Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15438 del 26/07/2016
Cassazione civile sez. lav., 26/07/2016, (ud. 14/04/2016, dep. 26/07/2016), n.15438
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –
Dott. BRONZINI Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 8897-2014 proposto da:
S.M., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA PIETRO DE CRISTOFARO 40, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO
DI VINCENZO, rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI
BARANELLO, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
EQUITALIA SUD, (già Equitalia Polis Spa) C.F. (OMISSIS), in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che
la rappresenta e difende unitamente all’avvocato) MARCO RIGI
LUPERTI, giusta delega in atti;
– controricorrente –
e contro
ESATTORIE S.P.A.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 302/2013 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,
depositata il 27/12/2013 R.G.N. 137/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
14/04/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE BRONZINI;
udito l’Avvocato BARANELLO GIOVANNI;
udito l’Avvocato RIGI LUPERTI MARCO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Isernia con sentenza del 4.6.2010 accoglieva il ricorso di S.M. che deduceva la nullità della cessione di ramo di azienda relativo alla “fiscalità locale” da parte della società SRT alla soc. Esattorie per l’inesistenza del detto ramo ceduto e comunque per non avervi il lavoratore mai operato. Ricorreva la società Equitalia sud spa e la Corte di appello di Campobasso con sentenza del 27.12.2013 accoglieva l’appello e pertanto rigettava la domanda. La Corte territoriale osservava che non era applicabile alla fattispecie l’art. 2112 c.c. ma il D.L. n. 203 del 2005, art. 3 che stabiliva che le aziende concessionarie potevano trasferire ad altre società il ramo d’azienda relativo alle attività svolte in regime di concessione per conto degli altri enti locali e che non prevedeva il requisito della preesistenza del ramo, che comunque nella specie sussisteva; “nella visura storica di SRT si parlava di “scissioni” e la nuova società era stata costituita essendo iscritta l’8.6.2006. Non era peraltro detto, aggiungeva la Corte, che il segmento di lavoro iniziale non potesse proseguire anche nella società cessionaria nella peculiare procedura della riscossione del tributi.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si allega la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4: l’appello doveva essere dichiarato Inammissibile. L’appello concerneva solo l’omesso esame del D.L. n. 203 del 2005, art. 3 in relazione all’art. 2112 c.c.; si era quindi formato il giudicato in ordine alla mancata adibizione del S. ai servizi riguardanti la fiscalità locale.
Il motivo appare Inammissibile in quanto non riporta i termini dell’appello che si assume inammissibile; inoltre, una volta ritenuto che non fosse applicabile l’art. 2112 c.c., in ordine al requisito della cosidetta preesistenza del ramo ceduto, evidentemente era stato travolto anche il capo della sentenza di primo grado circa la mancata adibizione del lavoratore al ramo ceduto, in quanto era stata (logicamente) ammessa la possibilità che l’adibizione fosse stata disposta in occasione dell’atto di cessione.
Con il secondo motivo si allega l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Non era stato valutato “il fatto” accertato in primo grado della mancata adibizione del ricorrente al ramo ipoteticamente ceduto.
Con il terzo motivo si allega la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4 per motivazione inesistente e/o illogica e/o insufficiente e/o contraddittoria e violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c.. Non erano state adeguatamente vagliate le circostanze relative alla contestata cessione di ramo d’azienda, l’attività svolta dal ricorrente prima della cessione e quella della stessa società cedente.
Con il quarto motivo si allega la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2112 c.c., artt. 112 e 115 c.p.c., della direttiva n. 23/2001 e del D.L. n. 203 del 2005, art. 3, comma 24 nonchè dell’art. 1406 c.c. e art. 2697 c.c.. Non esisteva alcuna articolazione funzionalmente autonoma nell’ambito della società cedente relativa alla “finanza locale” e comunque il S. non era mai stato adibito ad una attività del genere. Inoltre la normativa del 2005 non intendeva derogare ai principi di cui all’art. 2112 c.c. che, anche nella nuova formulazione del 2003, presupponeva la preesistenza del ramo ceduto ai fini di un trasferimento del contratto senza il consenso del lavoratore al cessionario, anche alla luce del diritto sovranazionale, come già affermato dalla giurisprudenza di legittimità.
I motivi vanno esaminati congiuntamente venendo sulla configurabilità dell’operazione di cessione di cui è causa come cessione di ramo d’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c. che la sentenza impugnata, come detto, ha ritenuto non applicabile al caso in esame e che ha comunque ritenuto essere stato rispettato.
L’esame del quarto motivo appare pregiudiziale ed appare fondato. La molto sintetica sentenza impugnata (che peraltro non offre neppure un adeguato svolgimento del fatto) ritiene che la norma di riferimento non sia l’art. 2112 c.c. ma il D.L. n. 203 del 2005, art. 3, comma 24 che non contemplerebbe il requisito della preesistenza del ramo trasferito nell’autorizzare le aziende concessionarie a trasferire ad altre società il ramo d’azienda relativo alle attività svolte in regime in concessione per conto degli enti locali prima della cessione del proprio capitale sociale alla Riscossione spa. Si tratterebbe di una norma speciale prevalente sulla disposizione codicistica. Non può condividersi la tesi accolta dalla sentenza impugnata: la norma in questione parla in realtà proprio di un trasferimento di un “ramo d’azienda” e pertanto richiama la nozione codicistica di cui all’art. 2112 c.c. come regolata a livello sovranazionale e dalla disciplina interna di ricezione. Pertanto certamente la Corte di appello non poteva inferire dalla mancanza della norma pretesamente di carattere speciale anche sul punto), di cui all’art. 3, comma 24 prima citato di qualsiasi riferimento alla preesistenza del ramo ceduto l’esclusione di tale presupposto visto che, come detto, è lo stesso art. 3, comma 24 che richiama il concetto (e quindi anche le sue caratteristiche legali) di “ramo d’azienda” e quindi quanto disposto all’art. 2112 c.c.. Ora, in relazione all’art. 2112 c.c. anche nella nuova formulazione del 2003, questa Corte ha già precisato (cfr. da ultimo Cass. n. 19141/2015 che esamina anche la sentenza Amatori della Corte di giustizia del 6 marzo 2014 C-458/12; cfr. anche Cass. n. 17901/2014, Cass. n. 8757/2014) che il requisito della preesistenza del “ramo” (nel senso di una entità produttiva funzionalmente autonoma) all’atto di cessione continua ad essere un presupposto per la legittimità della traslazione del contratto in capo al cessionario senza il consenso del lavoratore. Pertanto la sentenza impugnata è certamente errata nell’ aver considerato irrilevante l’elemento della “preesistenza” che dovrà essere verificato dal Giudice di rinvio alla luce della già citata giurisprudenza di questa Corte.
Appaiono fondati anche il secondo e terzo motivo posta la laconicità ed anche l’equivocità ai fini dell’accertamento dell’effettiva natura di “ramo d’azienda” condotta dalla Corte territoriale, anche alla luce del requisito della “preesistenza” prima ricordato, della motivazione della sentenza impugnata. Le tre righe, sul punto, di difficile comprensione stante l’assenza di una ricostruzione organica dei fatti di causa, nelle quali la Corte allude a “scissioni” emergenti nella visura storica della SRT ed alla costituzione di una nuova società locale nel 2006 non possono costituire un accertamento idoneo sul punto, essendo la motivazione del tutto criptica e non correlata chiaramente agli atti di causa ed alle difese delle parti. Si rea, come già detto, di un accertamento sommario che non esamina i tratti essenziali della vicenda e, quindi, di una motivazione apparente, al di sotto del “minimo costituzionale” Individuato dalle Sezioni unite di questa Corte nella sentenza n. 8053/2014.
Pertanto va accolto il ricorso (nei sensi di cui in motivazione), va conseguentemente cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di L’Aquila, anche in ordine alle spese, in diversa composizione.
PQM
La Corte:
accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di L’Aquila i anche in ordine alle spese in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 aprile 2016.
Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2016