Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15443 del 30/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 30/06/2010, (ud. 18/02/2010, dep. 30/06/2010), n.15443

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. SOTGIU Simonetta – Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MERCERIE ELDA DI ALIBONI ELDA & C. S.N.C., in

persona

dell’amministratore pro tempore elettivamente domiciliata in Roma,

Via Bertoloni, n. 1/E, nello studio dell’avv. MORACCI Carlo, che la

rappresenta e difende, anche disgiuntamente, con l’Avv. Francesco

Guidagli, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze e Agenzia delle Entrate, in

persona del Direttore pro tempore rappresentati e difesi

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma,

via dei Portoghesi, n. 12, sono domiciliati;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Toscana, n. 55/27/02, depositata in data 19 settembre 2002;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienze del dal

consigliere Dott. Pietro Campanile;

Sentito per la ricorrente l’Avv. Carlo Moracci, il quale ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

Sentito l’Avv. Gen. Dello Stato, De Stefano, il quale ha chiesto il

rigetto del ricorso;

Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto

Dott. Ennio Attilio Sepe, il quale ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

 

Fatto

1.1 La Commissione tributaria provinciale di Massa Carrara, con sentenza n. 442 del 1998, accoglieva il ricorso proposto dalla S.n.c. Mercerie Elda di Aliboni Elda avverso l’avviso di accertamento, relativo ad IVA dell’anno 1992, sotto il profilo della definizione del contesto all’esito di adesione della contribuente al c.d.

“concordato di massa”, non essendo consentita la revoca della proposta, da parte dell’Ufficio, dopo l’accettazione della medesima, in quanto la verifica in merito alla sussistenza o meno dei relativi presupposti avrebbe dovuto essere effettuata preventivamente.

1.2 Avverso tale decisione proponeva appello l’Ufficio, deducendo che, non avendo la parte presentato la dichiarazione dei redditi, la proposta di concordato non poteva considerarsi validamente effettuata.

1.3 – La Commissione tributaria regionale della Toscana, con la decisione meglio indicata in epigrafe, accoglieva il ricorso in appello, affermando che non vi era stata una revoca della proposta di concordato, come erroneamente ritenuto dai primi giudici, bensì un’istanza di adesione al concordato avanzata dalla contribuente in data 30 dicembre 1995, cioè in data successiva al p.v.c. (dell’ottobre del 1995), tale da rendere nulla la proposta stessa e da giustificare, in presenza di gravi irregolarità (come l’omessa tenuta del libro giornale e del libro degli inventali), il ricorso all’accertamento induttivo, di cui si affermava la legittimità, con condanna della contribuente al pagamento delle spese relative a entrambi i gradi del giudizio.

1.4 Ha proposto ricorso per cassazione la società Mercerie Elda, affidato a sette motivi ed illustrato con memoria.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate costituitisi, hanno eccepito l’inammissibilità e, in parte, l’infondatezza dei motivi di ricorso.

Diritto

2.1 – Con il primo motivo la società ricorrente deduce omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto, essendosi rilevata la nullità della proposta avanzata dalla stessa contribuente, si sarebbe omesso di valutare il documento, acquisito agli atti, comprovante la provenienza della proposta di accertamento con adesione, cui le Mercerie Elda avevano aderito, dall’Ufficio Iva di Massa Carrara. Tale omesso esame avrebbe assunto decisiva rilevanza, essendo la motivazione della sentenza impugnata imperniata sulla presentazione della proposta – del tutto invalida e quindi da considerarsi tamquam non esset – da parte della sola società.

Il motivo è inammissibile, essendo del tutto evidente che la ricorrente denuncia esclusivamente un travisamento dei fatti, per aver la sentenza impugnata attribuito alla ricorrente la provenienza della proposta di concordato di massa.

Tale censura, pur formulata con riferimento a un vizio motivazionale, appare caudataria dell’attribuzione al giudice di secondo grado di una premessa di natura fattuale che, nella misura in cui si risolve in un palese errore di percezione, concreta un vizio di natura revocatoria.

Ben vero, secondo un consolidato orientamento di questa Corte, che il collegio condivide e intende in questa sede confermare, l’errore revocatorio, previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, è quello dovuto alla falsa percezione di una circostanza decisiva in contrasto con quanto manifestamente emergente dagli atti, ossia l’errore che, consistendo in una mera svista materiale, abbia indotto il giudice ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto che i documenti e gli atti di causa escludevano, ovvero l’inesistenza di un fatto che, da tali atti e documenti, risultava invece positivamente affermato (Cass. S.U. 1997/5303; Cass. 1999/1232; 1999/12983; 2000/2057;

2004/9198; 2006/3190; 2006/7127; 2006/9396).

Vale bene precisare, inoltre, che l’errore di fatto non deve cadere su di un punto controverso, sul quale il giudice si sia pronunciato, e deve avere il carattere d:i assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza la necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche (Cass. 1999/6388;

1999/9120; 2002/15522; 2004//23592; 2006/7812; 2007/2713), con la conseguenza che l’errore di fatto, quale errore meramente percettivo (Cass. 2008/5075), non può concernere l’attività valutativa, da parte del giudice, di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività (Cass. 94/9979; 2000/314; 2005/6198;

2006/14766) e quindi l’erroneo apprezzamento dì risultanze processuali (Cass. 2000/14840; 2003/15466; 2006/10807), o il vizio di ragionamento sui fatti assunti, ricorrendo in tali ipotesi errore di giudizio (Cass. 2008/5075), qualora i fatti segnalati abbiano formato oggetto di esatta rappresentazione e poi di discussa valutazione (Cass. 1998/4859; 1999/4145; 1999/4196; 2006/2478).

La ratio decidendi della decisione impugnata si. fonda, come rilevato, sulla provenienza della proposta di concordato, come tale irrilevante, dalla società Mercerie Elda. A tale conclusione si perviene evidentemente escludendosi – contrariamente al vero, secondo la ricorrente – che la proposta sarebbe stata formulata dall’Ufficio IVA, come si dovrebbe desumere da un documento del tutto obliterato da parte della Commissione tributaria regionale.

Appare quindi evidente il carattere decisivo dell’errore di percezione consistente nell’affermazione di una circostanza palesemente smentita da una specifica risultanza processuale, tale da costituire vizio revocatorio, secondo un costante orientamento di questa Corte, che ha sempre ribadito che il travisamento, risolvendosi nell’inesatta percezione da parte del giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, costituisce un errore denunciatone con il mezzo della revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4 (Cass., 18 luglio 2008, n. 19924).

2.2 – L’inammissibilità del primo motivo comporta il superamento delle questioni dedotte con il secondo, il terzo ed il quarto, tutti fondati sulla circostanza, opposta a quella affermata in sentenza, e non impugnata per revocazione, della provenienza della proposta da parte dell’Ufficio.

2.3 – Il quinto motivo, con cui si deduce l’erroneità del riferimento alla data ostativa alla proposizione della proposta di concordato, non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, fondata, vale bene ripeterlo, non sul periodo di presentazione di tale proposta, ma sul soggetto che l’aveva formulata. Tale aspetto, per altro, assume rilevanza decisiva, in considerazione dell’orientamento di questa Corte (ribadito anche da Cass., 15 gennaio 2007, n. 767), secondo cui per aversi accertamento con adesione, la proposta deve pervenire dall’Ufficio.

2.4 Con il sesto motivo si deduce violazione dell’art. 2215 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendosi che, a seguito della modifica di tale norma per effetto della L. n. 383 del 2001, art. 8, che ha soppresso l’obbligo di bollatura e vidimazione, la violazione in materia di omessa o irregolare bollatura del registro degli acquisti IVA non avrebbe potuto essere posta alla base, in quanto grave irregolarità, dell’accertamento induttivo.

Il motivo è infondato, contrastando la tesi che lo supporta con l’orientamento di questa Corte, secondo cui l’abrogazione dell’obbligo di previa vidimazione del libro giornale, disposta dalla L. n. 383 del 2001, art. 8, entrata in vigore il 25 ottobre 2001, non ha effetto retroattivo, sicchè la violazione commessa prima di tale data conserva rilievo fiscale, legittimando l’erario a procedere all’accertamento sintetico del reddito risultante da libri contabili non vidimati o vidimati posteriormente alle annotazioni (Cass., 11 novembre 2009, n. 23847; sulla valenza di tale irregolarità come presupposto per l’accertamento induttivo, v. Cass., 15 giugno 2007, 14018).

2.5 – Con il settimo motivo di ricorso si denunzia, infine, omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in merito all’illegittimità dell’applicazione di una percentuale di ricarico pari al 54 per cento. Il motivo non può essere condiviso, dovendo trovare applicazione il principio secondo cui nell’accertamento tributario (con particolare riferimento alla rettifica della dichiarazione IVA) fondato sulle percentuali di ricarico della merce venduta, la scelta tra il criterio della media aritmetica semplice e della media ponderale dipende, rispettivamente, dalla natura omogenea o disomogenea degli articoli e dei ricarichi – circostanze la cui valutazione costituisce apprezzamento di merito, incensurabile in sede di legittimità sotto il profilo della violazione di legge – assumendo il criterio della media aritmetica semplice valenza indiziaria, al fine di ricostruire i margini di guadagno realizzato sulle vendite effettuate “a nero”, quando il contribuente non provi, ovvero non risulti in punto dì fatto, che l’attività sottoposta ad accertamento ha ad oggetto prodotti con notevole differenza di valore e che quelli maggiormente venduti presentano una percentuale di ricarico molto inferiore a quella risultante dal ricarico medio. In mancanza di tali presupposti, è legittima la presunzione che la percentuale di ricarico applicata sulla merce venduta in evasione di imposta è uguale a quella applicata sulla merce commercializzata ufficialmente, a meno che il contribuente non provi di aver venduto a prezzi inferiori le merci non documentate (Cass. 16 dicembre 2009, n. 26312; Cass. 19 giugno 2009, n. 14328).

3 – Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio, che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile – Tributaria, il 18 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2010

 

 

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