Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15401 del 26/07/2016
Cassazione civile sez. VI, 26/07/2016, (ud. 09/06/2016, dep. 26/07/2016), n.15401
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ARMANO Uliana – Presidente –
Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12383/2015 proposto da:
M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI GRAFICI 90,
presso lo studio dell’avvocato LIDIA MARIA PALATIELLO, rappresentato
e difeso dall’avvocato UMBERTO GIUSEPPE GARRISI giusta procura a
margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA, in persona del Sostituto
Titolare dell’Area Territoriale Sud, elettivamente domiciliata in
ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentata e difesa
dall’avvocato GIAMPAOLO SALVATORE giusta procura in calce al
controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza a 215/2014 della CORTE D’APPELLO di LECCE del
28/02/2014, depositata il 20/03/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
09/06/2016 dal Consigliere Relatore Dott. DANILO SESTINI;
udito l’Avvocato Umberto Giuseppe Garrisi difensore del ricorrente
che si riporta agli scritti ed insiste nella fissazione in P.U..
Fatto
RAGIONI DELLA DECISIONE
E’ stata depositata la seguente relazione cx art. 380 bis c.p.c..
“1. In riforma della sentenza di primo grado, la Corte di Appello di Lecce ha rigettato la domanda proposta da M.M. nei confronti della Banca Monte dei Paschi di Siena per sentir dichiarare l’illegittimità della segnalazione dell’attore alla Centrale Rischi (in relazione ad un credito litigioso e sottoposto a verifica in sede di opposizione al decreto ingiuntivo richiesto dalla Banca) e per ottenere il risarcimento dei danni causati dalla segnalazione; ha conseguentemente dichiarato assorbito l’appello incidentale proposto dal M. per sentir liquidare il danno in un importo superiore a quello stimato dal primo giudice.
2. La Corte ha affermato che “la condizione di “credito a sofferenza” richiesta dalla Delib. CICR 29 marzo 1994, emessa in attuazione degli D.Lgsa. n. 385 del 1993, artt. 53, 67, 107 e 108 (TUB) e delle successive direttive” impartite dalla Banca d’Italia ricorre “se sussistano elementi concreti per ritenere che il debitore sia incapace di far fronte con mezzi normali alle sue obbligazioni, tanto da ritenere concretamente a rischio l’effettiva riscossione del credito”; su questa premessa, ha rilevato che il M. era debitore nei confronti della Banca per un importo superiore a 50.000,00 Euro (oltre interessi) come accertato dal Tribunale di Lecce all’esito del giudizio di opposizione a d.i. – e che detto debito era privo di qualunque garanzia (in quanto il debitore si era reso impossidente) ed ha ritenuto “evidente… che il M. versasse in una situazione di incapacità a far fronte ai pagamenti e non solo alla suddetta esposizione debitoria”, alla luce di una “valutazione negativa della complessiva situazione patrimoniale del medesimo”.
3. Con l’unico motivo, il ricorrente ha dedotto la violazione del D.Lgs. n. 385 del 1993, artt. 51, 53, 67, 107 e 108 e delle norme applicative nella formulazione vigente al momento della segnalazione a sofferenza.
Il M. si è doluto che la Corte non abbia adeguatamente considerato il “comportamento colposo della Banca”, sottolineando come le istruzioni impartite dalla Banca d’Italia non consentissero all’istituto segnalante “alcuna discrezionalità circa la qualificazione delle posizioni a sofferenza” e come l’accertamento dello stato di insolvenza non potesse “prescindere dalla valutazione della complessiva situazione economica e finanziaria del cliente”.
4. Il motivo è inammissibile per totale difetto di specificità, atteso che l’illustrazione del motivo si limita ad una generica doglianza circa l’erroneità della valutazione compiuta dalla Corte, senza individuare le “affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità”, non consentendo pertanto a questa Corte “di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione” (Cass. n. 3010/2012; conformi Cass. n. 16038/2013, Cass. n. 13066/2007, Cass. n. 16132/2005).
5. Si propone pertanto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, con condanna alle spese di lite”.
All’esito della discussione in camera di consiglio, il Collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione, ritenendoli non superati dalle argomentazioni svolte nella memoria del ricorrente.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con condanna det, ricorrente al pagamento delle spese di lite.
Trattandosi di ricorso proposto successivamente al 30.1.2013, ricorrono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
PQM
la Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese di lite, liquidate in Euro 5.600,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre rimborso delle spese forfettarie e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 9 giugno 2016.
Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2016