Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15449 del 30/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 30/06/2010, (ud. 16/03/2010, dep. 30/06/2010), n.15449

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

RAASM S.P.A., elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Monti

Parioli, n. 48, nello studio dell’Avv. Marini Giuseppe, che la

rappresenta e difende, unitamente all’Avv. Loris Tosi, giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CASSOLA, elettivamente dom.to in Roma, Via Lucrezio Caro,

n. 12, nello studio dell’Avv. Fiore Stefano, che lo rappresenta e

difende, giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria del Veneto, n.

48/20/03, depositata in data 22 aprile 2004;

Sentita la relazione del consigliere Dott. Pietro Campanile alla

pubblica udienza del 16 marzo 2010;

Sentito il difensore della RAAM S.p.a. Avv. Ulisse Corea, per delega

dell’Avv. Marini;

Sentito per il Comune di Cassola l’Avv. Massimo Gruarun, per delega

dell’Avv. Fiore;

Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto

Dott. Wlademiro De Nunzio, il quale ha concluso per il rigetto del

ricorso.

 

Fatto

1.1 – La RAASM S.p.a. impugnava gli avvisi di accertamento emessi dal Comune di Cassola, relativi ad imposta di pubblicità per gli anni 1997, 1998 e 1999, e fondati sulla rilevazione della scritta “RAASM”, di sesquipedali dimensioni, sul tetto dei capannoni della propria azienda.

Si sosteneva che la scritta aveva la funzione di consentire alle mongolfiere partecipanti ad un meeting di individuare il luogo di atterraggio, e non costituiva, quindi, messaggio pubblicitario, essendo per altro collocata in luogo non pubblico, nè aperto, nè esposto al pubblico, ma visibile solo dall’alto. Si deduceva, in ogni caso, che la ricorrente era soggetto diverso da quello che aveva organizzato la manifestazione sportiva; si denunciava, inoltre, la violazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 12, comma 2, che prevede ala riduzione della tariffa per le fattispecie di durata inferiore a tre mesi.

1.2 – La Commissione tributaria provinciale adita rigettava i ricorsi, rilevando, fra l’altro, la tardività della richiesta di esclusione delle sanzioni.

1.3 – Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto indicata in epigrafe, con la quale veniva rigettato l’appello proposto dalla società, ha proposto ricorso per cassazione la RAASM S.p.a., deducendo otto motivi.

Si è difeso con controricorso il Comune di Cassola.

Diritto

2.1 – Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 5, comma 2, nonchè omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, sostenendosi che sarebbe stata erroneamente disattesa la valenza segnaletica delle scritte.

Il motivo è infondato. Premesso che la stessa ricorrente non contesta la visibilità delle scritte dall’alto (le quali concretano, in termini pubblicitari, un significativo messaggio), e che la loro percepibilità dalle finestre di un ospedale costituisce quaestio facti non sindacabile in questa sede, la deduzione della mera intenzione di segnalare il luogo di atterraggio, come imposto – si sostiene – dalla normativa specifica (onere per altro assolvibile anche mediante il ricorso a qualsiasi altro mezzo di segnalazione diverso della scritta RAASM), non contrasta con l’oggettiva funzione pubblicitaria delle scritte stesse, correlata alla diffusione della ragione sociale dell’impresa.

Deve richiamarsi, in proposito, il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui è soggetto ad imposta sulla pubblicità, ai sensi del D.Lgs. 16 dicembre 1993, n. 507, art. 5 qualsiasi mezzo di comunicazione con il pubblico, il quale risulti – indipendentemente dalla ragione e finalità della sua adozione – obiettivamente idoneo a far conoscere indiscriminatamente alla massa indeterminata di possibili acquirenti ed utenti, cui si rivolge, il nome, l’attività e il prodotto di una azienda, non implicando la funzione pubblicitaria una vera e propria operazione reclamistica o propagandistica, e non essendo la stessa, quindi, incompatibile con altre finalità, quale, ad esempio, quella di agevolare il traffico (Cass., 3 settembre 2004, n. 17852).

2.2 – Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 5, comma 1, e dell’art. 19 del regolamento comunale in materia di imposta sulla pubblicità, nonchè omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Il motivo è infondato. La censura è intrinsecamente contraddittoria, in quanto, mentre, da un lato, si ammette che le scritte potessero essere lette “dai piani alti dell’ospedale di (OMISSIS)”, ovvero dagli occupanti dei velivoli che sorvolavano la zona, dall’altro si esclude il requisito dell’esposizione al pubblico.

2.3 – Quanto al terzo motivo, incentrato sulla carenza di legittimazione della RAASM S.p.a., dovendosi individuare come soggetto passivo dell’imposta la Raasm Park, organizzatrice della manifestazione sportiva, appare evidente (a tacere delle novità della questione, come eccepita dal Comune di Cassola) la confusione fra la funzione segnaletica e quella obiettivamente pubblicitaria, come sopra evidenziate, laddove, essendo palese la rilevanza, per il fine che qui interessa, soltanto della seconda, non può dubitarsi che il soggetto passivo dell’imposta sia la società ricorrente, la cui ragione sociale risalta, a caratteri cubitali, dal tetto dei capannoni della propria azienda.

2.4 – L’erronea prospettiva testè richiamata, vale a dire l’esclusiva riferibilità delle scritte alla manifestazione sportiva (senza tener conto della loro permanenza anche nei periodi in cui non si svolge la manifestazione e, in ogni caso, della funzione pubblicitaria obiettivamente alle stesse correlata, e ridondante nei confronti della sola RAASM S.p.a.) si riverbera, nel senso dell’infondatezza, nei confronti del quarto motivo, con cui si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 12 e 8 nonchè vizio di motivazione, per aver la decisione impugnata negletto il carattere temporaneo della pubblicità.

2.5 – Tenuto anche conto di quanto testè rilevato, va osservato, quanto al quinto e al sesto motivo, con i quali si denuncia violazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 8 e 10 sostenendosi che essendo stati gli avvisi di accertamento notificati nel 1999, la pubblicità dovrebbe presumersi effettuata dal 1 gennaio di tale anno, e che, in ogni caso, si sarebbe verificata decadenza quanto all’anno 1997, che la tesi ad essi sottesa si fonda su una non condivisibile trasposizione della norma finalizzata alla misura del tributo con quella inerente alla decadenza dal potere impositivo.

Giova, in proposito, richiamare il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui, in caso di omessa dichiarazione, il dies a quo del termine biennale di decadenza va identificato nel momento del sorgere dell’obbligo della dichiarazione, il quale nasce, ai sensi del citato D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 8 appena “prima di iniziare la pubblicità”, senza che possa essere invocato il disposto del medesimo art. 8, comma 4 – secondo il quale, in ipotesi di omessa dichiarazione, la pubblicità si presume effettuata in ogni caso “con decorrenza dal primo gennaio dell’anno in cui è stata accertata – atteso che la decorrenza cui detta norma si riferisce attiene unicamente alla misura del tributo che l’omittente è tenuto a versare. Ne deriva che un utile rilievo della decadenza implica per il contribuente la dimostrazione che la pubblicità sia stata intrapresa, in assenza di dichiarazione, oltre due anni prima della notifica dell’accertamento di ufficio (Cass., 29 febbraio 2008, n. 5486; Cass., 29 settembre 2003, n. 14483).

2.6 – La violazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 7 posta alla base del settimo motivo, risulta dedotta per la prima volta solo in sede di appello, a prescindere dalla insindacabilità, in questa sede, della valutazione di merito ad essa sottesa. Mette conto in ogni caso di ribadire – in relazione al richiamo, per altro privo dei richiesti requisiti di autosufficienza, a degli atti di notorietà, dai quali dovrebbe desumersi che per l’anno 1997 la scritta, anche su un secondo capannone, sarebbe apprezzabile dall’esame dei depliant e della videocassette solo in virtù di un fotomontaggio – il principio, già affermato da questa Corte e condiviso dal Collegio, secondo cui l’attribuzione di efficacia probatoria alla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà che, così come l’autocertificazione in genere, ha attitudine certificativa e probatoria esclusivamente in alcune procedure amministrative, essendo viceversa priva di efficacia in sede giurisdizionale, trova, con specifico riguardo al contenzioso tributario, ostacolo invalicabile nella previsione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, giacchè finirebbe per introdurre nel processo tributario – eludendo il divieto di giuramento e prova testimoniale – un mezzo di prova, non solo equipollente a quello vietato, ma anche costituito al ai fuori del processo (Cass., 10 gennaio 2007, n. 703).

2.7 – La Commissione tributaria regionale ha rigettato il motivo inerente alla disapplicazione della sanzioni sulla base di due distinte rationes decidendi: la tardività della richiesta e l’insussistenza di difficoltà interpretative. Con l’ottavo motivo di. ricorso la RAASM S.p.a. deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8; del D.Lgs. n. 472, art. 6 del 1997, e della L. n. 212 del 2000, art. 10 (quest’ultima successiva all’emanazione dell’avviso di accertamento), sostenendo, da un lato, l’escludibilità, anche in via ufficiosa, delle sanzioni, e, dall’altro, le difficoltà interpretative inerenti al caso in esame e l’assenza di colpevolezza, per essersi la società conformata a un parere fornito da una rivista tributaria, all’uopo interpellata.

Prescindendo dal primo profilo, deve richiamarsi – in relazione alla violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8 – il principio secondo cui, in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie il potere delle commissioni tributarie di dichiarare la non applicabilità delle sanzioni in caso di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle norme alle quali la violazione si riferisce sussiste quando la disciplina normativa, della cui applicazione si tratti, si articoli in una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso per l’equivocità del loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione, il cui onere di allegazione grava sul contribuente (Cass., 27 febbraio 2009, n. 4765). Sotto quest’ultimo profilo va ribadito che costituisce requisito di ammissibilità, nel caso di specie insussistente, del ricorso per cassazione l’indicazione dei procedimenti d’interpretazione normativa adottati e delle norme contrastanti che ne hanno costituito i risultati (Cass., 21 marzo 2008, n. 7765; Cass. 11 settembre 2009, n. 19638).

Quanto agli altri aspetti (carenza di colpevolezza per aver richiesto un parere a una rivista; omessa applicazione del principio della continuazione), trattasi di questioni di matura sostanziale che presuppongono la loro rituale deduzione nel giudizio di merito (cfr, quanto al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5Cass., 19 aprile 2006, n. 9129; e, quanto al successivo art. 12, Cass., 9 giugno 2009, n. 13231; Cass., 21 dicembre 2005, n. 28354). Sotto tale profilo va rilevato, da un – lato, che, poichè nella sentenza impugnata tali temi non risultano in alcun modo affrontati, la ricorrente avrebbe dovuto denunciare il relativo vizio sotto il profilo dell’omessa pronuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in ogni caso nel pieno rispetto del principio di autosufficienza, nella specie disatteso.

2.8 – Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato, con condanna della RAASM S.p.a. al pagamento delle spese processuali relative al presente giudiziosi legittimità, che si liquidano come da dispositivo, nei confronti del Comune di Cassola.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 5^ sezione civile – tributaria, il 16 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2010

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