Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15414 del 22/07/2015


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 15414 Anno 2015
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: IOFRIDA GIULIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Catania Multiservizi spa, in persona del legale
rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in
Roma Via Tacito 90, presso lo studio dell’Avvocato
Giuseppe Vaccaro, e rappresentata e difesa
dall’Avv.to Alessandra Leggio, in forza di procura
speciale a margine del ricorso

ricorrente

contro
e’)C
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore

p.t., domiciliata in Roma Via dei Portoghesi 12,
presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la
rappresenta e difende ex lege

avverso

la

sentenza

n.

resistente

147/31/2009

della

Commissione Tributaria regionale della Sicilia,
Sezione staccata di Catania, depositata

il

27/04/2009;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 30/04/2015 dal Consigliere
Dott. Giulia Iofrida;
uditi l’Avv.to Alessandra Leggio,

per parte

ricorrente, e l’Avvocato dello Stato, Paola Zerman,

Data pubblicazione: 22/07/2015

:

,

per parte resistente;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
generale Dott. Riccardo Fuzio, che ha concluso per
il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
La società Catania Multiservizi spa, a prevalente
partecipazione pubblica istituita per la gestione
dei servizi pubblici locali, propone ricorso per

dell’Agenzia delle Entrate (che si costituisce ai
soli fini della partecipazione all’udienza pubblica
di discussione), avverso la sentenza della
Commissione Tributaria Regionale della Sicilia Sez.
Staccata di Catania n. 147/31/2009, depositata in
data 27/04/2009, con la quale – in una controversia
concernente l’impugnazione di ingiunzione di
pagamento, notificata nell’aprile 2007, relativa
all’IRPEG non versata, per l’anno 1999, in forza
del regime agevolativo previsto dall’art.3, commi
70 e 66, d.l. 331/1993, convertito nella l.
427/1993, per le società per azioni a capitale
pubblico maggioritario, istituite ai sensi
dell’art. 22 1. 8 giugno 1990 n. 142, regime
qualificato “aiuto di Stato”,

incompatibile con il

mercato comune, con decisione della Commissione
delle Comunità Europee del 5 giugno 2002,
2003/193/CE – è stata riformata la decisione di
primo grado, che aveva accolto il ricorso della
contribuente.
I giudici della Commissione Tributaria Provinciale
di Catania hanno ritenuto che, essendosi
perfezionata la procedura di definizione automatica
per gli anni pregressi (c.d. condono tombale), ai
sensi dell’art.9 1.289/2002, anche per l’anno in
contestazione, non era consentito

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cassazione, affidato a cinque motivi, nei confronti

all’Amministrazione

finanziaria

procedere

ad

attività di accertamento.
I

giudici

d’appello,

respinte

le

eccezioni

preliminari sollevate dall’appellata società (in
particolare, in punto di decadenza
dell’Amministrazione dalla potestà impositiva,
atteso che la soggettività IRPEG delle società a

cui all’art.22 1.142/1990 era stata introdotta
soltanto nell’anno 2007, con l’emanazione del d.l.
n. 10, cosicché i termini per il controllo della
dichiarazione dei redditi non potevano iniziare
prima, nonché in punto di motivazione dell’atto
impositivo), hanno sostenuto che, con il D.L. n.
185/2008, conv. nella 1. 2/2009, attuativo della 1.
62/2005, come modificata dal d.l. 10/2007, è stata
introdotta, al comma 1 0 dell’art.24, specifica
disposizione, inerente la non rilevanza, per il
recupero dell’aiuto di Stato, dell’intervenuta
definizione per condono, ai sensi della 1.289/2002,
pienamente legittima anche sotto il profilo
costituzionale.
Considerato in diritto.
1. La ricorrente lamenta: l) con il primo motivo,
la omessa motivazione, ex art.360 n. 5 c.p.c.,
circa un punto decisivo della controversia,
rappresentato dalla

“violazione dell’art.53 d.lgs.

546/1992 e 342 c.p.c.”,

non essendo stati

individuati dall’Agenzia delle Entrate, nell’atto
di appello, i vizi specifici della sentenza
impugnata di primo grado; 2) con il secondo motivo,
la violazione e falsa applicazione, ex art.360 n. 3
c.p.c., dell’art.43 DPR 600/1973, avendo i giudici
d’appello erroneamente ritenuto che la notifica
dell’ingiunzione, nell’aprile 2007, non era

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partecipazione pubblica maggioritaria o totale di

avvenuta oltre il termine di decadenza quadriennale
prescritto dall’art.43 DPR 600/1973, dovendo il
dies a quo

per la decorrenza di detto termini

essere individuato non nell’anno 2007, ma nel 2000,
anno di presentazione della dichiarazione, ovvero,
al più, nell’anno 2002; 3) con il terzo motivo, la
violazione e falsa applicazione, ex art.360 n. 3
c.p.c., degli artt.3 1.241/1990 e 7 1.212/2000, non

motivazione in ordine all’efficacia del condono
tombale cui la contribuente aveva aderito;

4)

con

il quarto motivo, in punto di preclusione
dell’attività

di

recupero

da

parte

dell’Amministrazione finanziaria a fronte
dell’intervenuto condono, la violazione e falsa
applicazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., dell’art.9
1.289/2002, alla luce dell’art.27 coma 6 1.
62/2005, nella versione vigente

ratione temporis,

anche in considerazione del principio di
affidamento, nonché l’illegittimità costituzionale
dell’art.24 d.l. 185/2008,conv. in 1. 2/2009, in
riferimento agli artt. 2,3,41,53 e 97 Cost. ed
all’irrilevanza dell’adesione del contribuente al
c.d. condono tombale; 5) con il quinto motivo,
l’omessa motivazione, ex art.360 n. 5 c.p.c., circa
un fatto deciso della controversia, rappresentato
dal calcolo degli interessi, non potendo gli stessi
essere richiesti “In relazione a periodi nel corso
dei quali o l’aiuto era ancora legittimo (gli anni
dal 1999 al 2002) ovvero per periodi nel corso dei
quali lo Stato italiano tardava ad adeguarsi alla
decisione della Commissione europea”.
2. Il primo ed il quinto motivo sono inammissibili,
essendo prospettati con essi vizi di motivazione,
con riguardo a questione di puro diritto e non di

4

essendovi traccia nel provvedimento impugnato di

fatto (rispettivamente, un

error in procedendo,

rappresentato dalla mancata declaratoria di
inammissibilità dell’appello dell’Ufficio per
difetto di specificità dei motivi, e l’erronea
determinazione nel quantum degli interessi dovuti e
comunque loro non debenza).
Il quinto motivo peraltro difetta anche di
specificità, in quanto non viene chiarito in che

degli interessi dovuti in sede di recupero
dell’aiuto di Stato.
3. La seconda censura è infondata.
Come già chiarito da questa Corte (Cass. 6538/2012;
Cass.15207/2012; Cass. 16349/2012),

“al credito

erariale per il recupero di aiuti di Stato, imposto
dell’unione

dai competenti organi

Europea, è

inapplicabile il termine quinquennale di decadenza
di cui all’art. 43 del d.P.R. 29 settembre 1973, n.
600, sia perché contrastante con il principio di
effettività del diritto comunitario e con l’obbligo
di rispettare le decisioni della Commissione, sia
perché l’azione di recupero di aiuti di Stato è
vicenda giuridica diversa dal potere di
accertamento in materia fiscale e regolata dalla
normativa speciale di cui al d./. 15 febbraio 2007,
n. 10, convertito in legge 6 aprile 2007, n. 46″.
Secondo Cass. n. 15207/12, citata, l’azione di
recupero è soggetta al termine ordinario di
prescrizione stabilito dall’artt. 2946 cod. civ.,
in quanto idoneo a garantire sia l’interesse
pubblico di assicurare l’effettività del diritto
comunitario mediante il ripristino dello
quo ante”

“status

alla violazione della concorrenza, sia

l’interesse privato ad evitare l’esposizione ad
iniziative senza limiti di tempo, non essendo

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cosa consista l’erronea determinazione della misura

invece applicabile il termine di cui all’art. 15
del Regolamento CEE del Consiglio del 22 marzo
1999, n. 659, il quale si riferisce esclusivamente
ai rapporti tra Commissione e Stato membro, ed “il
momento di inizio del termine di decorrenza della
prescrizione va individuato non nella data della
fruizione dell’aiuto, ma

in quella della notifica

della decisione della Commissione allo Stato

erogato qualificabile come illegale”.
4.

Anche il terzo (prescindendo dai profili di

inammissibilità, per ditetto di autosufficienza,
essendo ivi prospettato un vizio di difetto
assoluto di motivazione, nell’ingiunzione
notificata alla contribuente, in ordine
all’intervenuta adesione della stessa al c.d.
condono tombale di cui all’art.9 1.289/2002, senza
che venga, in ricorso, ritrascritto
provvedimento impugnato) ed il quarto motivogr sono
infondati.
Va rilevato che, pur essendo previsto dall’art.9,
coma 9, L. n. 289 del 2002 che la definizione
automatica, limitatamente a ciascuna annualità,
rende definitiva la liquidazione delle imposte
risultanti dalla dichiarazione, con riferimento
alla spettanza di deduzioni e agevolazioni indicate
dal contribuente o all’applicabilità di esclusioni,
tuttavia questa disposizione deve essere
disapplicata, per contrasto con il principio di
effettività proprio del diritto comunitario,
espressamente enunciato dall’art. 14, comma 3, del
Regolamento CE n. 659 del 1999 in data 22 marzo
1999, qualora essa impedisca

il

recupero di un

aiuto di Stato dichiarato incompatibile con
decisione della Commissione divenuta definitiva,

6

membro, essendo solo da quel momento l’aiuto

come già chiarito da questa Corte (Cass.1634916350-16351-16352/2012).
Invero, la giurisprudenza di questo giudice di
legittimità ha affermato che il fondamento della
diretta applicazione e della prevalenza delle norme
comunitarie su quelle statali si rinviene
essenzialmente nell’art. 11 Cost. laddove esso
stabilisce che l’Italia consente alle limitazioni

assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni – e
che il contrasto tra norme statali e disciplina
comunitaria non

luogo alla invalidità o

illegittimità delle prime, ma ne comporta la

applicazione”,

“non

consistente nell’impedire che la

norma interna venga in rilievo per la definizione
della controversia davanti al giudice nazionale,
fermo restando che la declaratoria di
inadempimento, da parte di uno Stato membro, degli
obblighi comunitari ad esso imposti implica il
divieto assoluto di applicare il regime legale
ritenuto illegittimo (Cass. 2005/4466. Cfr. Cass.
2012/7659; 2012/7663).
Risulta pertanto manifestamente infondata la
questione di legittimità costituzionale del D.L. n.
185 del 2008, art. 24 convertito nella L. n. 2 del
2009, sollevata dalla ricorrente, con riferimento
agli artt.2,3,24,53 e 97 Cost., sul presupposto che
i contribuenti sarebbero assoggettati ad un regime
fiscale diverso (applicabilità o non applicabilità
del condono) a secondo che abbiano fruito di
agevolazioni valutate o meno quali aiuti di Stato;
è evidente infatti la diversità delle situazioni di
fatto prese in considerazione dalla ricorrente,
atteso che il condono di cui alla L. n. 89 del
2002, art. 9 ha riguardato imposte non corrisposte

7

di sovranità necessario ad un ordinamento che

dai contribuenti alla data dal condono stesso
stabilita, mentre i recuperi di cui trattasi,
concernenti agevolazioni riconosciute aiuti di
Stato, sono del tutto estranei all’ambito di
efficacia e di applicazione della richiamata
normativa sul condono del 2002.
Di conseguenza, l’azione di recupero di somme

vicenda giuridica riguardante fatti diversi da
quella posti a base e presi in considerazione dalla
disciplina che ha regolamentato il suddetto
condono.
Né può invocarsi la tutela del

legittimo

affidamento, vertendosi in ambito di applicazione
di normativa comunitaria.
Già la Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 36
del 2009, nel dichiarare la manifesta infondatezza
della questione di legittimità costituzionale
attinente al valore retroattivo della disciplina
dal citato D.L. n. 10 del 2007, ha affermato che,
di regola, i beneficiari non possono invocare alcun
legittimo affidamento sugli aiuti di Stato
incompatibili con il mercato comune ed ha posto
l’accento sulla doverosità, per lo Stato italiano,
di procedere al recupero di agevolazioni ritenute
incompatibili con il diritto comunitario, non
mancando di evidenziare che l’inapplicabilità delle
esenzioni fiscali doveva essere rilevata dagli
stessi beneficiari delle agevolazioni, i quali come sottolineato dalla costante giurisprudenza
comunitaria – hanno l’onere di diligenza di
accertare il rispetto della procedura comunitaria
prevista per la concessione degli aiuti di Stato
ed, in caso di inottemperanza a tale onere, non
possono vantare, di regola, alcun legittimo

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qualificate come aiuti di Stato costituisce una

affidamento

sugli

aiuti

incompatibili

con

l’ordinamento comunitario.
5. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve
essere respinto.
Le

spese

processuali,

liquidate

come

in

dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte

presente giudizio di legittimità, liquidate in
complessivi E 15.000,00, a titolo di compensi,
oltre eventuali spese prenotate a debito.
Deciso in Roma, il 30/04/2015.

ricorrente al rimborso delle spese processuali del

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