Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15403 del 20/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 20/07/2020, (ud. 04/12/2019, dep. 20/07/2020), n.15403

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11144/2016 proposto da:

AVIAPARTNER HANDLING S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE

21/23, presso lo studio dell’avvocato CARLO BOURSIER NIUTTA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONIO ARMENTANO;

– ricorrente –

contro

G.L.V., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI SERTORI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 774/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 09/11/2015, R.G.N. 130/2013.

Fatto

RILEVATO

che:

1. il Tribunale di Busto Arsizio, rigettate l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso e l’eccezione di decadenza sollevata dalla società Aviapartner Handling p.a., aveva dichiarato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra G.L.V. e la suindicata società a far data dal 26.10.2006 ed aveva condannato quest’ultima al ripristino del rapporto di lavoro ed al risarcimento del danno pari alle retribuzioni maturate dal 31.3.2012 – data di scadenza dell’ultimo rapporto di lavoro inter partes – sino alla riammissione in servizio;

2. la Corte d’appello meneghina, con sentenza del 6.11.15, in parziale riforma della sentenza impugnata, determinava in tre mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto l’indennità dovuta all’appellato L. n. 183 del 2010, ex art. 32, comma 5, oltre accessori di legge dalla data della sentenza che accertava la conversione, confermando nel resto la decisione impugnata;

3. era ritenuta infondata l’eccezione di decadenza ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32, che la società aveva riproposto sul presupposto che il termine fosse decorso in data 23.1.2011, ovvero dopo sessanta giorni dall’entrata in vigore della novella, sostenendo che non poteva operare nella specie il disposto dell’art. 32, comma 1 bis, introdotto dalla L. 26 febbraio 2011: secondo la Corte la portata della disposizione normativa era quella di rimettere in termini tutti coloro che fossero medio tempore decaduti nell’arco di tempo dal 24.11.2010, data di entrata in vigore della L. n. 183 del 2010, al 23 gennaio 2011, scadenza del termine di sessanta giorni per l’entrata in vigore della novella che introduceva il termine di decadenza, assegnando agli interessati titolari di rapporto di lavoro in corso, o, come nel caso in discussione, già esauriti, un tempo congruo per valutare la propria situazione;

4. avendo il lavoratore impugnato stragiudizialmente il contratto in data 8.11.2011 e depositato il ricorso il successivo 13.12.2011, non si era verificata alcuna decadenza;

5. per il resto, la Corte rilevava che, se pure al giudice non competeva il sindacato sulle scelte organizzative in ragione delle quali un’impresa ricorreva alla somministrazione, il controllo giudiziale doveva concentrarsi sulla verifica di effettività della scelta che, nella specie, era stata tale da denotare l’insussistenza dell’esigenza dedotta nel contratto di somministrazione; veniva ritenuta infondata anche la riproposta eccezione di risoluzione per mutuo consenso, posto che il rapporto era proseguito pure dopo l’introduzione del giudizio di prime cure;

6. corretta era ritenuta l’instaurazione in sede di conversione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l’utilizzatore; tuttavia, trovando applicazione L. n. 183 del 2010, art. 32, quanto alle conseguenze risarcitorie, le stesse venivano quantificate in tre mensilità della retribuzione globale di fatto;

7. di tale decisione domanda la cassazione la società, affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, il lavoratore.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo la società denunzia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, nonchè omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione, rilevando che presupposto della risoluzione per mutuo consenso sia l’instaurazione del rapporto di lavoro subordinato e che, una volta ritenutane la sussistenza, la Corte non abbia valutato la ratio della norma generale e l’interpretazione che la giurisprudenza ha dato della nozione di comportamento concludente; assume che dovevano essere valorizzati non solo l’inerzia del lavoratore, ma anche ulteriori aspetti incontestati tra le parti, non tenuti in debita considerazione, quali la circostanza che il secondo contratto a termine era intervenuto a distanza di più di due anni dalla cessazione del primo, l’avere il lavoratore prestato la propria attività dopo il primo contratto anche in forza di altri contratti, per di più anche in favore di un datore di lavoro diverso, accettando il pagamento delle competenze di fine rapporto, la conseguente divergenza tra la realtà effettuale e quella formalizzata, il breve lasso di tempo durante il quale il G. aveva prestato attività lavorativa per la Aviapartner in forza del primo contratto, lo scarso contenuto professionale delle mansioni espletate, l’irrisorio affidamento che il lavoratore poteva riporre sulla prospettiva di futuri contratti a termine;

2. con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32 commi 1, 1 bis – introdotto dal D.L. n. 226 del 2010, art. 2, comma 54 (decreto milleproproghe) convertito nella L. n. 10 del 2011 – L. n. 183 del 2010, artt. 3 e 4, nonchè degli artt. 11 e 12 preleggi, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, assumendo che il differimento dell’efficacia con il cd. mille proroghe sia da riferire unicamente alla novità introdotta con l’art. 32, comma 1, vale a dire l’avere sottoposto l’impugnativa stragiudiziale alla condizione, pena la perdita di efficacia, di proporre il ricorso giudiziale nel termine dall’epoca di 270 gg., ora ridotto a 180, per l’impugnazione giudiziale del licenziamento. In sostanza, sostiene che, per effetto del cd. mille proroghe, sino al 31.12.2011 le impugnative stragiudiziali dei licenziamenti, da proporsi entro 60 gg., erano soggette, ai fini della loro efficacia, al realizzarsi della condizione che venisse presentato il ricorso nei successivi 270 gg., ma ciò solo con esclusivo riferimento alle ipotesi di licenziamento, in quanto, se il legislatore avesse voluto riferirsi anche agli altri casi per i quali è previsto il termine di impugnativa a pena di decadenza, non avrebbe menzionato espressamente il licenziamento, ma avrebbe fatto riferimento, più in generale, al regime delle decadenze di cui al Collegato Lavoro, senza alcuna ulteriore precisazione; rileva che, essendo il contratto del 26 ottobre 2006, cessato alla scadenza dei tre mesi originariamente pattuiti, al momento dell’entrata in vigore del comma 1 bis si era già realizzata la decadenza, avendo il G. provveduto all’impugnativa stragiudiziale del termine solo in data 8.11.2011 ed avendo depositato il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado il 13.12.2011;

3. con il terzo motivo, la società si duole della violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4, art. 27, comma 3 e dell’art. 41 Cost., ritenendo che le carenze di allegazioni sottolineate nell’impugnata sentenza, ben lungi dal ricondurre le stesse a fini di valutazione della sussistenza della causale addotta per la stipula del contratto di somministrazione, siano censure diversamente finalizzate a valutare l’effettiva necessità di ricorrere alla somministrazione sindacando nel merito le valutazioni e le scelte che hanno indotto l’imprenditore a ricorrere a tale tipologia contrattuale, sindacato precluso dal dettato dell’art. 41 Cost. e dalla specifica disciplina della somministrazione D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, comma 3. Evidenzia come nella specie era allegata la circostanza che, al momento dell’assunzione del G., la società aveva avviato nello scalo di (OMISSIS) l’attività di handling, che ricomprende tutti i servizi di assistenza a terra degli aeromobili da svolgere nell’ambito dell’intera struttura aeroportuale. Tale circostanza, corroborata dal fatto che lo stesso lavoratore nel ricorso introduttivo aveva ammesso di essere stato assunto per l’attività de qua nello scalo, era tale da integrare la ricorrenza della menzionata fase di start up dell’attività di full handling, che comportava inevitabilmente nello stadio operativo iniziale l’esigenza di ricorrere al lavoro somministrato; era, pertanto, in contrasto con i generali principi in materia di libertà di impresa ogni indagine da parte del giudice del merito in ordine alla sussistenza dell’effettiva necessità di ricorrere al lavoro somministrato,

4. con il quarto motivo, Aviapartner Handling ascrive alla decisione impugnata violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, commi 1 e 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, adducendo che il rapporto a termine non potesse convertirsi in rapporto a tempo indeterminato con l’utilizzatore;

5. con riguardo al primo motivo, l’accertamento di una concorde volontà delle parti diretta a sciogliere un contratto costituisce un giudizio che attiene al merito della causa (cfr. Cass. SU n. 21691/2016) e quindi demandata ad un accertamento in fatto. Ciò comporta che ove nel giudizio di merito sia stato valutato il comportamento delle parti e non si sia formulato in giudizio un comportamento omissivo perchè assenti ulteriori elementi convergenti, tale giudizio è sindacabile in sede di legittimità solo in base alle regole dettate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, secondo la formulazione vigente ratione temporis. Tale orientamento ha espresso la Cassazione con la sentenza n. 29781/2017 che, sulla scia delle decisioni prima ricordate, a cui questo Collegio ritiene di dare continuità, ha rilevato come non è conferito alla Cassazione di riesaminare gli aspetti in fatto della vicenda processuale solo potendosi valutare la coerenza logico-formale e la correttezza giuridica della decisione assunta dal giudice di merito, “senza che sia consentito al giudice di legittimità sostituire una (diversa) massima di esperienza diversa da quella utilizzata, quando questa non sia neppure minimamente sorretta o sia addirittura smentita”;

5.1. nel caso in esame la Corte di merito ha valutato che l’elemento temporale non poteva costituire elemento significativo, apprezzabile come circostanza utile per la configurazione di una volontà dismissiva del rapporto, essendo peraltro il rapporto proseguito anche dopo l’introduzione del giudizio di primo cure; la motivazione della Corte territoriale sul punto non è sindacabile in questa sede, dove” l’oggetto del sindacato non è il rapporto sostanziale intorno al quale le parti litigano, bensì unicamente la sentenza di merito che su quel rapporto ha deciso” (così, nella sostanza, con riguardo al caso esaminato, Cass. n. 29781/2017 cit.);

6. il secondo motivo di ricorso è infondato, poichè della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 1 bis, introdotto dal D.L. n. 225 del 2010, conv. con mod. dalla L. n. 10 del 2011, nel prevedere “in sede di prima applicazione” il differimento al 31 dicembre 2011 dell’entrata in vigore delle disposizioni relative al termine di sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento, si applica a tutti i contratti ai quali tale regime risulta esteso e riguarda tutti gli ambiti di novità di cui al novellato della L. n. 604 del 1966, art. 6, sicchè, con riguardo ai contratti a termine non solo in corso ma anche con termine scaduto e per i quali la decadenza sia maturata nell’intervallo di tempo tra il 24 novembre 2010 (data di entrata in vigore del cd. “collegato lavoro”) e il 23 gennaio 2011 (scadenza del termine di sessanta giorni per l’entrata in vigore della novella introduttiva del termine decadenziale), si applica il differimento della decadenza mediante la rimessione in termini, rispondendo alla ratio legis di attenuare, in chiave costituzionalmente orientata, le conseguenze legate all’introduzione “ex novo” del suddetto e ristretto termine di decadenza (Cass. S.U. 14/03/2016 n. 4913 e successivamente con particolare riguardo all’applicabilità ai contratti in somministrazione già scaduti alla data del 24.11.2010 cfr. Cass. n. 2420 del 2016, Cass. n. 7788 del 2017 e 18/12/2018 n. 32702);

7. il terzo motivo tenta di ricondurre il giudizio attinente alla verifica di effettività, che va operato dal giudice in relazione alla reale sussistenza delle esigenze dedotte, ad un’inammissibile valutazione della scelta imprenditoriale di ricorrere al lavoro somministrato; la sentenza ha ben precisato quale fosse l’oggetto del sindacato ed ha ritenuto che le circostanze allegate non consentissero tale verifica in sede istruttoria;

7.1. è stato ritenuto che le ragioni addotte non potevano essere considerate idonee, in relazione alla genericità delle circostanze oggetto della prova per testi articolata, con riferimento alle componenti identificative essenziali della causale, sia quanto al contenuto che alla sua portata spazio temporale, che, più in generale circostanziale, sì da rendere possibile il controllo della loro effettività;

7.2. in concreto è stato valutato come non assolto l’onere di allegazione e prova da parte dell’utilizzatrice, non potendo la ragione temporanea dedotta dirsi provata, senza indicazione alcuna dello stato occupazionale specifico della realtà organizzativa ove operava il G., e della sua idoneità a giustificare il ricorso a unità supplementari somministrate per soddisfare le esigenze cui risultava finalizzata l’assunzione anche del predetto, oltre che della temporaneità della causale in relazione al contratto stipulato a termine, e dovendo ritenersi insufficiente il generico richiamo alla sussistenza delle esigenze di implementazione connesse al progetto menzionato;

8. in ordine al quarto motivo, è sufficiente osservare, in conformità a consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, che il contratto che si viene ad instaurare con l’utilizzatore della prestazione non può che essere a tempo indeterminato, in quanto (cfr. Cass. 15.7.2011 n. 15610, e, tra le successive, Cass. 8.5.2012 n. 6933) il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, comma 1, stabilisce espressamente che in ipotesi di somministrazione avvenuta al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui all’art. 20 e art. 21, comma 1, lett. a), b), c), d) ed e) il lavoratore può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell’art. 414 c.p.c., notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo, con effetto dall’inizio della somministrazione e che, pertanto, la stessa efficacia “ex tunc” che la norma in esame ricollega alla sentenza costitutiva provocata da un tale tipo di ricorso rappresenta un valido elemento letterale e logico che autorizza a ritenere che, se il legislatore avesse voluto riferirsi alla costituzione di un rapporto diverso da quello a tempo indeterminato, non avrebbe certamente avuto ragione di dover far riferimento ad una costituzione del rapporto con effetto dall’inizio della somministrazione stessa;

8.1. un ulteriore ed insuperabile argomento sistematico è quello per il quale, diversamente opinando, verrebbe ad essere facilmente aggirata la disciplina limitativa del contratto a termine: invero, qualora si volesse sostenere che anche il rapporto che si instaura “ex lege” con l’impresa utilizzatrice debba essere a termine, ad onta della accertata illegittimità del ricorso alla tipologia del contratto di somministrazione di lavoro a tempo determinato, si perverrebbe alla inaccettabile ed assurda situazione per la quale la violazione così perpetrata consentirebbe all’impresa utilizzatrice di beneficiare di una prestazione a termine altrimenti preclusa (cfr. Cass. 15610/2011 cit.).

9. alla stregua delle esposte considerazioni, il ricorso va complessivamente respinto;

10. le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo;

11. sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonchè al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R., ove dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 4 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2020

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