Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15414 del 21/06/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 21/06/2017, (ud. 19/01/2017, dep.21/06/2017),  n. 15414

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6023/2016 proposto da:

GENERALI ITALIA SPA, già INA ASSITALIA SPA (C.F. (OMISSIS)), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA LUCREZIO CARO 62, presso lo studio

dell’avvocato VALENTINO FEDELI, rappresentata e difesa dall’avvocato

RENATO MAGALDI, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

R.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 2,

presso lo studio dell’avvocato ALFREDO PLACIDI, rappresentato e

difeso dall’avvocato PASQUALE DI NIAIO, giusta procura a margine del

ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

e contro

GENERALI ITALIA SPA, già INA ASSITALIA SPA (C.F. (OMISSIS)), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA VIA LUCREZIO CARO 62, presso lo studio

dell’avvocato VALENTINO FEDELI, rappresentata e difesa dall’avvocato

RENATO MAGALDI, giusta procura in calce controricorso al ricorso

incidentale;

– controricorrente al ricorrente incidentale –

e contro

A.M.R.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 404/2015, emessa il 13/01/2015, della CORTE

D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 26/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/01/2017 dal Consigliere Relatore Dott. STITANO

OLIVIERI;

Il Collegio ha raccomandato redazione di motivazione semplificata.

Fatto

IN FATTO

Premesso:

La Corte d’appello di Napoli con sentenza 26.1.2015 ha dichiarato inammissibile l’atto di appello proposto da INA Assitalia Assicurazioni s.p.a. non essendo stata fornita prova da parte dell’appellante della “legitimatio ad causam”;

Ha rilevato il Giudice di appello che:

– nell’atto di impugnazione la società aveva dichiarato di “essere subentrata alla società fusa per incorporazione Assitalia Le Assicurazioni d’Italia s.p.a.” (parte sostanziale e processuale in primo grado);

– nella procura ad litem risultava richiamato “un atto di fusione per incorporazione INA Vita s.p.a. e Assitalia Le Assicurazioni d’Italia s.p.a. (Notaio dr. S.M. rep. (OMISSIS))” che tuttavia non risultava prodotto in allegato all’atto di impugnazione;

– la parte appellante, sebbene sollecitata ex officio, alla udienza 16.9.2014 a fornire la prova della legittimazione attiva, non vi provvedeva;

Avverso la sentenza non notificata ha proposto ricorso per cassazione Generali Italia s.p.a. (già INA Assitalia s.p.a.) deducendo con i primi due motivi violazione e falsa applicazione dell’art. 2054 bis c.c. (in relazione agli effetti della fusione: primo motivo), e violazione dell’art. 2054 bis c.c., e dell’art. 2188 c.c. (in relazione alla prova della iscrizione nel registro delle imprese);

Resiste R.A. con controricorso e ricorso incidentale condizionato affidato ad un unico motivo;

Generali Italia s.p.a. ha depositato controricorso al ricorso incidentale nonchè memoria ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

OSSERVA IN DIRITTO

I primi due motivi del ricorso principale possono essere esaminati congiuntamente per ragioni di connessione logica.

La società impugna la decisione di inammissibilità dell’appello sostenendo che la Corte territoriale avrebbe violato l’art. 2504 bis c.c., non avendo considerato che la operazione di fusione di società, dopo la riforma della disciplina societaria introdotta dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, non determina alcun fenomeno di tipo successorio tra soggetti giuridici distinti, tale per cui uno dei soggetti si estingue ed in sostituzione di esso viene ad esistenza un soggetto nuovo, ma – ferma la identità dell’originario soggetto societario – determina una vicenda meramente evolutivo – modificativa del medesimo soggetto giuridico (analogamente a quanto si verifica nel caso di trasformazione del tipo societario), con conseguente “prosecuzione” della società che risulta dalla fusione ovvero della società incorporante in tutti i rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione (art. 2054 bis c.c., comma 1).

Premesso che la stessa sentenza impugnata dà atto della diversa disciplina normativa della vicenda della fusione societaria ante e post riforma del D.Lgs. n. 6 del 2003 (come noto ai sensi del nuovo art. 2505 bis c.c., conseguente alla riforma del diritto societario – D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 -, la fusione tra società non determina, nelle ipotesi di fusione per incorporazione, l’estinzione della società incorporata, nè crea un nuovo soggetto di diritto nell’ipotesi di fusione paritaria, ma attua l’unificazione mediante l’integrazione reciproca delle società partecipanti alla fusione, risolvendosi in una vicenda meramente evolutivo – modificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo; con la conseguenza che deve escludersi che la fusione per incorporazione determini l’interruzione del processo ai sensi dell’art. 300 c.p.c.; Corte Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2637 del 08/02/2006; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 24498 del 18/11/2014. Mentre con riferimento al regime normativo previgente è stato osservato che, avendo l’art. 2504 bis c.c. – introdotto dalla riforma del diritto societario D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 – natura innovativa e non interpretativa, il principio, da esso desumibile, per cui la fusione tra società si risolve in una vicenda meramente evolutivo-modificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo, non vale per le fusioni – per unione od incorporazione – anteriori all’entrata in vigore della nuova disciplina – 1 gennaio 2004 -, le quali tuttavia pur dando luogo ad un fenomeno successorio, si diversificano dalla successione “mortis causa” perchè la modificazione dell’organizzazione societaria dipende esclusivamente dalla volontà delle società partecipanti, con la conseguenza che quella che viene meno non è pregiudicata dalla continuazione di un processo del quale era perfettamente a conoscenza, così come nessun pregiudizio subisce la incorporante – o risultante dalla fusione -, che può intervenire nel processo ed impugnare la decisione sfavorevole, con la conseguenza che non si applica la disciplina dell’interruzione di cui agli artt. 299 e seguenti del codice di procedura civile: Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 19698 del 17/09/2010; id. Sez. 1, Sentenza n. 1376 del 26/01/2016), la censura deve essere dichiarata inammissibile in quanto non coglie la “ratio decidendi”, atteso che il Giudice di appello non ha affatto fondato il difetto di “legittimazione ad causam” (non il difetto di “legitimatio ad processum”, al quale, invece, sembra inesattamente fare riferimento la società ricorrente) sulla autonoma soggettività delle società ante e post operazione di fusione, quanto piuttosto sulla mancanza di prova della allegata legittimazione in virtù della operazione di fusione per incorporazione, non avendo la società provveduto ad ottemperare alla produzione dell’atto pubblico attestante la intervenuta fusione tra “Assitalia Le Assicurazioni d’Italia s.p.a.” ed “INA Vita s.p.a.”.

La sentenza è conforme al principio di diritto enunciato da questa Corte secondo cui “In tema di impugnazione per cassazione, al fine dell’ammissibilità del ricorso proposto da soggetto che non è stato parte del giudizio di merito, questi deve allegare la propria legitimatio ad causam e fornirne la dimostrazione per essere subentrato nella medesima posizione del proprio dante causa. Così, ove ricorrente sia una società che assuma di derivare, per fusione o trasformazione, da altra società che aveva partecipato al giudizio, questa deve dare la dimostrazione della sua derivazione dalla società preesistente” (cfr. Corte Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1468 del 04/02/2002; id Sez. L, Sentenza n. 17681 del 14/08/2007).

Non rileva in contrario che il principio di diritto sia stato enunciato – sentenza 1468/2002 – in fattispecie regolata nel vigore della previgente disciplina societaria, attesa la valenza generale del principio relativo all'”onus probandi”, come è dato evincere dalla motivazione del precedente di questa Corte legittimità n. 17681/2007, in cui la questione esaminata concerneva proprio la verifica della identificazione del soggetto che aveva proposto la impugnazione (cfr. “per poter accertare se effettivamente si fosse verificata una semplice trasformazione formale della società originariamente costituita in giudizio o se, invece, si fosse trattato di due società oggettivamente diverse, occorreva che la parte interessata avesse dimostrato e, anzitutto, ritualmente comprovato l’avvenuta trasformazione, fusione o incorporazione societaria, in modo da rendere certa la sopravvivenza dell’originario soggetto sociale, pur mutato nella forma, negli organi rappresentativi ed, eventualmente, anche nella denominazione”).

Nè a tale principio viene a derogare l’applicazione dell’art. 182 c.p.c. – nel testo precedente ed in quello riformato dalla legge n. 69/2009 – secondo la interpretazione che della norma è processuale è stata fornita da questa Corte, nella sentenza Sez. U, Sentenza n. 9217 del 19/04/2010, secondo cui l’art. 182 c.p.c., comma 2, (nel testo applicabile “ratione temporis”, anteriore alle modifiche introdotte dalla legge n. 69 del 2009 laddove prescrive che il giudice che rilevi un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione “può” assegnare un termine per la regolarizzazione della costituzione in giudizio) dev’essere interpretato – anche alla luce della modifica apportata dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 2 – nel senso che il giudice “deve” promuovere la sanatoria, in qualsiasi fase e grado del giudizio e indipendentemente dalle cause del predetto difetto, assegnando un termine alla parte che non vi abbia già provveduto di sua iniziativa, con effetti “ex tunc”, senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali, ed ancora nella sentenza Sez. U, Sentenza n. 4248 del 04/03/2016 che ha confermato il principio, per cui il Giudice è tenuto ad assegnare alla parte un termine, ove rilevi il “difetto di rappresentanza”, specificando che il difetto di rappresentanza processuale della parte può essere sanato in fase di impugnazione, senza che operino le ordinarie preclusioni istruttorie, e che, se la contestazione avvenga per la prima volta in sede di legittimità, la prova della sussistenza del potere rappresentativo può essere data ai sensi dell’art. 372 c.p.c., con l’ulteriore precisazione che, qualora il rilievo del vizio in sede di legittimità non sia officioso, ma provenga dalla controparte, l’onere di sanatoria per il “rappresentato” sorge immediatamente, non essendovi necessità di assegnare un termine, che non sia motivatamente richiesto, giacchè sul rilievo di parte l’avversario è chiamato a contraddire.

Ed infatti i precedenti richiamati si riferiscono alla contestazione di parte od al rilievo ex officio del “difetto di rappresentanza”, formulati all’interno di uno dei gradi del processo o in sede di legittimità, per cui rimane esclusa la formazione di un giudicato interno implicito sulla questione pregiudiziale, con la conseguenza che anche in assenza di eccezione di parte o rilievo di ufficio, effettuati nei precedenti gradi di merito, la questione del difetto di potere rappresentativo può essere proposta – per la prima volta – nel giudizio di legittimità, configurando la contestazione del difetto di rappresentanza una “mera difesa” e, corrispondentemente, dovendo riconoscersi alla parte la possibilità di fornire, senza incorrere nelle preclusioni istruttorie, mediante produzione documentale – in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 372 c.p.c. – la prova della propria “legittimazione ad causam” e della “legittimazione processuale”.

Ma una volta sollevata la questione nel corso dei gradi di merito -come è avvenuto nel caso di specie in cui è stato rilevato che il soggetto appellante appariva formalmente diverso dal soggetto che aveva partecipato al giudizio in primo grado – ed assegnato dal Giudice un termine per regolarizzare il difetto di legittimazione, ovvero per comprovare l’allegata legittimazione, qualora la parte interessata ometta di fornire la prova richiesta, la fattispecie procedimentale prevista dall’art. 182 c.p.c., deve intendersi compiutamente definita, ed il Giudice di merito, correttamente, viene a definire in rito la causa con declaratoria di inammissibilità dell’atto introduttivo o di impugnazione per difetto di (prova della) “legitimatio ad causam”.

Nella specie è poi appena il caso di osservare che la produzione documentale effettuata in allegato al ricorso per cassazione (atto pubblico di fusione per incorporazione; estratto del registro CCIAA) sarebbe da ritenere, comunque, inammissibile, atteso che la stessa non è funzionale alla verifica da parte del Giudice di legittimità dell’ammissibilità del ricorso per cassazione (condizione cui è collegata la produzione di nuovi documenti avanti il Giudice di legittimità: art. 379 c.p.c.), ma è diretta, piuttosto, a sostenere la fondatezza dei motivi di ricorso con i quali si impugna per vizio di “error juris” la sentenza di appello.

Irrilevante è da ultimo la circostanza che l’atto pubblico di fusione sia stato come afferma la società ricorrente – regolarmente iscritto nel registro delle imprese ai sensi dell’art. 2504 c.c., riformato, e che le iscrizioni in tale registro rivestano efficacia di pubblicità legale, atteso che nel giudizio la parte processuale è comunque onerata della prova dei fatti cui si ricollegano – in virtù della pubblicità legale – gli effetti giuridici di cui intende avvalersi la stessa parte (cfr. Corte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2215 del 01/02/2006; id. Sez. 5, Sentenza n. 20447 del 06/10/2011).

In conclusione il ricorso principale deve essere rigettato (inammissibile il primo motivo; infondato il secondo).

Il ricorso incidentale condizionato non va dichiarato assorbito ma, dovendo precedere la verifica di ammissibilità ad ogni altra statuizione sul motivo di ricorso, deve anch’esso essere dichiarato inammissibile per difetto del requisito ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, essendosi limitato il ricorrente incidentale a richiedere, in caso di accoglimento del ricorso principale, che la causa venga rimessa al Giudice del rinvio anche al fine di esaminare i motivi dell’appello incidentale. Costituisce infatti jus receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui “è inammissibile il ricorso incidentale per cassazione, anche se condizionato, con il quale la parte vittoriosa sollevi una questione che non sia stata sfavorevolmente decisa dal giudice del merito, ma solo risulti assorbita dall’accoglimento di altra tesi, perchè in questa situazione manca il presupposto della soccombenza, sia pure teorica, e tale questione potrà essere riproposta davanti al giudice di rinvio, qualora la sentenza impugnata venga cassata” (cfr. Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 6572 del 03/12/1988; id. Sez. 5, Sentenza n. 574 del 15/01/2016).

In conclusione il ricorso principale ed il ricorso incidentale debbono essere dichiarati inammissibili, giustificando a reciproca soccombenza la compensazione integrale delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

 

dichiara inammissibile il ricorso principale e il ricorso incidentale.

Compensa integralmente le spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2017

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