Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15410 del 26/07/2016


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Cassazione civile sez. I, 26/07/2016, (ud. 19/04/2016, dep. 26/07/2016), n.15410

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – rel. Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11210-2011 proposto da:

OFFICINA MECCANICA V. E MERLO DI V.B. E C. S.A.S., (P.I.

(OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE CARSO 51, presso l’avvocato

FRANCESCO RUFINI, rappresentata e difesa dall’avvocato FEDERICO

MACCONE, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO CONCERIA M.R. & FIGLIO S.R.L., (P.I.

(OMISSIS)), in persona del Curatore dott. MO.RI.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EMILIA 88, presso l’avvocato

STEFANO VINTI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

DANIELA ZAVATTARELLI, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 52/2011 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 13/01/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/04/2016 dal Consigliere Dott. MAGDA CRISTIANO;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato RUFINI ALESSANDRO, con delega

avv. MACCONE, che si riporta;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato CORSINI FEDERICA, con

delega avv. VINTI che si riporta;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Milano ha respinto l’appello proposto dall’Officina Meccanica V. & Merlo di V.B. & C. s.a.s. contro la sentenza di primo grado, che aveva condannato l’appellante a pagare al Fallimento della Conceria M.R. & Figlio s.r.l. la somma di Euro 492.343,53, quale prezzo complessivamente pattuito per il trasferimento dei diritti di superficie spettanti alla societa’ poi fallita su due distinte aree industriali, acquistate dall’Officina con atti rogati nel 99 e nel 2000.

La corte del merito ha escluso che la dichiarazione della venditrice, contenuta in entrambi i rogiti, “di aver ricevuto prima d’ora la somma (pattuita in corrispettivo della vendita: n.d.r.) dalla parte acquirente” costituisse prova del pagamento.

Ha in proposito rilevato: che le quietanze rilasciate dalla societa’ poi fallita non avevano valore di confessione giudiziale nei confronti del curatore del fallimento, ma costituivano unicamente un elemento di prova indiziaria liberamente valutabile dal giudice unitamente ad ulteriori elementi istruttori; che, nella specie, non v’era alcun altro dato documentale dal quale poter desumere l’avvenuto versamento delle somme in contestazione, non potendosi tener conto ne’ delle scritture private, prive di data certa, con le quali M.R. aveva riconosciuto di aver personalmente ricevuto somme in acconto dei prezzi di vendita di immobili non individuati, ne’ delle fotocopie di due contabili bancarie relative al rilascio, nell’aprile del 96, di assegni circolari per L. 350 milioni, nelle quali non era indicato il nominativo del beneficiario, ne’, infine, degli estratti del libro giornale dell’appellante, inammissibilmente prodotti nel grado; che, per contro, dalla sentenza del tribunale penale che aveva assolto V.B., per non aver commesso il fatto, dal reato di cui all’art. 216, 3 comma, l. fall., emergeva che gli immobili erano stati ceduti all’Officina V. & Merlo ad estinzione dei debiti che il M. aveva contratto in proprio nei confronti del V., per finanziamenti ottenuti negli anni antecedenti al 99 e riversati nelle casse della societa’ amministrata, cosi’ divenuta sua debitrice; che cio’ dimostrava che la Conceria M. non aveva ricevuto alcun corrispettivo in denaro per la vendita degli immobili.

La sentenza, pubblicata il 22.4.011, e’ stata impugnata dalla soccombente con ricorso per cassazione affidato a quattro motivi ed illustrato da memoria, cui il Fallimento della Conceria M.R. & Figlio s.r.l ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione dell’art. 2697 c.c., lamenta che la corte del merito abbia negato valenza di confessione stragiudiziale del pagamento alla quietanze contenute negli atti di compravendita azionati dal curatore, il quale, a suo dire, non poteva avvalersi dei contratti soltanto come prova del fatto costitutivo e non anche del fatto estintivo.

2) Col secondo motivo, nel quale si denuncia vizio di motivazione, l’Officina V. contesta la correttezza del ragionamento probatorio del giudice a quo che, dopo aver affermato che le quietanze erano apprezzabili quali elementi indiziari, da valutare unitamente ad altre risultanze che ne corroborassero il valore ai fini della prova del pagamento, abbia poi totalmente omesso di dar seguito a tale affermazione, in quanto si e’ limitato a considerare isolatamente le ulteriori prove documentali versate in atti, escludendo che ciascuna di esse potesse dimostrare l’avvenuta corresponsione del prezzo degli immobili.

3) Con il terzo motivo la ricorrente, denunciando violazione dell’art. 345 c.p.c. ed ulteriore vizio di motivazione, lamenta che la code territoriale abbia escluso di poter tener conto dei nuovi documenti da essa prodotti per la prima volta nel grado senza pronunciarsi sulla loro indispensabilita’, peraltro implicitamente (e contraddittoriamente) riconosciuta nella sentenza, nella quale si legge che all’imprenditore convenuto dal curatore per l’adempimento di un’obbligazione sorta nei confronti del fallito quando era in bonis e’ consentito di assolvere al proprio onere probatorio mediante la produzione dei libri contabili regolarmente tenuti.

4) Con il quarto motivo la ricorrente contesta l’assunto del giudice d’appello secondo cui la societa’ poi fallita non aveva ricevuto alcun corrispettivo per la vendita degli immobili; rileva, in contrario, che la sentenza penale di assoluzione costituiva prova che il pagamento era andato a beneficio della s.r.l. M.R., in quanto, ai sensi dell’art. 2467 c.c., il “finanziamento soci” ha una causa diversa da quella del mutuo ed e’ assimilabile al capitale di rischio, siccome postergato rispetto ad ogni altro credito vantato da terzi nei confronti della societa’.

5) Il primo motivo e’ infondato.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che la quietanza rilasciata dal creditore al debitore ha natura di confessione stragiudiziale del pagamento, ai sensi dell’art. 2735 c.c., solo nella controversia in cui siano parti, anche in senso processuale, l’autore e il destinatario della stessa. Pertanto, nel giudizio promosso dal curatore del fallimento del creditore per ottenere l’adempimento dell’obbligazione, la quietanza non ha l’efficacia vincolante della confessione stragiudiziale, ma unicamente il valore di documento probatorio del pagamento, apprezzabile dal giudice al pari di ogni altra prova desumibile dal processo, atteso che il curatore, pur ponendosi, nell’esercizio del diritto del fallito, nella stessa posizione di quest’ultimo, e’ una parte processuale diversa dal fallito medesimo (fra molte, Cass. nn. 21258/014, 23318/12, 4288/05).

Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, tali principi trovano applicazione anche se la quietanza e’ stata rilasciata nello stesso documento in cui le parti hanno trasfuso le pattuizioni contrattuali: anche in questa ipotesi, infatti, essa resta una dichiarazione di scienza unilaterale e ricettizia, esterna al contratto e priva di natura negoziale(Cass. nn. 9120/015, 13189/013, 15245/02), con la quale il creditore da’ atto al debitore di aver ricevuto la prestazione dovutagli. Ne consegue che il curatore ben puo’ avvalersi della scrittura contrattuale quale fatto costitutivo della pretesa azionata e, nel contempo, dedurre la simulazione della quietanza che vi risulti apposta.

6) Il secondo motivo e’ infondato, in quanto la corte del merito non si e’ limitata a valutare singolarmente le risultanze processuali, escludendo di volta in volta che esse potessero da sole valere a fornire la prova del pagamento del prezzo degli immobili, ma ha ritenuto in concreto dimostrata la simulazione della quietanza, laddove ha accertato che la Conceria M. non aveva ricevuto alcun corrispettivo in denaro a fronte della cessione dei beni ed era pertanto rimasta creditrice dell’acquirente.

7) Il terzo motivo e’ inammissibile.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il giudizio di indispensabilita’ della prova nuova in appello, previsto dall’art. 345 c.p.c., comma 3 (nel testo applicabile ratione temporis, anteriore all’entrata in vigore del D.L. n. 83 del 2012, convertito nella L. n. 134 del 2012) non attiene al merito della decisione, ma al rito, in quanto la relativa questione rileva ai fini dell’accertamento della preclusione processuale eventualmente formatasi in ordine all’ammissibilita’ della richiesta istruttoria della parte; ne consegue che qualora in sede di legittimita’ il ricorrente lamenti l’erronea dichiarazione di inammissibilita’ della nuova prova documentale offerta in appello, questa Corte, chiamata ad accertare la ricorrenza del denunciato error in procedendo, e’ giudice del fatto ed e’ quindi tenuta a stabilire essa stessa se si trattasse di prova indispensabile (Cass. nn. 1277/016, 4478/011, 14098/09).

Tuttavia, affinche’ tale compito possa essere assolto, e’ pur sempre necessario che, in ossequio al disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, il ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui chiede il riesame ed alleghi specificamente al ricorso il documento probatorio ritenuto “non indispensabile” e non ammesso dalla corte del merito (Cass. S.U. nn. 8077/012, 22726/011) Nel caso di specie, in cui l’Officina V. non solo non ha allegato al ricorso gli estratti delle scritture contabili prodotti per la prima volta in appello, ma ha totalmente omesso di illustrarne il contenuto e di chiarire la decisivita’ dei fatti dagli stessi ricavabili, la valutazione dell’indispensabilita’ della prova deve pertanto ritenersi preclusa.

8) Parimenti inammissibile e’, infine, il quarto motivo, che denuncia la violazione di una norma (l’art. 2467 c.c. cosi’ come novellato dal D.Lgs. n. 6 del 2003) entrata in vigore in data successiva ai fatti di causa e che, comunque, solleva nella presente sede di legittimita’ una questione che non ha formato oggetto della cognizione devoluta al giudice d’appello.

Il ricorso, in conclusione, deve essere integralmente respinto.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 7.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso forfetario e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 19 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2016

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