Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15426 del 20/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 20/07/2020, (ud. 05/06/2020, dep. 20/07/2020), n.15426

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3167-2019 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

DANIELA PACCOI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI FIRENZE SEZIONE DI

PERUGIA;

– intimato –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di PERUGIA, depositata il

02/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott. LOREDANA

NAZZICONE.

Fatto

RILEVATO

– che il ricorrente ricorre per cassazione, affidato a due motivi, avverso il decreto del Tribunale di Perugia del 2.1.2019, adito dopo il rigetto della domanda da parte della Commissione territoriale;

– che non deposita controricorso il Ministero intimato;

– che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

RITENUTO

– che i formulati motivi di ricorso prospettano, rispettivamente:

1) violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27, comma 1 bis, perchè sarebbe mancata la cooperazione istruttoria del tribunale, che non ha disposto nuova audizione del richiedente, ed essendo ancora in Gambia la corruzione e le condizioni di vita un problema serio;

2) violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 32, comma 3, e art. 5, criticandosi il decreto impugnato nella parte in cui ha negato il riconoscimento della protezione umanitaria, i cui requisiti non sarebbero stati affatto valutati, anche attesa la forma, pur solo latente, di tubercolosi che presenta il richiedente;

– che il primo motivo è manifestamente infondato, dal momento che l’audizione non è obbligatoria, nè il richiedente deduce che gli è stato impedito di compiere dichiarazioni in udienza per chiarire i fatti: posto che “Nel giudizio di impugnazione della decisione della commissione territoriale innanzi all’autorità giudiziaria, in caso di mancanza della videoregistrazione del colloquio, il giudice deve necessariamente fissare, pena la violazione del contraddittorio, l’udienza per la comparizione delle parti, configurandosi, in difetto, la nullità del decreto con il quale viene deciso il ricorso, senza che sorga tuttavia l’automatica necessità di dare corso all’audizione il cui obbligo, conformemente alla direttiva 2013/321 Ce, grava esclusivamente sull’autorità amministrativa incaricata di procedere all’esame del richiedente, ne consegue che il giudice può decidere in base ai soli elementi contenuti nel fascicolo, ivi compreso il verbale o la trascrizione del colloquio svoltosi dinanzi alla commissione” (ex multis, Cass. 31 gennaio 2019, n. 2817; Cass. 31 gennaio 2019, n. 3029);

– che, inoltre e radicalmente, il provvedimento impugnato non ha ritenuto il ricorrente credibile: al riguardo, questa Corte ha chiarito come “In tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 3, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati; la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 3, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate” (Cass., ord. 30 ottobre 2018, n. 27503) e che “In materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona; qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori” (Cass. 27 giugno 2018, n. 16925; v. pure Cass., ord. 5 febbraio 2019, n. 3340);

– che, quanto alla protezione umanitaria, il tribunale, a fronte del racconto del richiedente – di aver lasciato il paese, dove si trova tuttora la sua famiglia di origine, nonchè i cinque figli e la moglie, per avere ferito il padre, onde è soggetto alle minacce dei parenti -, ha escluso che siano state persino allegate situazioni individuali di vulnerabilità, avendo ritenuto non integrata la fattispecie, sia perchè il richiedente, uomo adulto, potrebbe comunque ricorrere alle autorità competenti ove fossero reiterare le riferite minacce, sia perchè dal mero certificato di una visita medica, dal medesimo prodotto, si trae solo che si tratta di malattia solo latente e che comunque egli ha deciso di sospendere il trattamento di profilassi;

– che, in definitiva, il ricorso tenta sostanzialmente di opporre alla valutazione fattuale contenuta nel provvedimento impugnato una propria alternativa ricostruzione e di reiterare un giudizio sul fatto;

– che non occorre provvedere sulle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Dichiara che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto, se dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2020

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