Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15416 del 20/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 20/07/2020, (ud. 20/11/2019, dep. 20/07/2020), n.15416

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17468-2018 proposto da:

D.D.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

VALDINIEVOLE 8, presso lo studio dell’avvocato BEATRICE CECI, che la

rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati LIDIA

CARCAVALLO, SERGIO PREDEN, LUIGI CALIULO, ANTONELLA PAITERI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1347/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO

RIVERSO.

Fatto

CONSIDERATO

CHE:

la Corte di appello di Roma con sentenza n. 1347/2018 rigettava l’appello d.D.M. avverso la sentenza che aveva respinto la domanda di dichiarazione di illegittimità del provvedimento dell’INPS di indebito sulla pensione del 15.12.2014. La Corte rilevava che il provvedimento dell’Inps fosse specifico, motivato e corretto e che il giudice di primo grado avesse affermato che trattandosi di indebito previdenziale l’onere della prova fosse a carico del pensionato.

Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione D.D. con quattro motivi illustrati da memoria, ai quali ha resistito l’INPS con controricorso.

E’ stata comunicata alle parti la proposta del giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

RITENUTO

CHE:

1.- Il primo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 147 del 2009, art. 35, comma 10 e della L. n. 335 del 1995, art. 1, atteso che la d.D. aveva assolto l’onere di comunicazione all’INPS della propria situazione reddituale mentre la richiesta di indebito dell’INPS nasceva dal paradosso di avere considerato nell’importo presente sul mod. 730 per l’anno 2012 la stessa prestazione di reversibilità, sommandola al trattamento pensionistico di vecchiaia.

Il motivo deve ritenersi inammissibile in quanto introduce in questa sede di legittimità questioni di fatto e di diritto nuove di cui non parla la sentenza impugnata e di cui nulla si dice circa la loro rituale allegazione e deduzione nei precedenti gradi di giudizio.

2.- Col secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 2697 c.c. e 3 1. 241 del 1990 per la genericità del provvedimento INPS.

Anche tale motivo è inammissibile perchè impinge nel merito della valutazione effettuata dalla Corte, la quale ha negato la genericità del provvedimento affermando che nella nota dell’INPS fosse inserito il conteggio analitico con gli importi non dovuti e le differenze indebite, il periodo cui si riferiva l’indebito, le ragioni della pretesa. Le censure esposte dal ricorrente non rispettano peraltro neppure il principio di specificità ed autosufficienza e si pongono contro la pronuncia delle Sez. un. 18046/10, in base alla quale spetta al pensionato provare il diritto a ritenere le somme percepite ed oggetto della richiesta di ripetizione dell’INPS.

3.- Col terzo motivo si sostiene la violazione dell’art. 420 c.p.c. perchè la Corte ha affermato che non ci fosse bisogno di note difensive. E che la parte avrebbe potuto replicare dopo la costituzione dell’INPS ed aggiustare il tiro. Il motivo è infondato perchè quanto affermato dalla Corte sulla mancanza di un diritto alle note rispecchia i principi regolatori del processo del lavoro ed è conforme ai poteri riconosciuti dal codice di rito al giudice del lavoro ai fini della modulazione del contraddittorio e dei tempi del processo. Oltre tutto, anche in tal caso la valutazione effettuata dalla Corte d’Appello appare congrua e conseguente alla rilevata completezza e specificità del provvedimento amministrativo comunicato al ricorrente.

4.- Col quarto motivo si impugna la condanna al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, avendo la ricorrente sempre dichiarato la titolarità di un reddito familiare imponibile, ai fini delle imposte dirette, inferiore rispetto al triplo dell’importo previsto dall’art. 76 Testo Unico imposta personale sul reddito; pertanto non poteva essere condannata al pagamento dell’ulteriore importo del contributo unificato.

Il motivo è da accogliere in quanto, come risulta in atti, il ricorrente era in possesso di un reddito inferiore a quello previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 9 e 76; e, pertanto, non poteva essere condannato al pagamento dell’ulteriore importo previsto a titolo di contributo unificato dall’art. 13, comma 1 quater, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma del comma 1-bis in ipotesi in cui la stessa impugnazione sia stata respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile. Il ricorrente era, appunto, esentato ab origine per motivi reddituali dal pagamento del contributo unificato e non poteva perciò essere condannato neppure al raddoppio.

5.- Per le considerazioni che precedono deve essere accolto il quarto motivo di ricorso mentre vanno rigettati gli altri. La sentenza deve essere quindi cassata in relazione al motivo accolto e non sussistendo la necessità di ulteriori accertamenti va dichiarato che il ricorrente non fosse tenuto al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

Le spese processuali vanno compensate per la reciproca soccombenza.

6.- Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso non sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002.

PQM

Accoglie il quarto motivo di ricorso, rigetta i primi tre motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, non sussistendo la necessità di ulteriori accertamenti, dichiara che il ricorrente non fosse tenuto al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato. Compensa le spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della insussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, all’adunanza camerale, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2020

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