Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15444 del 26/07/2016


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Cassazione civile sez. lav., 26/07/2016, (ud. 04/05/2016, dep. 26/07/2016), n.15444

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3643/2011 proposto da:

M.S., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GIOVANNI PIERLUIGI DA PALESTRINA 63, presso lo studio dell’avvocato

MARIA CRISTINA MANNI, che la rappresenta e difende, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

Azienda USL ROMA (OMISSIS), C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GERMANICO 146, presso lo studio dell’avvocato ERNESTO MOCCI, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2520/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/07/2010, R.G. N. 9066/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/05/2016 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito l’Avvocato DOMENICO TOMASSETTI per delta MARIA CRISTINA MANNI;

udito l’Avvocato ERNESTO MOCCI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 2520 del 2010, rigettava l’impugnazione proposta da M.S. nei confronti della Azienda/USL Roma (OMISSIS), avverso la sentenza del Tribunale di Roma del 6 giugno 2007, n. 17491, con la quale il Tribunale aveva accolto l’opposizione della suddetta Azienda ed aveva revocato il decreto ingiuntivo emesso in favore della stessa M., avente ad oggetto la somma relativa all’indennità di coordinamento di cui all’art. 10 del CCNL 1998-2001.

Il Tribunale aveva ritenuto legittimo l’annullamento della Delib. di attribuzione della indennità in questione, effettuato dall’Azienda, e quindi infondata la pretesa di pagamento, avanzata dalla lavoratrice.

2. La Corte d’Appello confermava la decisione del Tribunale, ritenendo che la lettera dell’art. 10 del CCNL evidenziava che l’emolumento era lasciato alla valutazione dell’Amministrazione, quanto ai dipendenti della Categoria C. La originaria scelta aziendale, espressa con la Delib. n. 847 del 2005, era dunque ascrivibile in una unilaterale espressione di volontà, radicata nella disciplina contrattuale, ed ancor più nel più generale potere di organizzazione espresso del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 5.

3. Il giudice di secondo grado ha affermato che occorreva valutare se dalla Delib. attributiva di una voce retributiva, poi sospesa e annullata perchè ritenuta violativa di interessi pubblici e contraria ai principi di buon andamento dell’amministrazione, potesse essere derivato un diritto soggettivo in capo alla dipendente tale da meritare la tutela invocata davanti al giudice ordinario. Sul punto il giudice di secondo grado ha ritenuto che ci si trovava di fronte non ad una posizione soggettiva già determinata e prevista, ma ad una mera possibilità rimessa alla scelta dell’Amministrazione.

Ha statuito il giudice di appello che la stessa Amministrazione, accertata l’illegittimità del proprio operato, proprio perchè deve perseguire un interesse pubblico, ha il potere di ritornare sulle proprie scelte revocando e annullando i propri atti.

Di alcun rilievo erano poi le osservazioni sulla natura transattiva della Delib. in questione e comunque della decisione di attribuire l’indennità quale risultante da un accordo tra i dipendenti.

4. Per la cassazione della suddetta sentenza di appello ricorre la lavoratrice prospettando due motivi di ricorso.

5. Resiste la AUSL con controricorso.

6. Entrambe le parti hanno depositato memoria in prossimità dell’udienza pubblica.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente dipendente della Azienda USL Roma (OMISSIS), appartenente alla ex categoria C, agiva in giudizio per la condanna della datrice di lavoro al pagamento delle somme che assumeva esserle dovute dal 31 agosto 2001, a titolo di indennità di coordinamento ai sensi dell’art. 10 del CCNL 1998/2001, in base alla Delib. n. 847 del 2005, a firma del direttore generale della ASL. Tale Delib., come dedotto in ricorso, era stata sospesa con la Delib. n. 329 del 2006, sul presupposto della pendenza di un accertamento da parte della Corte dei Conti, previa indagine della Guardia di finanza, sulla regolarità dell’attribuzione dell’indennità di coordinamento.

Nelle more del giudizio l’Amministrazione adottava la Delib. n. 1345 del 2006, con la quale, in esito alla relazione resa da una Commissione di esperti esterni, disponeva il ritiro della Delib. n. 847 del 2005.

2. Oggetto della controversia è, dunque, la domanda di accertamento del diritto a percepire l’indennità di coordinamento di cui all’art. 10 del CCNL compatto sanità, il biennio economico 2000-2001, rubricato “Coordinamento”, con conseguente condanna dell’Amministrazione al pagamento delle relative somme.

La ricorrente assume che l’Amministrazione, nell’ambito di un rapporto di lavoro di diritto privato contrattualizzato, in quanto priva di poteri autoritativi, non potendo agire in autotutela, non poteva ritirare l’atto con cui aveva attribuito l’indennità, indipendentemente dalle ragioni di tale ritiro, non potendo trovare applicazione la L. n. 241 del 1990.

Censura, quindi, la statuizione con la quale la Corte d’Appello ha affermato che dalla Delib. in esame, poichè in violazione di interessi pubblici e contraria ai principi di buon andamento dell’amministrazione, non poteva ritenersi scaturito un diritto soggettivo pieno a percepire la suddetta indennità; l’Amministrazione, pertanto, aveva il potere di ritornare sulle proprie scelte, revocando o annullando i propri atti, laddove la scelta discrezionale della stessa era lesiva dell’interesse pubblico e quindi dei criteri della buona amministrazione.

2.1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto di cui del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 5, nonchè delle norme di cui della L. n. 241 del 1990, artt. 21-octies, 21-nonies, 21-sexies, in combinato disposto con gli artt. 1324 e 1334 c.c.. Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per illogicità, contraddittorietà ed omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Assume la ricorrente la natura di atto paritetico della Delib. n. 847 del 2005, che dunque, in quanto tale, non poteva costituire oggetto di provvedimenti adottati in sede di autotutela ai sensi della L. n. 241 del 1990.

2.2. Con il secondo motivo di ricorso la sentenza è censurata in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto di cui del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 5 e della L. n. 241 del 1990, art. 1, comma 1-bis. Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per illogicità, contraddittorietà ed omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Erroneamente, la Corte d’Appello riteneva che non vi fosse in capo alla ricorrente un diritto soggettivo pieno, allorchè l’Amministrazione, come nel caso di specie, si fosse determinata ad attribuire l’indennità in questione, con un atto di natura privatistica.

3. I suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi non sono fondati.

4. In via preliminare, questa Corte ricorda che, con le sentenze n. 23060 e n. 22788 del 2013, ha deciso controversie analoghe a quella in esame quanto alle vicende che davano luogo al giudizio.

Con le citate sentenze, che rigettavano il ricorso dell’Azienda USL (rilevando, tra l’altro che non veniva eccepita la ricorrenza di cause di nullità o annullabilità della Delib., ma ci si limitava ad affermare la legittimità dell’agire in via di autotutela), si è statuito che gli atti compiuti dall’Amministrazione datrice di lavoro nella gestione del rapporto seguono gli stessi parametri utilizzati dai datori di lavoro privati, onde rimane escluso lo svolgimento di procedimenti o l’emanazione di atti assoggettati alle forme del diritto amministrativo anche a fini di autotutela. Ciò non toglie che la stessa Amministrazione, nell’esercizio di un potere privato e attraverso atti di natura negoziale, cioè adottati con i poteri e le capacità del datore di lavoro privato, non possa correggere errori di legittimità in cui sia incorsa. La Delib. 21 luglio 2005, n. 847, con la quale veniva attribuita l’indennità economica in questione, costituiva atto di gestione del rapporto di natura privatistica. E, dunque, in quanto tale, la stessa non era sindacabile per contrasto col pubblico interesse, come i provvedimenti amministrativi, ma nei limiti consentiti dal programma negoziale e dalle relative fonti – legali e contrattuali – di riferimento e, quindi, non alla stregua dei tradizionali vizi dell’atto amministrativo, ma secondo quelli propri della patologia dei negozi giuridici, derivanti dalla violazione della disciplina legale o contrattuale che presiede all’attività paritetica della pubblica amministrazione.

5. Tali principi devono essere confermati, ma occorre precisarne il portato precettivo, tenuto conto dell’odierno thema decidendum, che in ragione delle statuizioni della sentenza di appello e dei motivi di ricorso, investe anche le conseguenze della inosservanza delle disposizioni della contrattazione collettiva che rimettono alla Pubblica amministrazione, attraverso l’adozione di atti di diritto privato, l’attribuzione di determinati trattamenti economici, stabilendo i criteri di esercizio di detta facoltà.

6. E’ opportuno, in via preliminare, procedere ad una ricognizione della disciplina convenzionale di riferimento.

Il contratto collettivo nazionale di lavoro, comparto sanità, il biennio economico 2000-2001, per favorire il processo di riordino e riorganizzazione delle professioni sanitarie prevedeva – ravvisando che l’insieme dei requisiti richiesti al personale appartenente alla categoria C del ruolo sanitario nonchè al profilo di operatore professionale assistente sociale del ruolo tecnico, per contenuti di competenze, conoscenze e capacità necessarie per l’espletamento delle relative attività lavorative, corrisponde a quello della categoria D dei rispettivi profili – la ricollocazione del personale della categoria C nella categoria D. Al personale già appartenente alla categoria D e svolgente funzioni effettive di coordinamento veniva attribuita una specifica indennità (cfr. artt. 9 e 10).

Ai sensi dell’art. 10, comma 7 del citato CCNL, in sede di prima applicazione del contratto, al fine di evitare duplicazione di benefici, l’incarico di coordinamento era affidato di norma al personale già appartenente alla categoria D alla data del contratto stesso. Era poi rimessa alla valutazione aziendale, in base alla propria situazione organizzativa, la possibilità di attribuire l’indennità di coordinamento di cui l’art. 10, comma 1, anche al personale proveniente dalla categoria C, al quale fosse riconosciuto l’espletamento di funzioni di effettivo coordinamento ai sensi dell’art. 8 commi 4 e 5.

Ai sensi dell’art. 10, comma 8, i criteri di valutazione del personale interessato dovevano essere definiti previa concertazione con i soggetti sindacali di cui all’art. 9, comma 2, del CCNL 7 aprile 1999.

7. Dunque, il tenore delle disposizioni contrattuali richiamate evidenzia il fondamento contrattuale della possibilità di attribuire tale indennità al personale proveniente dalla categoria C, all’esito di una valutazione che doveva tenere conto della propria situazione organizzativa; era, altresì, prevista la previa concertazione sui criteri di valutazione da applicare.

Ciò, in linea con quanto previsto del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 3, che stabilisce, tra l’altro, che l’attribuzione da parte delle Pubbliche amministrazioni di trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi (…) o, alle condizioni previste, mediante contratti individuali. Quest’ultimi, comunque, sono regolati contrattualmente.

Il comma 3-bis del medesimo art. 2, sancisce che nel caso di nullità delle disposizioni contrattuali per violazione di norme imperative o dei limiti fissati alla contrattazione collettiva, si applicano l’art. 1339 c.c. e art. 1419 c.c., comma 2.

8. Osserva il Collegio che la Pubblica amministrazione, nell’ambito dei rapporti di lavoro pubblico contrattualizzato, non può agire con gli istituti dell’autotutela, non potendo trovare applicazione, peraltro in mancanza di provvedimenti autoritativi, la L. n. 241 del 1990.

Tuttavia, l’adozione da parte della Pubblica amministrazione, nella gestione del rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato, di un atto negoziale di diritto privato, con il quale venga attribuito al lavoratore un determinato trattamento economico (nella specie indennità di coordinamento, che ha fondamento contrattuale), non è sufficiente, di per sè, a costituire una posizione giuridica soggettiva in capo al lavoratore medesimo, che osti al ritiro dell’atto. Ed infatti, poichè la misura economica trova fondamento nella contrattazione collettiva, la stessa si stabilizza in capo al lavoratore in ragione della conformità a quest’ultima, diversamente incorrendo la clausola negoziale nel vizio di nullità per contrarietà a norme imperative (cfr., Cass., S.U., n. 21744 del 2009), cui l’Amministrazione può porre rimedio mediante il ritiro dell’atto, in ragione del principio di buon andamento dell’amministrazione.

9. Pertanto, la natura privatistica della Delib. in questione, non esclude, come assume la ricorrente, che l’Amministrazione, avendo esercitato la facoltà attribuitagli dalla contrattazione collettiva al di fuori delle condizioni da quest’ultima previste, intervenga sulla precedente deliberazione, ritirandola.

Tale agire risponde a quanto previsto anche del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 5, comma 1, secondo il quale “Le amministrazioni pubbliche assumono ogni determinazione organizzativa al fine di assicurare l’attuazione dei principi di cui all’art. 2, comma 1 e la rispondenza al pubblico interesse dell’azione amministrativa”, atteso che la Pubblica amministrazione “conserva pur sempre – anche in presenza di un rapporto di lavoro ormai contrattualizzato – una connotazione peculiare”, essendo tenuta “al rispetto dei principi costituzionali di legalità, imparzialità e buon andamento cui è estranea ogni logica speculativa” (Corte cost., sentenze n. 146 del 2008, n. 82 del 2003).

10. In applicazione dei suddetti principi, correttamente la Corte d’Appello ha rinvenuto il fondamento normativo della Delib. n. 847, nella previsione dell’art. 10 del CCNL, comparto sanità secondo biennio economico 2000-2001, che condizionava l’erogazione dell’indennità ai dipendenti inquadrati in C, sempre che avessero svolto funzioni di “effettivo coordinamento”, alla valutazione aziendale che doveva considerare la propria situazione organizzativa, e ha ritenuto legittima la determinazione dell’Amministrazione che ravvisando l’esercizio della facoltà di cui all’art. 10 del CCNL citato, al di fuori delle condizioni dallo stesso stabilite, ritirava la suddetta Delib..

11. Il ricorso deve essere rigettato.

12. Le spese del presente giudizio sono compensare tra le parti.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Compensa tra le parti le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2016

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