Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15416 del 22/07/2015


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 15416 Anno 2015
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: IOFRIDA GIULIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Catania Multiservizi spa, in persona del legale
rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in
Roma Via Tacito 90, presso lo studio dell’Avvocato
Giuseppe Vaccaro, e rappresentata e difesa
dall’Avv.to Alessandra Leggio, in forza di procura
speciale a margine del ricorso
– ricorrente contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona
del Ministro p.t., ed Agenzia delle Entrate, in
persona del Direttore p.t., domiciliati in Roma Via
dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale
dello Stato, che li rappresenta e difende ex lege
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 148/31/2009 della
Commissione Tributaria regionale della Sicilia,
Sezione staccata di Catania, depositata il
27/04/2009;
udita’ la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 30/04/2015 dal Consigliere
Dott. Giulia Iofrida;
uditi l’Avv.to Alessandra Leggio, per parte

no ,

Data pubblicazione: 22/07/2015

ricorrente, e l’Avvocato dello Stato, Paola Zerman,
per parte resistente;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
generale Dott. Riccardo Fuzio, che ha concluso per
il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
La società Catania Multiservizi spa, a prevalente

dei servizi pubblici locali, propone ricorso per
cassazione, affidato a sei motivi, nei confronti
dell’Agenzia delle Entrate (che si costituisce,
unitamente al Ministero dell’Economia e delle
Finanze), avverso la sentenza della Commissione
Tributaria Regionale della Sicilia Sez. Staccata di
Catania n. 148/31/2009, depositata in data
27/04/2009, con la quale – in una controversia
concernente l’impugnazione di ingiunzione di
pagamento, notificata nell’aprile 2007, relativa
all’IRPEG non versata per l’anno 1998, in forza del
regime agevolativo previsto dall’art.3, commi 70 e
66, d.l. 331/1993, convertito nella 1. 427/1993,
per le società per azioni a capitale pubblico
maggioritario, istituite ai sensi dell’art. 22 1. 8
giugno 1990 n. 142, regime qualificato
Stato”,

“aiuto di

incompatibile con il mercato comune, con

decisione della Commissione delle Comunità Europee
del 5 giugno 2002, 2003/193/CE – è stata
riformata la decisione di primo grado, che aveva
accolto il ricorso della contribuente.
I giudici della Commissione Tributaria Provinciale
di Catania hanno ritenuto che, essendosi
perfezionata la procedura di definizione automatica
per gli anni pregressi (c.d. condono tombale), ai
sensi dell’art.9 1.289/2002, anche per l’anno in
contestazione, non era consentito

2

partecipazione pubblica istituita per la gestione

all’Amministrazione

finanziaria

procedere

ad

attività di accertamento.
I giudici della Commissione Tributaria Regionale
hanno, anzitutto, ritenuta fondata l’eccezione
pregiudiziale, sollevata dall’appellante Agenzia
delle Entrate, di nullità della sentenza di primo
grado, per inosservanza delle disposizioni di cui
all’art.47 bis comma 5 d.lgs. 546/1992, non

lettura del dispositivo in udienza.
I giudici d’appello, inoltre, nel merito, respinte
le eccezioni preliminari sollevate dall’appellata
società (in particolare, in punto di decadenza
dell’Amministrazione dalla potestà impositiva,
atteso che la soggettività IRPEG delle società

a

partecipazione pubblica maggioritaria o totale di
cui all’art.22 1.142/1990 era stata introdotta
soltanto nell’anno 2007, con l’emanazione del d.l.
n. 10, cosicché i termini per il controllo della
dichiarazione dei redditi non potevano iniziare
prima, nonché in punto di motivazione dell’atto
impositivo), hanno sostenuto che, con il D.L. n.
185/2008, conv. nella l. 2/2009, attuativo della 1.
62/2005, come modificata dal d.l. 10/2007, è stata
introdotta, al comma l ° dell’art.24, specifica
disposizione, inerente la non rilevanza, per il
recupero dell’aiuto di Stato, dell’intervenuta
definizione per condono, ai sensi della 1.289/2002,
pienamente legittima anche sotto il profilo
costituzionale.
Considerato in diritto.
l. La ricorrente lamenta: l) con il primo motivo,
la violazione e falsa applicazione, ex art.360 n. 3
c.p.c., dell’art.47 bis del d.lgs. 54611992, in
relazione alla disciplina transitoria di cui

3

risultando, dal fascicolo processuale, la avvenuta

all’art.2

coma

2

d.l.

59/2008,

conv.

in

1.101/2008, alla luce dell’art.11 delle
disposizioni preliminari al codice civile, dovendo
ritenersi, contrariamente alla statuizione della
C.T.R., che le disposizioni suddette trovano
applicazione solo per i giudizi introdotti dopo
l’entrata in vigore (9/04/2008) della normativa,
mentre la presente controversia è stata iniziata in

2) con il secondo motivo, la omessa motivazione, ex
art.360 n. 5 c.p.c., circa un punto decisivo della
controversia, rappresentato dalla

“violazione

dell’art.53 d.lgs. 546/1992 e 342 c.p.c.”,

non

essendo stati individuati dall’Agenzia delle
Entrate, nell’atto di appello, i vizi specifici
della sentenza impugnata di primo grado; 3) con il
terzo motivo, la violazione e falsa applicazione,
ex art.360 n. 3 c.p.c., dell’art.43 DPR

600/1973,

avendo i giudici d’appello erroneamente ritenuto
che la notifica dell’ingiunzione, nell’aprile 2007,
non era avvenuta oltre il termine di decadenza
quadriennale prescritto dall’art.43 DPR 600/1973,
dovendo il dies a quo per la decorrenza di detto
termini essere individuato non nell’anno 2007, ma
nel 1999, anno di presentazione della
dichiarazione, ovvero, al più, nell’anno 2002; 4)
con il quarto motivo, la violazione e falsa
applicazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., degli artt.3
1.241/1990

e 7

1.212/2000,

non essendovi traccia,

nel provvedimento impugnato, di motivazione in
ordine all’efficacia del condono tombale cui la
contribuente aveva aderito; 5) con il quinto
motivo, in punto di preclusione dell’attività di
recupero da parte dell’Amministrazione finanziaria
a fronte dell’intervenuto condono, la violazione e

4

primo grado, con atto notificato nel giugno 2007;

falsa applicazione,

ex art.360 n.

3 c.p.c.,

dell’art.9 1.289/2002, alla luce dell’art.27 comma
6 1. 62/2005, nella versione vigente
temporis,

ratione

anche in considerazione del principio di

affidamento, nonché l’illegittimità costituzionale
dell’art.24 d.l. 185/2008,conv. in 1. 2/2009, in
f./

riferimento agli artt. 2,3,41,53 e 97 Cost. ed

c.d. condono tombale; 6) con il sesto motivo,
l’omessa motivazione, ex art.360 n. 5 c.p.c., circa
un fatto deciso della controversia, rappresentato
dal calcolo degli interessi, non potendo gli stessi
essere richiesti “in relazione a periodi nel corso
dei quali o l’aiuto era ancora legittimo (gli anni
dal 1999 al 2002) ovvero per periodi nel corso dei
quali lo Stato italiano tardava ad adeguarsi alla
decisione della Commissione europea”.
2. Il primo motivo è infondato.
Questa Corte ha già affermato (Cass. 6534/2012), in
ordine alla operatività dell’art.47 bis d.lgs.
546/1992, che detta disposizione introdotta
“dall’art. 2, comma primo, del d.l. 8 aprile 2008,
n. 59 (convertito dalla legge 6 giugno 2008, n.
101, applicabile a tutte le controversie in cui si
discute del recupero di un aiuto di Stato e nel
corso delle quali il contribuente abbia conseguito
la sospensione dell’atto emesso in esecuzione della
decisione comunitaria di recupero), stabilisce, al
comma quinto, in funzione acceleratoria,

che, al

termine della discussione, il collegio delibera la
decisione in camera di

consiglio ed il presidente

redige e sottoscrive il dispositivo e ne dà lettura
in

udienza

a pena di nullità; tale disciplina si

riferisce anche al processo di appello, prevedendo
il comma 7 l’applicazione delle disposizioni di cui

5

all’irrilevanza dell’adesione del contribuente al

al precedenti commi 4, terzo e quarto periodo,

5 e

giudizi innanzi alle commissioni

tributarie

regionali. Ne consegue che la sentenza

di secondo

6 ai

controversia cui sia

grado relativa ad una

applicabile la disciplina di cui al citato art. 47
bis, quando non vi

sia stata lettura

dispositivo in udienza, è

nulla e

del

deve essere

cassata con rinvio”.
da un lato,

dichiarato la nullità della sentenza di primo
grado, per vizio procedurale, e, dall’altro lato,
non potendo rimettere la causa al primo giudice, ha
esaminato il merito della pretesa impositiva ed i
corrispondenti motivi di appello sollevati
dall’Ufficio.
La ricorrente lamenta, anche nel quesito di
diritto, ex art.366 bis c.p.c., esclusivamente la
violazione della normativa transitoria, introdotta
dall’art.2 comma 2 del d.l. 59/2008, conv. in
1.101/2008, denunciando che la disciplina di cui
all’introdotto art.47 bis, comma 5 ° – che qui
interessa -, del d.lgs. 546/1992 debba operare “per
soli giudizi iniziati dopo

l’entrata in vigore

della norma (9 aprile 2008)”, mentre per le sole
tassative ipotesi elencate nello stesso art.2,
comma 2, è prevista l’immediata operatività, anche
nei procedimenti pendenti, iniziati prima del 9
aprile 2008.
Ora, il comma 5 0 dell’articolo 47-bis (Sospensione
di atti volti al recupero di aiuti di Stato e
definizione delle relative controversie) del
D.Lgs. n. 546 del 1992, come modificato dall’art.2,
coma 1, del d.1.59/2008, entrato in vigore il
giorno 9 aprile 2008, prevede specificamente che
“le controversie relative agli atti di

6

La Commissione Tributaria ha,

in

recupero

udienza. Al

esame sono discusse in
termine

discussione,

della

Collegio delibera la decisione in

sottoscrive il dispositivo

camera

quindi,

consiglio. Il Presidente,
e

pubblica
il

di

redige e

ne dà lettura in

udienza, a pena di nullità”.
Il comma 2 dell’articolo 2 del decreto legge
citato disciplina, invece, gli effetti delle nuove

di entrata in vigore del medesimo decreto,
caso

nel

in cui l’esecutivita’ dell’atto finalizzato

al recupero di aiuti

di

Stato illegali sia

stata oggetto di sospensione giudiziale,
introducendo ulteriori diposizioni in funzione
acceleratoria.
3.

Il

secondo

ed

il

sesto

motivo

sono

inammissibili, essendo prospettati con essi vizi di
motivazione, con riguardo a questione di puro
diritto e non di fatto (rispettivamente, un
in

procedendo,

declaratoria

rappresentato

di

inammissibilità

dalla

error

mancata

dell’appello

dell’Ufficio per difetto di specificità dei motivi,
e l’erronea determinazione nel

quantum

degli

interessi dovuti e comunque loro non debenza).
Il sesto motivo peraltro difetta anche di
specificità, in quanto non viene chiarito in che
cosa consista l’erronea determinazione della misura
degli interessi dovuti in sede di recupero
dell’aiuto di Stato.
4. La terza censura è infondata.
Come già chiarito da questa Corte (Cass. 6538/2012;
Cass.15207/2012; Cass. 16349/2012), “al

credito

erariale per il recupero di aiuti di Stato, imposto
dai

competenti

organi dell’unione Europea, è

inapplicabile il termine quinquennale di decadenza

7

disposizioni sui procedimenti pendenti alla data

di cui all’art. 43 del d.P.R. 29 settembre 1973, n.
600, sia perché contrastante con 11 principio di
effettività del diritto comunitario e con l’obbligo
di rispettare le decisioni della Commissione, sia
perché

l’azione di recupero di aiuti di Stato è

vicenda giuridica diversa

dal potere

di

accertamento in materia fiscale e regolata dalla
normativa speciale di cui al d.l. 15 febbraio 2007,

Secondo Cass. n. 15207/12, citata, l’azione di
recupero è soggetta al termine ordinario di
prescrizione stabilito dall’artt. 2946 cod. civ.,
in quanto idoneo a garantire sia l’interesse
pubblico di assicurare l’effettività del diritto
comunitario mediante il ripristino dello
quo ante”

“status

alla violazione della concorrenza, sia

l’interesse privato ad evitare l’esposizione ad
iniziative senza limiti di tempo, non essendo
invece applicabile il termine di cui all’art. 15
del Regolamento CEE del Consiglio del 22 marzo
1999, n. 659, il quale si riferisce esclusivamente
ai rapporti tra Commissione e Stato membro, ed

“il

momento di inizio del termine di decorrenza della
prescrizione va individuato non nella data della
fruizione dell’aiuto, ma in quella della notifica
della decisione della

Commissione

allo Stato

membro, essendo solo da quel momento l’aiuto
erogato qualificabile come illegale”.
5. Anche il quarto (prescindendo dai profili di
inammissibilità, per difetto di autosufficienza,
essendo ivi prospettato un vizio di difetto
assoluto di motivazione, nell’ingiunzione
notificata alla contribuente, in ordine
all’intervenuta adesione della stessa al c.d.
condono tombale di cui all’art.9 1.289/2002, senza

n. 10, convertito in legge 6 aprile 2007, n. 46″.

che

venga,

in

ricorso,

ritrascritto

il

provvedimento impugnato) ed il quinto motivo sono
infondati.
Va rilevato che, pur essendo previsto dall’art.9,
comma 9, L. n. 289 del 2002 che la definizione
automatica, limitatamente a ciascuna annualità,
rende definitiva la liquidazione delle imposte
risultanti dalla dichiarazione, con riferimento
alla spettanza di deduzioni e agevolazioni indicate
dal contribuente o all’applicabilità di esclusioni,
tuttavia questa disposizione deve essere
disapplicata, per contrasto con il principio di
effettività proprio del diritto comunitario,
espressamente enunciato dall’art. 14, comma 3, del
Regolamento CE n. 659 del 1999 in data 22 marzo
1999, qualora essa impedisca il recupero di un
aiuto di Stato dichiarato incompatibile con
decisione della Commissione divenuta definitiva,
come già chiarito da questa Corte (Cass.1634916350-16351-16352/2012).
Invero, la giurisprudenza di questo giudice di
legittimità ha affermato che il fondamento della
diretta applicazione e della prevalenza delle norme
comunitarie su quelle statali si rinviene
essenzialmente nell’art. 11 Cost. – laddove esso
stabilisce che l’Italia consente alle limitazioni
di sovranità necessario ad un ordinamento che
assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni – e
che il contrasto tra norme statali e disciplina
comunitaria non dà luogo alla invalidità o
illegittimità delle prime, ma ne comporta la

applicazione”,

“non

consistente nell’impedire che la

norma interna venga in rilievo per la definizione
della controversia davanti al giudice nazionale,
fermo restando che la declaratoria di

9

inadempimento, da parte di uno Stato membro, degli
obblighi comunitari ad esso imposti implica il
divieto assoluto di applicare il regime legale
ritenuto illegittimo (Cass. 2005/4466. Cfr. Cass.
2012/7659; 2012/7663).
Risulta pertanto manifestamente infondata la
questione di legittimità costituzionale del D.L. n.
185 del 2008, art. 24 convertito nella L. n. 2 del

agli artt.2,3,24,53 e 97 Cost., sul presupposto che
i contribuenti sarebbero assoggettati ad un regime
fiscale diverso (applicabilità o non applicabilità
del condono) a secondo che abbiano fruito di
agevolazioni valutate o meno quali aiuti di Stato;
è evidente infatti la diversità delle situazioni di
fatto prese in considerazione dalla ricorrente,
atteso che il condono di cui alla L. n. 89 del
2002, art. 9 ha riguardato imposte non corrisposte
dai contribuenti alla data dal condono stesso
stabilita, mentre i recuperi di cui trattasi,
concernenti agevolazioni riconosciute aiuti di
Stato, sono del tutto estranei all’ambito di
efficacia e di applicazione della richiamata
normativa sul condono del 2002.
Di conseguenza, l’azione di recupero di somme
qualificate come aiuti di Stato costituisce una
vicenda giuridica riguardante fatti diversi da
quella posti a base e presi in considerazione dalla
disciplina che ha regolamentato il suddetto
condono.
Né può

invocarsi

la tutela del

legittimo

affidamento, vertendosi in ambito di applicazione
di normativa comunitaria.
Già la Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 36
del 2009, nel dichiarare la manifesta infondatezza

I0

2009, sollevata dalla ricorrente, con riferimento

della questione di legittimità costituzionale
attinente al valore retroattivo della disciplina
dal citato D.L. n. 10 del 2007, ha affermato che,
di regola, i beneficiari non possono invocare alcun
legittimo affidamento sugli aiuti di Stato
incompatibili con il mercato comune ed ha posto
l’accento sulla doverosità, per lo Stato italiano,
di procedere al recupero di agevolazioni ritenute

mancando di evidenziare che l’inapplicabilità delle
esenzioni fiscali doveva essere rilevata dagli
stessi beneficiari delle agevolazioni, i quali come sottolineato dalla costante giurisprudenza
comunitaria – hanno l’onere di diligenza di
accertare il rispetto della procedura comunitaria
prevista per la concessione degli aiuti di Stato
ed, in caso di inottemperanza a tale onere, non
possono vantare, di regola, alcun legittimo
affidamento

sugli

aiuti

incompatibili

con

l’ordinamento comunitario.
6. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve
essere respinto.
Le

spese

processuali,

liquidate

come

in

dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte
ricorrente al rimborso delle spese processuali del
presente giudizio di legittimità, liquidate in
complessivi E 15.000,00, a titolo di compensi,
oltre eventuali spese prenotate a debito.
Deciso in Roma, il 30/04/2015.

incompatibili con il diritto comunitario, non

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