Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15410 del 28/06/2010
Cassazione civile sez. II, 28/06/2010, (ud. 13/04/2010, dep. 28/06/2010), n.15410
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ODDO Massimo – Presidente –
Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –
Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –
Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 7664/2005 proposto da:
V.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in
ROMA, VTA SILVIO PELLICO 16, presso lo studio dell’avvocato GARCEA
FRANCO, rappresentato e difeso dall’avvocato PASQUARELLI ELGA;
– ricorrente –
contro
G.G. (OMISSIS), P.A.M.
(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA DELLA
LIBERTA’ 10, presso lo studio dell’avvocato PATERNOSTRO GEMMA, che li
rappresenta e difende giusta procura notarile dell’8/4/2010 rep.
62881;
– controricorrenti –
e contro
PATRIZIA IMM SRL, O.G., C.G.,
CO.TE.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 4810/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 10/11/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
13/04/2010 dal Consigliere Dott. BURSESE Gaetano Antonio;
udito l’Avvocato PASQUARELLI Elga, difensore del ricorrente che ha
chiesto termine per notifica anzi accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
CENICCOLA Raffaele che ha concluso per rinotifica del ricorso anzi
per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
G.G. e P.A.M., proprietari di due appartamenti dello stabile sito in (OMISSIS), citavano in giudizio la soc. Immobiliare Patrizia e O. G., proprietari di altrettante unità immobiliari site nello stesso fabbricato, deducendo che i convenuti si erano appropriati di parti comuni dell’edificio, costruendo un locale garage e ampliando un vano cucina ed un balcone. Chiedevano dunque la condanna dei medesimi alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi, oltre al risarcimento dei danni. Con altro atto di citazione gli stessi attori convenivano in giudizio V.C., quale avente causa della s.r.l. Patrizia Immobiliare, al quale estendevano la demanda suddetta. A sua volta O.G. chiamava in giudizio i suoi danti causa C.G. e Co.Te. per essere garantita nei confronti della domanda attrice. Previa riunione di tutte le cause, l’adito tribunale di Roma, con sentenza parziale n. 25456/2001, dichiarava l’area circostante il fabbricato (ad eccezione del vano garage e della rampa d’accesso) di proprietà comune ex art. 1117 c.c. e condannava il V., la C. ed la Co.
nonchè l’ O. a demolire quanto era stato da essi eretto;
dichiarava inoltre il C. e la Co. tenuti a garantire per evizione O.G. e rimetteva la causa sul ruolo con separata ordinanza per l’accertamento dei danni subiti da quest’ultima. Avverso la sentenza proponeva appello il solo V. C. chiedendo il rigetto della domanda dei G. – P..
Si costituivano questi ultimi nonchè la soc. Immobiliare Patrizia, mentre rimanevano contumaci gli atri convenuti. L’adita Corte d’Appello di Roma; con sentenza n. 4810/04 rigettava l’appello, condannando l’appellante e la srl immobiliare Patrizia al pagamento delle spese del grado.
Avverso la decisione suddetta il V. propone il ricorso per cassazione sulla base di 2 motivi, illustrati da successiva memoria ex art. 378 c.p.c.; resistono con controricorso il G. e la P.; gli altri intimati non hanno svolto difese.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo del ricorso l’esponente denuncia l'”omessa, insufficiente ed inadeguata motivazione su un punto decisivo della controversia anche in rapporto alle risultanze istruttorie”. Deduce che non poteva essere ordinata dal giudice la demolizione delle opere abusive (ampliamento del vano cucina), in quanto le stesse erano state condonate. Peraltro l’opera abusiva esisteva prima dell’acquisto dell’area da parte di esso ricorrente ed anzi probabilmente dall’originario proprietario dello stabile, quando l’intera area era di sua esclusiva proprietà. Osserva in proposito l’esponente che “….sul preciso motivo sollevato da questa difesa il giudice di secondo grado, mentre faceva rilevare che la circostanza che la concessione in sanatoria dell’autorità amministrativa è sempre rilasciata, fatti salvi i diritti dei terzi, i quali se si ritengono lesi hanno piena facoltà di adire l’autorità giudiziaria ed ottenere la reintegrazione dei loro diritti, nulla dice in merito alla circostanza, con evidenza fatta rilevare, che, all’epoca in cui il predetto ampliamente del vano cucina venne realizzato, l’area non poteva che essere di proprietà dell’originario proprietario A. – M. e pertanto, non poteva essere condominiale, perchè fino al 1984 l’originario costruttore del terreno ha mantenuto l’intera proprietà” (…) Tale fatto risulta completamente trascurato dalla corte d’Appello e costituisce un punto decisivo ai fini della controversia.
La doglianza è inammissibile in quanto tale capo della sentenza doveva essere impugnato per omessa pronuncia su un motivo di gravame ai sensi dell’art. 112 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 4.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte….’la decisione de giudice di secondo grado che non esamini e non decida un motivo di censura della sentenza del giudice di primo grado è impugnabile per cassazione non già per omessa o insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia e neppure per motivazione “per relationem” resa in modo difforme da quello consentito bensì per omessa pronuncia su un motivo di gravame. Ne consegue, quindi, che, se il vizio è denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 o n. 5 anzichè dell’art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 112 c.p.c., il ricorso si rivela inammissibile (Cass. n. 12952 del 04/06/2007;
Cass. n. 25825 del 10.12.2009; Cass. n. 26598 del 17.12.2009).
Con il 2 motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. e art. 1421 c.c. violazione del principio della prova e del contraddittorio; vizio di motivazione. Osserva che nella motivazione della suddetta decisione il giudice di 1^ grado rilevava d’ufficio la nullità degli atti notarili successivi a quello dell’originario del dante causa nella parte in cui prevedono la vendita di spazi denominati “giardino”, poichè traslative a non domino e sine titulo. Il giudice di merito ha cioè posto a fondamento della decisione un’interpretazione mai prospettata da alcuna delle parti in causa, che avevano chiesto soltanto la demolizione delle opere con la restituzione al condominio e dell’area scoperta.
Anche tale doglianza è inammissibile non avendo il ricorrente interesse ad impugnare tale specifico punto, atteso che la decisione dei giudice di merito non si fonda soltanto su tale precipua affermazione (costituente in buona sostanza un obiter dictum) ma anche e soprattutto su altre considerazioni ed argomentazioni, che non sono state oggetto di censura.
Conclusivamente il ricorso dev’essere rigettato; le spese seguono la soccombenza.
PQM
La Corte rigetta il ricorso condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore dei controricorrenti, che liquida in Euro 1.700,00 di cui Euro 1500,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 13 aprile 2010.
Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2010