Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15427 del 03/06/2021

Cassazione civile sez. VI, 03/06/2021, (ud. 26/01/2021, dep. 03/06/2021), n.15427

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23376-2019 proposto da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro

tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope

legis;

– ricorrente –

contro

C.A.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA B.

TORTOLINI, 30, presso lo studio del DOTT. PLACIDI ALFREDO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANNA MARIA NICO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 127/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 21/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIETTA

SCRIMA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Nel 2001 il Dott. C.A.F. convenne in giudizio, innanzi al Tribunale di Bari, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca Scientifica, il Ministero della Sanità, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Università degli Studi di (OMISSIS) per sentir accertare e dichiarare il suo diritto ad un adeguato riconoscimento economico per il periodo di formazione specialistica in radiodiagnostica e, conseguentemente, condannare le Amministrazioni convenute, in solido tra loro, al pagamento in suo favore della somma da determinarsi tramite consulenza tecnica d’ufficio, oltre agli accessori ed al rimborso delle spese processuali.

A fondamento della domanda, l’attore espose che: 1) aveva conseguito il diploma di specializzazione in Radiodiagnostica, di durata quadriennale, in anni precedenti al 1992 (avendo frequentato presso l’Università degli Studi di (OMISSIS) il relativo corso dal 1982 al 1986); 2) le Dir. CEA n. 362 del 1975 e Dir. CEA n. 363 del 1975, e Dir. CEA n. 82 del 1976, avevano introdotto il principio della adeguata remunerazione dell’attività di specializzazione a tempo pieno; 3) lo Stato italiano non aveva dato attuazione alla direttiva fino alla sentenza della Corte di Giustizia CEE del 7 luglio 1987, in forza della quale era stato emanato il D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, che aveva introdotto una remunerazione per gli specializzandi (borsa di studio annuale di Lire 21.500.000); 4) tale disposizione aveva effetto solo dall’anno accademico 1991/1992, lasciando privi di remunerazione tutti coloro che avevano frequentato i corsi negli anni precedenti; 5) la Corte di Giustizia CEE era intervenuta sul punto con le decisioni del 25 febbraio 1999 e 3 ottobre 2000, che avevano stabilito l’applicazione del principio anche agli anni precedenti.

Si costituirono in giudizio le Amministrazioni convenute, a mezzo dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di Bari, eccependo preliminarmente il difetto di giurisdizione del Giudice Ordinario in favore del Giudice Amministrativo; in subordine, la prescrizione quinquennale del diritto vantato dall’attore e, in ogni caso, la prescrizione decennale; nel merito eccepirono l’inapplicabilità alla fattispecie delle decisioni della Corte CEE, concludendo per il rigetto della domanda, con vittoria di spese e competenze di lite.

Con sentenza n. 1821/2005, depositata il 28 luglio 2005, l’adito Tribunale rigettò la domanda per intervenuta prescrizione quinquennale e compensò tra le parti le spese di causa.

Avverso detta sentenza il Dott. C. propose gravame, deducendo l’errata applicazione della prescrizione quinquennale ai sensi dell’art. 2948 c.c., n. 4 e art. 2947 c.c., e, in subordine, l’errata individuazione della decorrenza della prescrizione, da ancorarsi, a suo avviso al D.Lgs. n. 368 del 1999, e ribadendo la domanda originariamente formulata.

Le Amministrazioni appellate chiesero il rigetto dell’impugnazione e reiterarono, con appello incidentale, le eccezioni proposte in primo grado.

La Corte di appello di Bari, con sentenza n. 1106/2011, depositata il 12 dicembre 2011, in riforma della sentenza impugnata, dichiarò il difetto di legittimazione passiva dei Ministeri e dell’Università di Bari, rigettò nel resto l’appello incidentale e, in parziale accoglimento dell’appello principale – aderendo ai principi enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 9147/2009, con cui era stata affermata la responsabilità dello Stato italiano per la mancata attuazione delle direttive comunitarie – riconobbe il diritto del Dott. C. a percepire, per ciascun anno di specializzazione, la somma di Lire 21.500.000 (pari ad Euro 11.103,82), condannando conseguentemente la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento, in favore dell’appellante, di Euro 44.415,28, oltre alla rivalutazione monetaria dall’ottobre 2001 al soddisfo ed agli interessi legali sulle somme anno per anno rivalutate.

Avverso tale sentenza la Presidenza del Consiglio dei Ministri propose ricorso per cassazione contestando la ritenuta natura contrattuale e non extracontrattuale della responsabilità dello Stato per la mancata attuazione delle direttive comunitarie, la decorrenza della prescrizione dalla L. n. 370 del 1999, e la quantificazione del risarcimento nella misura di Euro 11.103,82 per ciascun anno, oltre che il riconoscimento della rivalutazione monetaria, oltre agli interessi legali.

Il C. si oppose all’accoglimento del ricorso.

Questa Corte, con sentenza n. 2788/14, depositata il 7 febbraio 2014, rigettò i primi due motivi di ricorso ed accolse il terzo motivo (relativo alle modalità di determinazione del quantum); per effetto, cassò la sentenza impugnata e rinviò la causa, anche per la liquidazione delle spese, alla Corte di appello di Bari in diversa composizione.

Il giudizio venne riassunto dal C..

In sede di rinvio si costituì la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che eccepì l’infondatezza nel merito della domanda attorea in ragione dell’epoca dell’immatricolazione (anteriore al 31 dicembre 1992) e, in subordine, la necessità di procedere alla liquidazione del dovuto ai sensi della L. n. 370 del 1999, e la non debenza della rivalutazione monetaria sulla remunerazione adeguata a rideterminarsi in ossequio a quanto stabilito da questa Corte; invocò, infine, la restituzione delle somme eccedenti ricevute dall’appellante in esecuzione della sentenza della Corte di Appello di Bari n. 1106/2011.

La Corte d’appello di Bari, pronunciando quale giudice di rinvio, condannò la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento, in favore di C.A.F., della somma di Euro 26.855,76, con gli interessi legali sugli importi anno per anno rivalutati dalla domanda al soddisfo, e regolò le spese tra le parti ancora in causa.

Avverso la sentenza della Corte di merito la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha proposto ricorso per cassazione basato su due motivi, cui ha resistito il C. con controricorso.

La proposta del relatore è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, rubricato “Violazione degli artt. 11732043 c.c., del Trattato istitutivo della Comunità Europea (Trattato di Roma), artt. 5 e 189, nella versione consolidata (GUCE n. C-325 del 24 dicembre 2002), della Dir. CEE n. 76 del 1982, artt. 14 e 16, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, la ricorrente, richiamata la giurisprudenza della Corte di Giustizia, secondo cui lo Stato italiano è inadempiente alle Direttive comunitarie in tema di medici specializzandi per non aver organizzato, a far tempo dal primo anno accademico (1982/83) dopo la scadenza del termine finale di adeguamento o conformazione e, quindi, dopo il 1 gennaio 1983, corsi di formazione che fossero, fin dall’inizio, nel loro complesso, conformi alle predette Direttive, sostiene che la Corte di appello sarebbe incorsa in errore, in quanto, in base alla stessa giurisprudenza di legittimità, avendo il C. iniziato la scuola di specializzazione nell’anno accademico 1982/83, come accertato dalla medesima Corte territoriale, la domanda del predetto potrebbe essere accolta solo per le rate della borsa di studio che sarebbero maturate dal 1 gennaio 1983.

1.1 Il motivo è inammissibile.

Ed invero, sull’epoca di inizio dei corsi di specializzazione da parte del C., questa Corte già con la sentenza n. 2788/2014 ha affermato che “L’ulteriore argomento sull’epoca di inizio dei corsi di specializzazione non può essere affrontato in questa sede, siccome sviluppato soltanto nella memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., dalla ricorrente; e tuttavia di quello dovrà tener conto il giudice del rinvio, ove la questione non sia da qualificare preclusa da giudicato interno implicito, applicando la giurisprudenza affermatasi sul punto” e ciò è stato ribadito, in quella stessa sentenza, al p. 8.

Orbene, al riguardo e alla luce di quanto sopra evidenziato, la ricorrente non ha dimostrato di aver sollevato ritualmente e tempestivamente la questione, sicchè deve ritenersi che ormai sul punto si sia formato il giudicato, sia pure implicito.

2. Con il secondo motivo, rubricato “Violazione degli artt. 2727,2729,2697 c.c., de(gli) art(t). 115,116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata debba essere riformata anche nella parte in cui la Corte di merito ha rigettato la domanda di condanna del C. alla restituzione delle somme percepite in esecuzione della sentenza di appello cassata con rinvio, ritenendo che non fosse stata fornita prova dell’effettivo versamento al creditore, per essere stati prodotti soltanto il D. di liquidazione 19 febbraio 2013, n. 9, e l’ordine di pagamento n. (OMISSIS) e non anche la copia del vaglia cambiario nel quale avrebbe dovuto essere commutato il predetto ordine da parte della Tesoreria Provinciale dello Stato.

Ad avviso della ricorrente, la documentazione sopra richiamata, che la Corte di merito ha dato atto essere stata ritualmente prodotta, costituisce, in base ad una presunzione di regolarità della procedura di ordinazione della spesa disciplinata dalla normativa di contabilità generale dello stato, indizio idoneo a dimostrare l’effettiva percezione della somma liquidata dall’Amministrazione in esecuzione della sentenza della Corte di appello cassata con rinvio. Inoltre, sempre secondo la ricorrente, la Corte di merito avrebbe dovuto applicar anche il principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., comma 1, e ritenere, in tal modo, fondata la domanda di condanna del C. alla restituzione delle somme percepite senza titolo, in esecuzione della sentenza cassata con rinvio.

2.1. Alla luce della documentazione prodotta dal controricorrente e relativa a fatti successivi alla pubblicazione della sentenza impugnata (ordine di bonifico per Euro 33.942,71, effettuato a favore della Presidenza del Consiglio dei Ministri presso Poste Italiane in data 18.2.2019), in relazione alla quale la ricorrente non ha sollevato alcuna contestazione, ritiene il Collegio che, con riferimento alle censure sollevate con il mezzo in scrutinio, sia ormai cessata la materia del contendere (Cass. 16/06/1978, n. 2989; Cass., ord., 16/03/2015, n. 5188; Cass. 3/05/2017, n. 10728; Cass., ord., 18/10/2018, n. 26299; Cass., ord., 23/0772019, n. 19845).

3. Conclusivamente, va dichiarato inammissibile il primo motivo e cessata la materia del contendere sulla questione di cui al secondo motivo del ricorso.

4. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

5. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo e cessata la materia del contendere sulla questione di cui al secondo motivo del ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento se dovuto, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 26 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2021

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