Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15413 del 20/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 20/07/2020, (ud. 23/01/2020, dep. 20/07/2020), n.15413

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23138-2018 proposto da:

T.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI

134, presso lo studio dell’Avvocato ANNA BUTTAFOCO, rappresentato e

difeso dall’Avvocato VINCENZO BARBATO;

– ricorrente –

contro

SERVIZI ASSOCIATI SOC. COOPERATIVA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ENNIO QUIRINO VISCONTI 103, presso lo studio dell’Avvocato LUISA

GOBBI, rappresentata e difesa dall’Avvocato SIMONE PALTRICCIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 15/2018 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 01/03/2018 R.G.N. 77/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dal

Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Corte di appello di Perugia, con la sentenza n. 15 del 2018, ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale della stessa città (n. 122 del 2016) con la quale, riuniti i procedimenti diretti ad impugnare la Delib. di esclusione di socio 13 luglio 2011 nonchè il licenziamento per giusta causa, erano state rigettate le relative domande proposte da T.S. nei confronti della Servizi Associati Società Cooperativa.

2. Entrambi i provvedimenti erano stati adottati dalla datrice di lavoro nei confronti del T. perchè quest’ultimo, in data 9.6.2011, presso l’Ospedale Santa Maria della Misericordia nell’ufficio messo a disposizione della Cooperativa quale appaltatrice dei lavori di pulizia, aveva determinato grave turbamento a tale B., altro coordinatore di squadra, che si era sentito accusare di una condotta insussistente (l’avere impedito al T. di accedere nell’ufficio e di registrare la presenza in servizio) e aveva cagionato un gravissimo danno materiale e di immagine all’azienda, con ripercussioni negative sui rapporti con la committente, richiedendo l’intervento della forza pubblica per un episodio rivelatosi non rispondente al vero.

3. I giudici di seconde cure hanno precisato, a fondamento della decisione, che: a) l’impugnazione della sentenza di primo grado aveva investito anche il profilo della disposta esclusione da socio; in ogni caso, però, la mancata impugnazione anche della delibera non privava il T. di chiedere almeno il risarcimento del danno in ipotesi di illegittimità del licenziamento; b) la circostanza che il B. ed il F. fossero direttamente coinvolti nell’episodio, non era sufficiente a ritenere le loro deposizioni inattendibili, anche perchè gli altri testi indotti dal lavoratore avevano fornito una versione differente e a lui favorevole; c) non era ravvisabile alcuna violazione del principio di ultra-petizione atteso che la questione del demansionamento era stata svolta nell’ottica di spiegare le ragioni della condotta insubordinata e non collaborativa del dipendente; d) la sanzione espulsiva era proporzionata rispetto al comportamento addebitato; e) l’eccezione di decadenza della datrice di lavoro dal potere disciplinare non era meritevole di accoglimento sia per motivi procedurali che per ragioni sostanziali.

4. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione T.S. affidato a due motivi, cui ha resistito la Servizi Associati Soc Coop.

5. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo il ricorrente denunzia l’illegittimità della sentenza per violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3; la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., dell’art. 2533c.c., della L. n. 604 del 1966, art. 5 e degli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte di merito accolto acriticamente la versione dei fatti fornita dalla datrice di lavoro per legittimare il licenziamento e l’espulsione dalla compagine societaria del dipendente, senza valutare le risultanze istruttorie che avvaloravano la ricostruzione fornita dal lavoratore le quali, esaminate correttamente, avrebbero determinato la conseguenza che la società non aveva assolto l’onere di provare la giusta causa o il giustificato motivo del licenziamento nonchè di dimostrare la legittimità della delibera espulsiva determinata da un grave inadempimento.

3. Con il secondo motivo si censura l’illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3; la violazione dei principi di valutazione delle prove di cui agli artt. 115 e 116 c.p.c., dell’art. 2106 e 2533 c.c., per avere la Corte territoriale valutato la questione della proporzionalità tra la sanzione espulsiva e l’addebito mosso attraverso una superficiale ed approssimativa ricostruzione dei fatti di causa, senza considerare che la datrice di lavoro non era stata in grado di dimostrare di avere subito un concreto danno (nè patrimoniale nè all’immagine) in conseguenza della condotta del socio-lavoratore.

4. Il ricorso è inammissibile.

5. I motivi, che per la loro connessione logico-giuridica possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili.

6. Infatti, in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (Cass. 27.12.2016 n. 27000; Cass. 19.6.2014 n. 13960): ipotesi, queste, non denunziate nel caso in esame.

7. Quanto, poi, alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., essa si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata non avesse assolto tale onere, poichè in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. 5.9.2006 n. 19064; Cass. 10.2.2006 n. 2935).

8. In verità, osserva il Collegio che le articolazioni delle censure, come formulate, si risolvono, in sostanza, nella richiesta di riesame dell’accertamento operato dalla Corte territoriale in fatto, che non è deferibile al giudice di legittimità cui spetta solo la facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica e formale delle argomentazioni del giudice di merito, non equivalendo il sindacato di logicità del giudizio di fatto a revisione del ragionamento decisorio (Cass. 16.12.2011 n. 27197; Cass. 19.3.2009 n. 6694).

9. Infine, va considerato che, nell’attività di valutazione delle prove, non è necessario che il giudice del merito prenda in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte quelle logicamente incompatibili con esse (Cass. n. 12121 del 2004; Cass. n. 24542 del 2009; Cass. n. 19748 del 2011).

10. Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha esaminato le circostanze rilevanti ai fini della decisione, svolgendo un iter argomentativo esaustivo, coerente con le emergenze istruttorie acquisite ed immune da contraddizioni e vizi logici; le valutazioni svolte e le coerenti conclusioni che ne sono state tratte configurano, quindi, una opzione interpretativa del materiale probatorio del tutto ragionevole, espressione di una potestà propria del giudice di merito che non può essere sindacata nel suo esercizio (Cass. n. 14212 del 2010; Cass. n. 14911 del 2010).

11. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.

12. Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.

13. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 23 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2020

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