Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15444 del 30/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 30/06/2010, (ud. 04/03/2010, dep. 30/06/2010), n.15444

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. SOTGIU Simonetta – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MELONCELLI Achille – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

ISTITUTO AUTONOMO PER LE CASE POPOLARI DELLA PROVINCIA DI AGRIGENTO,

in persona del presidente pro tempore del consiglio di

amministrazione, rappresentato e difeso dall’avv. Augello Antonino

ed elettivamente domiciliato in Rema in viale delle Milizie n. 22;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI AGRIGENTO, in persona del Sindaco pro tempore,

rappresentato e difeso dall’avv. Camilleri Vincenzo ed elettivamente

domiciliato in Roma presso l’avv. Nicola Nanni in via della Giuliana

n. 73;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Sicilia n. 8/29/04, depositata il 28 giugno 2004.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 4

marzo 2010 dal Relatore Cons. Dr. Antonio Greco;

Udito l’avv. Vincenzo Camilleri per il controricorrente;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Istituto Autonomo per le Case Popolari per la Provincia di Agrigento – IACP, impugno l’avviso di liquidazione dell’ICI per il 1994 ad esso notificato dal Comune di Agrigento il 4 maggio 1999 deducendo, tra l’altro, di non essere soggetto passivo dell’imposta.

Il giudice di primo grado accoglieva il ricorso, ritenendo che soggetto passivo dell’imposta era, ai sensi del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 3, non il superficiario ma il proprietario concedente, e quindi il Comune, proprietario del suolo, e che l’Istituto fosse esente, ai sensi del successivo art. 7, lett. i), in quanto svolgente un’attività istituzionalmente finalizzata alla prestazione di un servizio assistenziale.

Il Comune di Agrigento proponeva appello. L’IACP di Agrigento, costituendosi con atto di controdeduzioni, eccepiva l’irritualità dell’impugnazione, lamentando la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 22, atteso che era stata ad esso notificata, a mezzo del servizio postale, “una copia dell’appello e non l’originale come previsto dalla legge.

Inoltre, ovviamente, l’appello depositato in CTR non contiene il visto di conformità”. Il Comune di Agrigento successivamente “depositava un’istanza con la quale rappresentava che la proposizione dell’appello aveva dato luogo all’instaurazione di due distinti procedimenti perchè, mentre il deposito dell’appello presso la CIR in data (OMISSIS) aveva originato il fascicolo n. (OMISSIS) RGA, il ricorso in appello inviato per conoscenza in doppio originale alla Commissione tributaria provinciale era stato da questa autonomamente inviato alla CTR, il cui ufficio protocollo, anch’esso autonomamente “ha ricevuto il suddetto documento, anzichè come corrispondenza in entrata, come se fosse un atto di iscrizione a ruolo, e di fatto lo ha registrato con il n. (OMISSIS) RGA”.

Con successiva memoria illustrativa l’Istituto appellato “estrinsecava i motivi di inammissibilità sia dell’appello contenuto nel fascicolo n. (OMISSIS) RGA, che di quello contenuto nel fascicolo n. (OMISSIS) RGA.” La Commissione tributaria regionale della Sicilia preliminarmente respingeva l’eccezione di inammissibilità degli appelli, disponendo la loro riunione. Riteneva infatti che “la duplicazione di detti procedimenti non era addebitabile all’attività dell’appellante, ma ad un mero disguido dell’ufficio che in questa Commissione ha ricevuto indebitamente un esemplare dell’appello dalla CTP di Agrigento e consente soprattutto di constatare che non sussiste alcuna delle violazioni ipotizzate con la memoria illustrativa depositata dallo IACP”.

Nel merito, riteneva fondata l’impugnazione, sul rilievo che gli IACP sono soggetti passivi di ICI ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3 e non rientrano tra i casi di. esenzione di cui al successivo art. 7, comma 1, lett. i), essendo proprietari degli immobili che concedono in locazione riscuotendone il canone.

Nei confronti della decisione lo IACP per la Provincia di Agrigento ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.

Il Comune di Agrigento resiste con controricorso illustrato con successiva memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo l’Istituto ricorrente, denunciando “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 53, 20 e 22. Omessa pronuncia sull’eccezione di inammissibilità”, deduce l’illegittimità della sentenza per non aver dichiarato l’inammissibilità degli appelli. Si duole, innanzitutto della violazione delle norme che disciplinano le modalità di costituzione dell’appellante nel giudizio tributario, che prevedono, nel caso di notifica a mezzo posta, ipotesi ricorrente nella specie, o tramite consegna diretta, il deposito, presso la Commissione tributaria regionale di un fascicolo contenente, tra l’altro, la copia dell’appello con acclusa la ricevuta di spedizione o, rispettivamente, la ricevuta di deposito – e non l’originale dell’atto di appello, da depositare nel solo caso di appello notificato ai sensi delle disposizioni del codice di procedura civile. Il giudice d’appello non solo avrebbe emesso di rilevare d’ufficio tale grave vizio comportante l’inammissibilità dell’impugnazione, ma avrebbe anche omesso di pronunciarsi sull’eccezione a tal riguardo sollevata nella memoria illustrativa, nella quale si ribadiva come la costituzione in giudizio dovesse effettuarsi con il deposito di un fascicolo contenente la copia dell’appello con acclusa la ricevuta di. spedizione o la ricevuta di deposito, nel caso di notifica a mezzo posta o tramite consegna diretta.

Con il secondo motivo, denunciando “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 53, 20 e 22. Omessa e/o insufficiente e/o errata motivazione su un punto decisivo della controversia”, deduce, sotto altro profilo, l’illegittimità della sentenza per non aver dichiarato l’inammissibilità degli appelli: del primo, del quale era stata ad esso notificata la copia, mentre era stato depositato l’originale, per il mancato rispetto degli adempimenti prescritti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, non contenendo il relativo fascicolo alcun elemento che provi l’avvenuta notifica dell’impugnazione alla controparte, e cioè copia della ricevuta di spedizione dell’appello tramite il servizio postale; del secondo, per omessa notifica dell’atto alla controparte, avendo esso Istituto inequivocabilmente ricevuto la notifica di un solo atto di appello. In ogni caso, alla pronuncia di inammissibilità del primo appello avrebbe dovuto conseguire l’inammissibilità del secondo, ai sensi dell’art. 358 cod. proc. civ..

Con il terzo motivo, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione, assume che gli immobili gestiti dagli IACP non sarebbero assoggettabili all’imposta comunale sugli immobili, in quanto costruiti in virtù di diritto di superficie su terreni di proprietà di un soggetto, il Comune, esente da tale tributo.

Con il quarto motivo, denunciando violazione di legge, si duole della ritenuta non ricomprensione degli IACP tra i soggetti esenti dall’imposta ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i),.

Con il quinto motivo, denunciando violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 16, nonchè vizio di motivazione, lamenta l’illegittimità dell’irrogazione delle sanzioni da parte del Comune di Agrigento “per carenza dei criteri seguiti e degli elementi previsti, a pena di nullità, dalla disposizione in rubrica”.

I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente in. quanto strettamente connessi, sono infondati nei termini di cui si dirà.

Il primo appello, infatti, cui fu attribuito il più antico numero di iscrizione a ruolo, è inesistente, alla luce del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 53, 20 e 22. Esso, infatti, non solo non fu notificato al Comune, ma fu depositato presso la Commissione tributaria provinciale, e cioè presso un giudice diverso da quello d’appello, la Commissione tributaria regionale, come prescritto dall’art. 53, e quindi non è configurabile, neppure astrattamente, cerne costituzione dell’appellante.

Quanto al secondo atto di appello, recante il più alto numero di iscrizione a ruolo, esso è stato validamente proposto. Risulta infatti notificato a mezzo del servizio postale, ancorchè in copia, e risulta depositato presso la segreteria della Commissione tributaria adita, ancorchè in originale, con la ricevuta di spedizione e l’avviso di ricevimento; e la copia notificata, come in calce attestato dal difensore, è conforme all’originale “da depositare”, e poi in effetti depositato.

Questa Corte ha infatti affermato che nel processo tributario, “in caso di notificazione dell’atto d’impugnazione di una decisione della commissione provinciale a mezzo posta o tramite consegna presso l’Ufficio, l’utilizzazione di copia dell’atto per la notifica ed il deposito dell’originale nella segreteria della commissione tributaria, pur invertendo lo schema procedimentale delineato dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 22, comma 1, richiamato dall’art. 53, comma 2, non da luogo ad una nullità insanabile, ma ad una mera irregolarità; essa, pertanto, non comporta l’inammissibilità dell’impugnazione, non potendosi far discendere tale sanzione dalla mancanza, nella copia notificata dell’atto, della sottoscrizione dell’autore, la quale dev’essere ritenuta presente “per relationem”, attraverso il rinvio implicito all’originale depositato presso la segreteria della commissione, e ben potendo eventuali contestazioni essere risolte dal giudice tributario mediante l’ordine di esibizione dell’originale del ricorso, ai sensi dell’art. 22, comma 5″ (Cass. n. 6391 del 2006, n. 12185 del 2008).

Il terzo ed il quarto motivo, anch’essi da esaminarsi congiuntamente, sono del pari infondati.

Questa Corte ha infatti chiarito come “con riguardo a terreno comunale concesso in superficie per la costruzione di alloggi economici e popolari in favore di un Istituto Autonomo Case Popolari, l’edificazione del fabbricato rende applicabile l’ICI a carico di detto ente (e successivamente degli assegnatari), in veste di proprietari del manufatto che insiste sul suolo (o di parti di esso) . Questo principio si sottrae ai dubbi di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., in quanto il carattere temporaneo dell’acquisizione in proprietà di detti alloggi, fino al momento della traslazione del diritto dominicale in favore dei singoli compratori, non interferisce sui presupposti impositivi, nè crea ingiustificate disparità di trattamento, trattandosi di prelievo tributario che è correlato all’obiettiva esistenza del fabbricato, non al profitto ricavabile con il suo godimento o con la sua cessione e che, inoltre, gravando sul proprietario, segue l’eventuale temporaneità del suo diritto, automaticamente trasferendosi, in caso di alienazione, sull’acquirente” (Cass. n. 4434 e n. 3734 del 2010).

La Corte ha inoltre affermato che non spetta agli immobili degli IACP l’esenzione dall’ICI “prevista dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), che esige la duplice condizione – insussistente per questa categoria di beni – dell’utilizzazione diretta degli immobili da parte dell’ente possessore e dell’esclusiva loro destinazione ad attività peculiari che non siano produttive di reddito. Gli immobili medesimi possono, invece, beneficiare della riduzione di imposta, prevista dall’art. 8, comma 4, del medesimo decreto. Per effetto, poi, della disposizione di cui al D.L. n. 93 del 2008, art. 1, comma 3, convertito con modificazioni nella L. n. 126 del 2008, gli immobili degli enti citati, per i tributi maturati a partire dal 1^ gennaio 2008, potranno godere della totale esenzione dall’imposta comunale in esame. (Cass., sezioni unite, 26 novembre 2008, n. 28160).

Quanto all’ultimo motivo del ricorso, attinente alle sanzioni, la censura concernente la violazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 16 è rivolta non alla sentenza impugnata, ma all’atto impositivo; essa, poi, non risulta formulata nell’atto introduttivo, ma (nella memoria illustrativa, in primo grado e quindi) per la prima volta in appello; quanto, poi, al profilo riguardante il vizio di motivazione, posto che il giudice d’appello ha ritenuto congrue le sanzioni irrogate, la censura è generica, perchè non indica i diversi valori cui avrebbe dovuto pervenirsi, e le relative ragioni.

In conclusione, il ricorso va rigettato.

Si ravvisano giusti motivi per dichiarare compensate le spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e dichiara compensate le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 4 marzo e il 20 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2010

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