazione alla violazione dell’art. 28, comma 10 della variante al Regolamento Urbanistico del Comune di Carrara approvata con Deliberazione Consigliare n. 69 del 5 agosto 2005 nel Testo aggiornata al 5 febbraio 2009 a seguito di variante approvata con delibera 142 del 29.12.2008. Violazione dell’art. 873 cod. civ.” (così ricorso principale, pag. 49).

Adduce che, alla stregua del regolamento urbanistico del comune di Carrara approvato con delibera consiliare n. 69/2005, nel testo aggiornato al 5.2.2009 contenente pur la variante approvata con Delib. n. 142/2008, “gli interventi di ampliamento delle costruzioni esistenti devono rispettare una distanza di metri 5 dalle strade e dai confini di proprietà e tra fabbricati nel rispetto del Cod. Civ. e del D.M. n. 1444 del 1968” (così ricorso principale, pag. 51); che “il richiamo al Cod. Civ. risulta inequivocabile ed altrettanto inequivocabile è la disciplina dell’art. 873 che stabilisce una distanza minima di 3 metri solo tra le costruzioni e non dai confini delle proprietà limitrofe” (così ricorso principale, pag. 51).

Adduce, dunque, che la corte distrettuale ha violato sia l’art. 28, comma 10, del regolamento urbanistico sia l’art. 873 c.c., atteso che l’ampliamento da ella realizzato sul terreno “di sua proprietà non fronteggiava alcuna costruzione poichè sul (…) terreno confinante non risultano realizzate costruzioni all’epoca dell’ampliamento, nè successivamente” (così ricorso principale, pag. 51) e si trova, siccome accertato dal c.t.u., ad una distanza di circa due metri, inferiore quindi a tre metri, dal confine con il mappale n. (OMISSIS) di proprietà Ba..

Adduce che nel corso del giudizio di appello aveva rilevato l’errore in cui era incorso il c.t.u. “nel ritenere che il Cod. Civ. avrebbe stabilito una distanza minima non solo tra le costruzioni, ma anche dai confini” (così ricorso principale, pag. 50).

Con il secondo motivo la ricorrente principale deduce “mancanza o difetto di motivazione” (così ricorso principale, pag. 52).

Adduce che nè il regolamento comunale nè il codice civile stabiliscono una distanza minima dai confini, sicchè non è dato comprendere la ragione per cui la corte territoriale ha affermato “l’esistenza di un obbligo di tenere la costruzione ad una distanza di 3 metri dal confine con la proprietà limitrofa” (così ricorso principale, pag. 52).

Con il terzo motivo la ricorrente principale deduce, subordinatamente al mancato accoglimento dei primi due motivi, “difetto o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia. Art. 360 c.p.c., comma 1” (così ricorso principale, pag. 53).

Adduce che con il primo motivo del proprio appello aveva censurato il primo dictum giacchè il tribunale aveva omesso di pronunciarsi sulla “domanda pregiudiziale formulata dagli stessi attori e diretta a far dichiarare l’annullamento della scrittura 28.8.1990 per pretesi vizi del consenso di cui all’art. 1427 cod. civ.” (così ricorso principale, pag. 54); che la disamina della motivazione della decisione impugnata evidenzia in modo ineludibile che la corte d’appello per nulla si è “espressa nè direttamente, nè indirettamente sul motivo di appello proposto” (così ricorso principale, pag. 56).

Con il quarto motivo la ricorrente principale deduce “omessa motivazione art. 360 c.p.c., n. 5” (così ricorso principale, pag. 56).

Adduce che la corte genovese non ha svolto alcuna motivazione in ordine al secondo motivo del proprio appello.

Adduce, segnatamente, che con tale motivo di gravame aveva censurato il primo dictum in un duplice senso; in primo luogo, nel senso che se la domanda dagli attori esperita di annullamento della scrittura in data 28.8.1990 fosse stata da intender come implicitamente accolta, nondimeno la medesima istanza avrebbe avuto buon esito ancorchè Ba.Gi. e Ma. per nulla avessero provato gli asseriti vizi della volontà; in secondo luogo, nel senso che se, viceversa, la domanda di annullamento fosse stata da intender come implicitamente rigettata, il tribunale avrebbe del tutto contraddittoriamente accolto la domanda di demolizione del proprio manufatto per asserita violazione delle distanze.

Con il quinto motivo la ricorrente principale deduce “violazione o falsa applicazione di legge art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 163 c.p.c., art. 112 c.p.c. e difetto o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia. E dell’art. 1362 c.c.” (così ricorso principale, pag. 57).

Adduce che con il terzo motivo del proprio appello aveva censurato il primo dictum, giacchè il tribunale aveva omesso di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria proposta in via riconvenzionale nei confronti di Ba.Gi.; che la corte di merito ha reputato inammissibile tale domanda, giacchè – ha assunto – non riproposta in appello; che invece “era stato proposto uno specifico motivo di doglianza sul punto nel corpo dell’atto di appello con il terzo motivo” (così ricorso principale, pag. 59); che la corte distrettuale si è limitata “ad esaminare solo le conclusioni formulate con l’atto di appello e non il contesto dell’atto di appello stesso” (così ricorso principale, pag. 60); che al contempo la corte territoriale è incorsa in difetto di motivazione, “avendo omesso di spiegare il motivo per il quale riteneva assorbente l’esame delle conclusioni rispetto al contesto dell’atto di citazione e al terzo motivo specifico proposto dall’appellante” (così ricorso principale, pag. 60).

Con l’unico motivo i ricorrenti incidentali deducono “violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, all’art. 873 c.c. ed all’art. 28, comma 10 del regolamento urbanistico del Comune di Carrara, approvato con delibera del Consiglio Comunale n. 64 del 8.4.1998 e successive varianti nel testo aggiornato a seguito della variante approvata con delibera consiliare del Comune di Carrara n. 142 del 29.12.2008” (così ricorso incidentale, pag. 8).

Adducono che la corte d’appello, pur applicando correttamente i postulati dell’elaborazione giurisprudenziale in tema di successione nel tempo delle norme edilizie, ha tuttavia recepito acriticamente le conclusioni della c.t.u. disposta in grado d’appello; che infatti il consulente, pur avendo esattamente interpretato l’art. 28, comma 10, delle n.t.a. del p.r.g. del comune di Carrara nella formulazione allo stato vigente, “ha semplicemente equivocato il contenuto dell’art. 873 (…), intendendo erroneamente la distanza di tre metri in esso indicata come riferita al confine di proprietà” (così ricorso incidentale, pagg. 12 – 13); che invero “il disposto normativo codicistico in materia di distanze non prevede in alcun caso il rispetto di un determinato distacco (…) dal confine di proprietà” (cosi ricorso incidentale, pag. 14); che conseguentemente, in virtù della corretta esegesi del combinato disposto dell’art. 28, comma 10, delle n.t.a. del regolamento urbanistico del comune di Carrara e dell’art. 873 c.c., la corte di merito avrebbe dovuto reputare come perfettamente lecita la costruzione esistente sul terreno di loro proprietà.

Si impone previamente la disamina delle eccezioni preliminari formulate dai controricorrenti Ba.Ma. e Gi. avverso il ricorso incidentale esperito da B.F., R., S. e D..

Destituita di fondamento è la prima eccezione.

Al riguardo è sufficiente il rinvio all’insegnamento di questa Corte di legittimità alla stregua del quale la procura apposta nell’unico atto contenente il controricorso e il ricorso incidentale deve intendersi estesa anche a quest’ultimo, per il quale non è richiesta formalmente una procura autonoma e distinta, ed al contempo soddisfa il requisito della specialità del mandato, attesa l’inerenza materiale del mandato stesso all’atto nel quale è incorporato (cfr. Cass. sez. lav. 13.12..2010, n. 25137, ove si soggiunge che il rilascio anche non datato della procura mediante timbro apposto a margine od in calce all’atto contenente il controricorso ed il ricorso incidentale conferisce alla procura stessa sia il carattere dell’anteriorità, che il requisito della specialità, giacchè tale collocazione rivela uno specifico collegamento tra la procura ed il giudizio di legittimità).

Fondata, viceversa, è la seconda eccezione preliminare.

Deve, pertanto, reputarsi inammissibile il ricorso incidentale proposto dai B..

E’ fuor di dubbio che l’originario atto con cui Ba.Ma. e Ba.Gi. ebbero a convenire in giudizio M.L., da un canto, e B.G. e M.R., dall’altro, è valso ad introdurre in un unico contesto processuale due distinti e indipendenti rapporti (processuali), se non connessi per l’oggetto o per il titolo, quanto meno accomunati, nella prospettiva della loro definizione, dalla necessità di attendere alla soluzioni di identiche questioni; l’originario atto di citazione, cioè, ha dato vita ad un’ipotesi di litisconsorzio facoltativo, se non proprio, quanto meno improprio (art. 103 c.p.c., comma 1, seconda parte).

Di conseguenza la scindibilità dei rapporti processuali in tal guisa instauratisi, idonea a far sì che permanessero indipendenti e che le vicende dell’uno fossero insuscettibili di comunicarsi all’altro, si è, nel segno dell’art. 332 c.p.c., riverberata pur in grado di appello.

Con la conseguenza ulteriore che questo Giudice del diritto non può che reiterare i propri insegnamenti.

Ovvero l’insegnamento secondo cui in tema di impugnazioni, il principio secondo il quale, nel processo con pluralità di parti, vige la regola dell’unitarietà del termine dell’impugnazione (sicchè la notifica della sentenza eseguita a istanza di una sola delle parti segna, nei confronti della stessa e della parte destinataria della notificazione, l’inizio della decorrenza del termine breve per la proposizione dell’impugnazione contro tutte le altre parti) trova applicazione soltanto nelle ipotesi di cause inscindibili (o tra loro comunque dipendenti), ovvero in quella in cui la controversia concerna un unico rapporto sostanziale o processuale, e non anche quando si tratti di cause scindibili o, comunque, tra loro indipendenti, per le quali, in applicazione del combinato disposto degli artt. 326 e 332 c.p.c., è esclusa la necessità del litisconsorzio; in tali ipotesi (qual è quella di specie) il termine per l’impugnazione non è unico, ma decorre dalla data delle singole notificazioni della sentenza a ciascuno dei titolari dei diversi rapporti definiti con l’unica sentenza, mentre per le altre parti si applica la norma dell’impugnabilità nel termine di cui all’art. 327 c.p.c. (cfr. Cass. 4.2.2010, n. 2557; cfr. Cass. sez. un. 3.6.1992, n. 6788, secondo cui, nell’ipotesi di processo con pluralità di parti e di decisione con unica sentenza di cause tra loro indipendenti perchè fondate su titoli diversi, ciascuna parte ha un autonomo diritto di impugnazione in corrispondenza all’autonomo diritto sostanziale azionato nel giudizio, con la conseguenza che il termine breve per impugnare decorre, per ognuna di esse, dalla data della notificazione della sentenza ad essa effettuata, dovendosi escludere la legittimazione all’impugnazione incidentale tardiva ex art. 334 c.p.c. per la parte che, impugnando successivamente ad altra, non sia destinataria dell’impugnazione principale da questa proposta nè chiamata ad integrare il contraddittorio e si limiti ad investire col proprio gravame il diverso capo della sentenza che concerna la sua autonoma situazione sostanziale, senza che rilevi in contrario un eventuale provvedimento di riunione delle due impugnazioni).

Ovvero l’insegnamento secondo cui la notificazione dell’impugnazione a parti diverse da quelle contro cui è stata proposta ai sensi dell’art. 332 c.p.c. non ha la stessa natura di quella prevista dal precedente art. 331 c.p.c., relativo all’integrazione del contraddittorio in cause inscindibili, in quanto, mentre in tale ultima norma si tratta di una vocatio in jus per integrare il contraddittorio, in ipotesi di cause scindibili, invece, detta notificazione integra soltanto una litis denuntiatio allo scopo di avvertire coloro che hanno partecipato al giudizio della necessità di propone le impugnazioni, che non siano già precluse o escluse, nel processo instaurato con l’impugnazione principale (cfr. Cass. 6.6.1983, n. 3858, ove si soggiunge che, in caso di omissione dell’indicata notificazione (sia stata o meno essa ordinata dal giudice), si produce l’unico effetto per cui il processo, per facilitare l’ingresso dell’eventuale interveniente, è da ritenere in situazione di stasi e di quiescenza (onde la sentenza non può essere utilmente emessa) fino alla decorrenza dei termini stabiliti dagli artt. 325 e 327 c.p.c., sicchè la sentenza d’appello, ove non sia stata disposta la notificazione del gravame alle altre parti, in relazione a cause scindibili, è annullabile dalla Corte di Cassazione soltanto se, quando essa è chiamata a decidere, non siano decorsi i termini per l’appello, laddove, se questi sono scaduti, l’inosservanza dell’art. 332 c.p.c. non produce alcun effetto).

Nel quadro della riferita elaborazione giurisprudenziale si rileva, da un lato, che i litisconsorti facoltativi B.F., R., S. e D. hanno espressamente puntualizzato di aver ricevuto notificazione della sentenza n. 805/2011 della corte d’appello di Genova in data 20 settembre 2011 (“e notificata il 20.9.2011”; così controricorso, pag. 2); si rileva, dall’altro, che hanno notificato il proprio ricorso incidentale a Ba.Gi. e Ma. nel domicilio eletto in Genova, alla via Caffaro 19/3, presso l’avvocato Angelo Ramoino in data 12 dicembre 2011, allorchè il termine di sessanta giorni ex art. 325 c.p.c., comma 2, a far data dal 20 settembre 2011 era abbondantemente decorso.

Strettamente connessi sono il primo ed il secondo motivo del ricorso principale; il che ne suggerisce la contestuale disamina.

I medesimi motivi comunque sono fondati e meritevoli di accoglimento.

E’ indubitabile, per un verso, che la disciplina codicistica, di cui agli artt. 873 c.c. e ss. (che attribuisce al primo, tra due proprietari di fondi finitimi, che edifica sul proprio fondo, una triplice facoltà, potendo egli costruire sul confine o a distanza dal confine non inferiore a quella minima imposta dal codice (o a quella maggiore prevista dai regolamenti edilizi comunali) oppure, infine, ad una distanza inferiore a quella legale, salva in quest’ultima ipotesi il diritto del vicino che costruisce successivamente di avanzare la propria fabbrica, alle condizioni previste dall’art. 875 cc., fino all’altrui costruzione: cfr. Cass. 11.11.1974, n. 3527), non prescrive tout court una distanza dal confine (cfr. Cass. 22.3.1975, n. 1095, secondo cui, poichè gli artt. 873, 875 e 877 c.c. prescrivono che le costruzioni su fondi finitimi, che non siano aderenti, debbano essere mantenute alla distanza minima di tre metri e che, pertanto, il proprietario che costruisce per ultimo resta vincolato, nella sua facoltà di scelta, dall’esercizio del diritto di prevenzione da parte del primo costruttore, è da escludersi che, in base al sistema del codice civile e salva l’applicabilità della diversa disciplina di regolamenti locali, le costruzioni debbano essere, in ogni caso, tenute alla distanza minima di un metro e mezzo dal confine, indipendentemente dalla posizione assunta dal fabbricato eventualmente preesistente nel fondo vicino; da tanto consegue che nessun vincolo grava sul secondo costruttore, quanto alla distanza dal confine, nel caso in cui il proprietario che ha costruito per primo, abbia edificato la sua costruzione ad una distanza dal confine maggiore di tre metri).

E’ fuor di dubbio, per altro verso, che l’ampliamento realizzato dalla ricorrente principale sul terreno di sua proprietà “non fronteggiava alcuna costruzione poichè sul mappale del terreno confinante non risultano realizzate costruzioni all’epoca dell’ampliamento, nè successivamente” (così ricorso principale, pag. 51; in proposito cfr. altresì ricorso principale, pag. 4, ove è riprodotta la comparsa di costituzione in prime cure di M.L., ove leggesi che “l’appezzamento degli attori risulta assolutamente inedificabile stante l’estrema modestia della sua consistenza quanto alla concreta superficie”). Al riguardo, del resto, Ba.Gi. e Ma. nulla hanno replicato con il loro controricorso. Ne deriva che non opera nella fattispecie il D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, art. 9 (emanato in esecuzione della norma sussidiaria della L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 41 quinquies, introdotto dalla L. 6 agosto 1967, n. 765), che prescrive la distanza minima inderogabile di metri dieci tra pareti finestrate o pareti di edifici antistanti.

E’ innegabile, per altro verso ancora, che dalla lettera dell’art. 28, comma 10, delle n.t.a. del p.r.g. del comune di Carrara, nella formulazione risultante all’esito dell’approvazione con deliberazione consiliare n. 69 del 5.8.2005 della variante al regolamento urbanistico, è stata espunta la congiunzione “e”. Ne discende, alla luce della corretta esegesi del medesimo comma, che le distanze da osservare alla stregua del regolamento locale (qualora non operino le prescrizioni del D.M. n. 1444 del 1968) sono quelle di cui al codice civile, che, lo si è anticipato, non prefigura tout court distanze dal confine e dispone che le costruzioni su fondi finitimi, che non siano aderenti debbano essere mantenute alla distanza minima di tre metri (ovviamente va posto in risalto che la corte ligure ha debitamente tenuto conto dell’elaborazione giurisprudenziale di questo Giudice del diritto a tenor della quale, nel caso di successione nel tempo di norme edilizie, se le norme successive siano più restrittive, la nuova disciplina non è applicabile alle costruzioni che al momento della sua entrata in vigore possano considerarsi già sorte, mentre nell’ipotesi di nuove norme meno restrittive, il principio della immediata applicabilità dello “ius superveniens” trova l’unico limite nell’eventuale giudicato formatosi nella controversia sulla legittimità o meno della costruzione, con la conseguenza che non può disporsi la demolizione degli edifici originariamente illeciti alla stregua delle precedenti norme e che siano consentiti dalla normativa sopravvenuta, nè, qualora la costruzione risulti illegittima anche alla stregua della disciplina sopravvenuta, ordinarsene l’arretramento in misura maggiore di quella necessaria ad assicurare il rispetto della nuova prescrizione, salvo, ove ne ricorrano le condizioni, il diritto al risarcimento dei danni prodottisi “medio tempore”, ossia di quelli conseguenti alla illegittimità della costruzione nel periodo compreso tra la sua esecuzione e l’avvento della nuova disciplina: cfr. Cass. 19.1991, n. 9348; cfr. Cass. 23.2007, n. 4980, secondo cui, in caso di successione nel tempo di norme edilizie, la nuova disciplina, se meno restrittiva, è applicabile anche alle costruzioni realizzate prima della sua entrata in vigore, con l’unico limite dell’eventuale giudicato formatosi nella controversia sulla legittimità della costruzione stessa, onde la illegittimità dell’eventuale ordine di demolizione degli edifici originariamente illeciti alla stregua delle precedenti norme, nei limiti in cui siano consentiti dalla normativa sopravvenuta).

In questi termini, sulla scorta del rilievo del c.t.u., secondo cui “l’ampliamento realizzato sul mappale (OMISSIS) di proprietà di M.L., (…) si trova ad una distanza di circa ml. 2,00 e quindi inferiore a ml. 3,00 (art. 873 c.c.) dal confine con il mappale (OMISSIS), di proprietà di Ba.Ma. e Ba.Gi.” (così ricorso principale, pagg. 24 e 25), le affermazioni del medesimo consulente (“l’ampliamento realizzato sul mappale (OMISSIS) (…) si troverebbe ancora in violazione delle distanze”: così ricorso, pagg. 24 – 25) e, dipoi, in special modo, della corte distrettuale (“il comune di Carrara, con modifica della propria normativa, ha stabilito che, nella zona in cui esistono i fabbricati per cui è causa, la distanza minima di essi dal confine deve essere pari a metri 3; (…) i manufatti edificati non rispettano neppure tale termine. Si deve quindi provvedere (…) nel senso che gli edifici dovranno essere collocati alla distanza di metri 3 dal confine degli attori”: così sentenza d’appello, pagg. 9 – 10) vanno censurate, giacchè si risolvono nella patente violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 873 c.c. e ss. e dell’art. 28, comma 10 delle vigenti n.t.a. del p.r.g. del comune di Carrara (cfr. Cass. 26.9.2005, n. 18872, secondo cui le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, descrivono e rispecchiano i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto, cioè quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto e quello concernente l’applicazione della norma stessa al caso concreto una volta correttamente individuata ed interpretata; in relazione al primo momento il vizio (violazione di legge) investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non ha riguardo alla fattispecie in essa delineata; con riferimento al secondo momento il vizio (falsa applicazione di legge) consiste o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perchè la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma in relazione alla fattispecie concreta conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione).

Il terzo motivo del ricorso principale è stato espressamente esperito in via subordinata (“nella denegata ipotesi in cui la Ecc.ma Carte di legittimità dovesse respingere i primi due mezzi (…)”: così ricorso principale, pag. 53).

Il buon esito dei primi due motivi della principale impugnazione, perciò, assorbe e rende vana la disamina del terzo motivo.

Destituito di fondamento è il quarto motivo del ricorso principale.

Si è anticipato che la corte territoriale ha, in relazione al primo motivo del gravame principale, opinato sostanzialmente nel senso che all’autorizzazione a costruire a distanza inferiore a quella prescritta, siccome accordata a M.L. unicamente da Ba.Gi., dovesse disconoscersi validità, “mancando il consenso espresso della comproprietaria” (così sentenza d’appello, pag. 9), ossia che la scrittura del 28.8.1990 fosse tamquam non esset (si tenga conto che, ai sensi dell’art. 1108 c.c., comma 3, è necessario il consenso di tutti i condomini ai fini della costituzione di servitù sul fondo comune; e la facoltà di edificare a distanza inferiore rispetto a quella prescritta è diritto reale di servitù: cfr. Cass. 24.6.1996, n. 4770, secondo cui le convenzioni tra privati, con le quali si stabiliscono reciproche limitazioni o vantaggi a favore e a carico delle rispettive proprietà individuali, specie in ordine alle modalità di edificabilità, restringono o ampliano definitivamente i poteri connessi alla proprietà attribuendo a ciascun fondo un corrispondente vantaggio e onere che ad esso inerisce come “qualitas fundi”, ossia con caratteristiche di realità inquadrabili nello schema delle servitù).

Su tale scorta la corte genovese ha evidentemente reputato assorbito ogni ulteriore doglianza in proposito dedotta dalla principale appellante.

Sicchè non vi margine alcuno perchè al riguardo possa configurarsi – mercè la formulazione alternativa che connota l’articolazione del motivo de quo agitur – il denunciato difetto di motivazione.

E ciò, si badi, al di là del rilievo per cui la formulazione in via condizionata del terzo motivo del ricorso principale non può non riverberarsi pur sul quarto motivo della stessa impugnazione, atteso che la “materia” che tal ultimo “mezzo” involge, è la medesima cui afferisce il terzo “mezzo”.

Fondato e meritevole di accoglimento è il quinto motivo.

In proposito vanno ribaditi gli insegnamenti di questa Corte.

Ovvero l’insegnamento in virtù del quale il thema decidendi nel giudizio di secondo grado è delimitato dai motivi di impugnazione, la cui specifica indicazione è richiesta, ex artt. 342 e 434 c.p.c., per l’individuazione dell’oggetto della domanda d’appello e per stabilire l’ambito entro il quale deve essere effettuato il riesame della sentenza impugnata; tuttavia, allorquando sia impugnata una sentenza di totale reiezione della domanda originaria, poichè il bene della vita richiesto non può che essere in linea di massima quello negato in primo grado siccome delimitato dagli stessi motivi di impugnazione, ne deriva che, ove questi siano “specifici” e chiaramente rivolti contro le argomentazioni che avevano condotto il primo giudice al rigetto della domanda, va escluso che, pur in mancanza di conclusioni precise, possa ravvisarsi acquiescenza alla reiezione di essa, dovendosi ravvisarsi la riproposizione della domanda negli identici termini iniziali con le eventuali delimitazioni evidenziate dalla specificazione dei motivi di gravame e dalla eventuale incompatibilità rispetto ad essi (cfr. Cass. sez. lav. 27.2.2004, n. 4053; nella specie, relativa a impugnazione di licenziamento, il lavoratore si era limitato a richiedere “in riforma della sentenza impugnata” raccoglimento “del presente gravame”; la Corte di appello, con sentenza confermata dalla SC., aveva ritenuto infondata l’eccezione di inammissibilità dell’appello, perchè il contenuto della domanda risultava dalla parte espositiva dell’atto e le censure erano implicite nel richiamo ad altra precedente sentenza pretorile già oggetto di annullamento; cfr., inoltre, Cass. 16.5.2006, n. 11372).

Ovvero l’insegnamento in virtù del quale, ai fini di una corretta interpretazione della domanda, il giudice di primo grado è tenuto ad interpretare le conclusioni contenute nell’atto di citazione, alle quali si è riportato l’attore in sede di precisazione delle conclusioni, tenendo conto della volontà della parte quale emergente non solo dalla formulazione letterale delle conclusioni assunte nella citazione, ma anche dall’intero complesso dell’atto che le contiene, considerando la sostanza della pretesa, così come è stata costantemente percepita dalle parti nel corso del giudizio di primo grado, tenendo conto non solo delle deduzioni e delle conclusioni inizialmente tratte nell’atto introduttivo, ma anche della condotta processuale delle parti, nonchè delle precisazioni e specificazioni intervenute in corso di causa (cfr. Cass. 16.9.2004, n. 18653).

In questi termini va censurata la statuizione della corte d’appello di Genova nella parte in cui ha reputato la domanda con cui M.L. aveva in prime cure, in via riconvenzionale, sollecitato la condanna di Ba.Gi. a risarcirle il danno cagionato (domanda in ordine alla quale il primo giudice aveva omesso ogni pronuncia), come non riproposta in appello sulla scorta unicamente della letterale formulazione delle conclusioni dell’atto di gravame, in tal guisa prescindendo del tutto dalla considerazione e disamina del testuale tenore del terzo motivo del gravame principale.

In accoglimento del primo, del secondo e del quinto motivo del ricorso principale la sentenza n. 805 del 5/18.7.2011 della corte d’appello di Genova va cassata con rinvio ad altra sezione della medesima corte.

Specificamente in dipendenza del buon esito del primo motivo del ricorso principale, formulato ed accolto nel segno della previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), si attende, giusta il disposto dell’art. 384 c.p.c., comma 1, all’enunciazione del principio di diritto – al quale ci si dovrà uniformare in sede di rinvio – nel modo che segue:

l’art. 28, comma 10, delle n.t.a. del p.r.g. del comune di Carrara, nella formulazione risultante all’esito dell’approvazione con deliberazione consiliare n. 69 del 5.8.2005 della variante al regolamento urbanistico del medesimo comune (nel testo aggiornato al 5 febbraio 2009 a seguito di variante approvata con delibera 142 del 29.12.2008), va interpretato, in dipendenza della espunzione dall’anzidetto comma 10 della congiunzione “e”, nel senso che le distanze da osservare, qualora non operino le prescrizioni del D.M. n. 1444 del 1968, sono quelle di cui al codice civile; e, conseguentemente, che il medesimo art. 28, comma 1, cit., in combinato disposto con gli artt. 873 c.c. e ss., non impone, ai fini della liceità dell’edificazione su fondi finitimi, l’osservanza di una data distanza dal confine, tanto meno l’osservanza della distanza di tre metri dalla linea di confine.

In sede di rinvio si provvederà alla regolamentazione delle spese tra le parti tutte del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo, il secondo ed il quinto motivo del ricorso principale esperito da M.L., in tal guisa assorbita la disamina del terzo motivo dello stesso ricorso; rigetta il quarto motivo parimenti del ricorso principale; dichiara inammissibile il ricorso incidentale esperito da B.F., R., S. e D.; cassa la sentenza n. 805 dei 5/18.7.2011 della corte d’appello di Genova in relazione e nei limiti dei motivi accolti; rinvia ad altra sezione della corte d’appello di Genova anche per la regolamentazione tra le parti tutte delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2 sez. civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 7 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2016

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