Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15418 del 26/07/2016


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Cassazione civile sez. I, 26/07/2016, (ud. 16/06/2016, dep. 26/07/2016), n.15418

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGONESI Vittorio – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12689-2014 proposto da:

BUTLER ENGINEERING & MARKETING S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CHINOTTO 1, presso l’avvocato ERMANNO PRASTARO, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati LAURA MARIA PALLINI, SECONDO ANDREA

FELTRINELLI, GRAZIANO BROGI, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MONDOLFO FERRO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE DELLE GIOIE

13, presso l’avvocato CAROLINA VALENSISE, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ALFREDO BASSI, giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 154/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 20/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/06/2016 dal Consigliere Dott. LOREDANA NAZZICONE;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato L. M. PALLINI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato C. VALENSISE che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Bologna con sentenza del 20 gennaio 2014 – in riforma della decisione del Tribunale di Pesaro del 23 dicembre 2010 – ha respinto la domanda di accertamento della contraffazione della porzione italiana di brevetto Europeo n. (OMISSIS) in titolarità della Butler Engineering & Marketing s.p.a., con le connesse domande di accertamento della concorrenza sleale, risarcimento del danno ed accessorie, proposte dalla medesima società contro la Mondolfo Ferro s.p.a..

La corte territoriale ha ritenuto, per quanto ora rileva, che:

– non sussiste contraffazione, perchè, mentre il brevetto dell’attrice “impartisce all’elemento di estrazione… un movimento combinato di rotazione ed avanzamento”, ciò non avviene allo stesso modo in quello della convenuta, essendo il movimento riscontrato nelle macchine della Mondolfo Ferro s.p.a. “incontrollabile ed indesiderato”, unico e non duplice, esistente solo per la fase iniziale e non per tutto il processo di stallonatura, mentre solo la combinazione di due distinti movimenti sarebbe un equivalente della soluzione del brevetto Butler. Ciò si trae dalle conclusioni della consulenza dell’ing. N., utilizzabile dal giudice in quanto avente valore di allegazione difensiva e su cui le parti ebbero modo di interloquire in primo grado, posto che fu svolto un supplemento alla c.t.u. dopo la sua produzione; anche la Corte d’appello di Dusseldorf ha raggiunto la stessa conclusione, sebbene la sentenza straniera costituisca elemento indiziario e non un precedente vincolante;

– la domanda di concorrenza sleale va disattesa, non sussistendone i presupposti;

– le altre domande sono assorbite.

Avverso questa sentenza viene proposto ricorso per cassazione dalla soccombente, sulla base di otto motivi. Resiste con controricorso l’intimata.

Le parti hanno depositato le memorie di cui all’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 183 e 184 c.p.c., per non avere la corte territoriale ritenuto tardiva la produzione del parere tecnico dell’ing. N., sebbene esso fosse stato allegato solo alla comparsa conclusionale in primo grado, dopo che il tribunale aveva rilevato il decorso del termine a tal fine assegnato alle parti.

Con il secondo motivo, deducono la violazione e la falsa applicazione degli artt. 152 e 154 c.p.c., in quanto era decorso il termine fissato dal giudice per osservazioni alla c.t.u., senza che l’attrice avesse depositato la relazione dell’ing. N., ma solo del proprio c.t.p..

Con il terzo motivo, lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e art. 101 c.p.c., posto che sul parere predetto non vi è mai stato contraddittorio, dal momento che si trattava, nella sostanza, di una consulenza di parte, non di una difesa.

Con il quarto motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 5 reg. invenzioni e art. 8, comma 3, Conv. Strasburgo del 27 novembre 1963 (ora art. 52, comma 2, c.p.i.), oltre alla erronea e contraddittoria motivazione, per avere la sentenza impugnata ritenuto che il movimento combinato di rotazione ed avanzamento dell’elemento di estrazione debba durare perchè vi sia contraffazione – per tutta la fase di estrazione, non essendo tuttavia ciò desumibile dalla rivendicazione del brevetto oggetto di causa. Al contrario, il fondamentale movimento combinato è rivendicato dal brevetto affinchè l’elemento di estrazione sia posizionato in un certo modo tra cerchio e pneumatico al fine di non danneggiarli, onde, dopo tale momento, detto movimento non ha più rilievo da punto di vista brevettuale.

Con il quinto motivo, lamenta l’omessa e insufficiente motivazione e la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere la sentenza impugnata posto a fondamento della decisione anche la sentenza della Corte d’appello di Dusseldorf, sebbene fondata su altra legislazione, laddove il Tribunale di primo grado aveva, comunque, diversamente deciso.

Con il sesto motivo, censura l’omessa e insufficiente motivazione e la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere la sentenza impugnata posto a fondamento della decisione delle allegazioni difensive, piuttosto che la c.t.u., senza darne adeguato conto, considerando pure che l’ing. N. non aveva preso visione della macchina in questione.

Con il settimo motivo, deduce l’insufficiente e contraddittoria motivazione con riguardo alla cd. casualità e non intenzionalità del movimento combinato di rotazione ed avanzamento, posto che il problema tecnico che il brevetto intende superare consiste nell’evitare che l’elemento di estrazione danneggi il cerchio o il pneumatico durante l’operazione di montaggio e smontaggio, risultato ottenuto mediante il posizionamento dell’elemento di estrazione con quel movimento combinato: resta, dunque, del tutto irrilevante se ciò sia stato riprodotto da controparte in modo intenzionale o no.

Con l’ottavo motivo, lamenta l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa la valutazione dell’insussistente contraffazione cd. per equivalente, che ben può avvenire, invece, anche ove la durata del movimento sia inferiore al ciclo di estrazione del pneumatico.

2. – I primi tre motivi, nonchè il sesto motivo per la parte che censura la violazione di legge, da trattare congiuntamente in quanto intimamente connessi, sono infondati.

2.1. – Sull’ammissibilità delle osservazioni critiche alla c.t.u. svolte dalla parte nella comparsa conclusionale si riscontrano due distinti orientamenti.

Da una parte, si afferma che con la comparsa conclusionale la parte può svolgere nuove ragioni di dissenso e di contestazione avverso le valutazioni e le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, trattandosi di nuovi argomenti su fatti già acquisiti alla causa, che non ampliano l’ambito oggettivo della controversia (Cass. 22 giugno 2006, n. 14457; 10 marzo 2000, n. 2809; 21 maggio 1977 n. 1666).

Dall’altra parte, si sostiene invece che “le osservazioni critiche alla consulenza tecnica d’ufficio non possono essere formulate in comparsa conclusionale – e pertanto se ivi contenute non possono essere esaminate dal giudice – perchè in tal modo esse rimarrebbero sottratte al contraddittorio e al dibattito processuale” (Cass. 26 novembre 1998, n. 11999 e 1 luglio 2002, n. 9517; v. pure ord., 9 settembre 2013, n. 20636). La tesi è stata ripresa con l’argomento che “le contestazioni ad una relazione di consulenza tecnica d’ufficio costituiscono eccezioni rispetto al suo contenuto, sicchè sono soggette al termine di preclusione di cui all’art. 157 c.p.c., comma 2, dovendo, pertanto, dedursi – a pena di decadenza – nella prima istanza o difesa successiva al suo deposito” (Cass. 25 febbraio 2014, n. 4448; Cass. 6 settembre 2006, n. 19128).

Dette ultime pronunce, peraltro, riguardano casi in cui il giudice aveva omesso di procedere a confutare – in comparazione con le risultanze di c.t.u. – le difformi argomentazioni contenute in una consulenza di parte o in un parere tecnico, trasfusi in comparsa conclusionale. Quindi, ivi la Corte ha affermato che il giudice del merito non è tenuto a confutare anche quelle argomentazioni, nè a decidere sulla base d’una motivata valutazione comparativa delle contrapposte opinioni, ovvero, nel caso non ritenga di procedervi direttamente, a disporre un supplemento della consulenza d’ufficio od una nuova consulenza sulle questioni in tal modo insorte: ciò in quanto è a tal fine necessario che “le eventuali carenze della consulenza d’ufficio e l’esigenza d’una revisione o d’un approfondimento di determinati temi d’indagine e/o di determinate considerazioni gli siano tempestivamente prospettate nel corso del giudizio e non con la comparsa conclusionale” (così, in motivazione, Cass. n. 9517 del 2002 e n. 11999 del 1998, citt.).

Insomma, si tratta di un principio che ha lo scopo di affermare che il giudice legittimamente non prende in esame le critiche alla relazione del consulente tecnico d’ufficio contenute solo nella comparsa conclusionale, invece destinata ad esporre ed illustrare le ragioni di fatto e di diritto su cui si fondano le conclusioni già precisate.

In altri casi, il principio è stato richiamato per escludere che la questione, proposta nel ricorso per cassazione, fosse stata già dedotta nel giudizio di merito e non fosse, quindi, nuova: si trattava di censura della sentenza d’appello per omessa motivazione in ordine alla mancata valutazione, da parte del c.t.u., di un elemento di costo, che i ricorrenti assumevano di aver sollevato nel verbale di udienza e nella comparsa conclusionale: e che la C.S. ha ritenuto nuova in sede di legittimità (Cass. 12 febbraio 2014, n. 3207 e 22 marzo 2013, n. 7335).

Infine, in altre ipotesi, si trattava di vizi della consulenza tecnica fonti di nullità, definita dunque relativa e soggetta al regime di cui all’art. 157 c.p.c. (Cass. 12 giugno 2014, n. 13418; 31 gennaio 2013 n. 2251; 15 aprile 2002 n. 5422).

2.2. – Occorre ricordare il principio consolidato secondo cui la consulenza di parte costituisce una mera allegazione difensiva di natura tecnica, alla stregua degli atti della parte medesima, la cui allegazione al procedimento è regolata dalle norme che li disciplinano, non valendo la natura tecnica del documento ad alterarne la natura, che resta quella di atto difensivo.

Ciò viene affermato per dedurne, così, che la relativa produzione non rientra nel divieto di cui all’art. 345 c.p.c. (Cass., sez. un., 3 giugno 2013, n. 13902, nonchè Cass. 8 gennaio 2013, n. 259; ed altre anteriori) e che il giudice di merito, il quale intenda esprimere un convincimento ad essa contrario, non è tenuto ad analizzarne e a confutarne il contenuto (Cass. 29 gennaio 2010, n. 2063; 9 gennaio 2009, n. 282; 18 aprile 2001, n. 5687; 8 marzo 2001, n. 3371; 27 novembre 2001, n. 15028).

2.3. – Il Collegio reputa che i ricordati orientamenti possano essere ora precisati, secondo le considerazioni che seguono.

Espletata la consulenza tecnica d’ufficio, le contestazioni sollevate alla medesima dalle parti possono riguardare il procedimento, oppure il contenuto di essa.

Se le prime integrano eccezioni di nullità e si inquadrano nell’ambito di applicazione degli artt. 156 e 157 c.p.c., onde la relativa eccezione va sollevata nella prima difesa, le seconde costituiscono argomentazioni difensive, sebbene non di carattere tecnico-giuridico, le quali non soggiacciono a detto rigoroso termine di decadenza.

Ove, nel procedimento volto all’espletamento della consulenza tecnica d’ufficio, le parti abbiano rispettato il termine fissato dal giudice per il deposito della c.t.p. che alla prima rivolga osservazioni l’obbligo per il consulente tecnico rispondere ad esse (al fine di fornire lumi al giudice) e per il giudice di tenerne conto nella sua decisione. Viceversa, ove il parere tecnico di parte non sia prodotto entro il termine assegnato dal giudice, di contro non sussistono detti connessi obblighi; ma ciò non vuol dire che quelle argomentazioni tecniche siano ormai prètuse nel processo.

Come la sentenza può essere argomentata sulla base di considerazioni appartenenti alla scienza non giuridica pertinente al caso di specie, che sostengano e suffraghino la soluzione accolta, così anche gli atti di parte possono, a sostegno della tesi perorata, addurre gli argomenti sviluppati da un tecnico o consulente di parte e poi trasfusi nell’atto, alla stregua di mere difese, anche quali osservazioni alle risultanze della espletata consulenza tecnica d’ufficio.

I soli limiti rilevanti al riguardo consistono, pertanto, nel divieto di introdurre per questa via in giudizio – dopo che siano decorsi i relativi termini fissati dal codice di rito – fatti costitutivi, modificativi od estintivi nuovi, nuove domande o eccezioni e nuove prove, nonchè di rispettare il contraddittorio, in quanto la controparte abbia la possibilità di replicare in un proprio atto, successivo a quello che tali nuove difese abbia introdotto.

Rispettate tali condizioni, le confutazioni e le critiche alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio ben possono essere svolte nella comparsa conclusionale, anche mediante argomentazioni tecniche “suggerite” da un esperto della specifica materia extragiuridica.

Invero, se è pacifico che le consulenze o perizie di parte costituiscano solo osservazioni difensive, non può essere allora precluso alla parte di inserire le osservazioni tecniche all’interno della propria comparsa conclusionale, avendo la controparte la possibilità di rispondere nella memoria di replica; sempre che, però, il troppo breve tempo a disposizione – in comparazione con il tema di dette osservazioni ulteriori, e da valutare volta a volta – non si traduca in una effettiva lesione del contraddittorio e del diritto di difesa.

Pertanto, l’esposizione di argomenti critici a confutazione della consulenza tecnica d’ufficio solo in comparsa conclusionale sarà valutata dal giudice – come ogni altra condotta delle parti e dei loro difensori – sotto la lente dell’obbligo di correttezza e buona fede processuale.

Onde il criterio che il giudice del merito dovrà seguire, al fine di giudicare circa la correttezza della condotta tenuta dalla parte (come per altre ipotesi limitrofe: cfr. l’art. 154 c.p.c. sulla prorogabilità del termine ordinatorio), è quello della valutazione della serietà dei motivi che abbiano indotto a formulare le più approfondite critiche alla c.t.u. solo in comparsa conclusionale.

Ne segue ancora che, qualora il giudice, in forza delle nuove argomentazioni tecniche esposte nella comparsa conclusionale, abbia ravvisato l’esigenza d’una revisione o d’un approfondimento di determinati temi d’indagine o considerazioni e sia stato, quindi, indotto a rimettere la causa sul ruolo istruttorio, egli dovrà valutare se la ritardata offerta di quelle argomentazioni sia addebitabile alla parte ed integri la violazione dei doveri di lealtà e correttezza, di cui tenere conto poi in sede di liquidazione delle spese di lite.

2.4. Nella specie, la corte del merito ha ritenuto ammissibilmente inserito il parere del prof. N. nella comparsa conclusionale, quale allegazione difensiva, argomentando altresì nel senso che sulla stessa “le parti ebbero comunque modo di interloquire ampiamente in primo grado, essendosi fra l’altro svolto un supplemento di CTU dopo la sua produzione”, sebbene quel supplemento fu disposto per diverse ragioni. Si tratta di un cd. parere tecnico obiettivo di soggetto designato dall’A.I.P.P.I., Association International pour la Protection de la Proprietè Industrielle (organizzazione non governativa fondata a Bruxelles nel 1897 e con sede in Zurigo).

Ne deriva che la decisione è conforme ai principi sopra esposti, avendo valutato la pienezza del contraddittorio sul detto parere, attesa la rimessione addirittura della causa sul ruolo istruttorio dopo la relativa produzione.

3. – Il quarto, motivo propone alla Corte, sia pure sotto l’egida del vizio di violazione di legge, una valutazione circa la necessità che il cd. “movimento combinato di rotazione ed avanzamento dell’elemento di estrazione” duri per tutta la fase di estrazione stessa, per potersi ritenere la contraffazione.

In tal modo, però, esso si risolve in un giudizio di fatto, riservato al giudice del merito.

4. – Il quinto motivo, laddove denunzia la violazione di legge, è infondato, posto che la produzione in giudizio di sentenza, anche straniera, è ammissibile e da essa si traggono elementi indiziari di prova, potendo anche in base ad essa il giudice formare il suo libero convincimento, atteso che il vigente ordinamento processuale è improntato a tale criterio (al riguardo, cfr. Cass. 19 aprile 2016, n. 7716, in motivazione; 20 gennaio 2015, n. 840; 25 febbraio 2011, n. 4652; 5 marzo 2010, n. 5440).

5. – I motivi dal quinto all’ottavo sono inammissibili, laddove essi deducono il vizio di omessa e insufficiente motivazione, posto che alla controversia si applica il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 (su cui cfr. Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053).

Invero, diversamente da quanto previsto dalla nuova disposizione, i motivi censurano l’apprezzamento indiziario compiuto dalla sentenza impugnata, vuoi con riguardo al contenuto di una sentenza straniera, vuoi alla c.t.u. e alla consulenza di parte, tuttavia insindacabilmente rimesso al giudice del merito.

6. – Le spese di lite seguono la soccombenza.

Deve provvedersi altresì all’accertamento di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, applicabile ai procedimenti iniziati dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge, avvenuta il 30 gennaio 2013.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 9.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie ed agli accessori, come per legge.

Dà atto che sussistono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2016

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