Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15401 del 13/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 13/07/2011, (ud. 26/05/2011, dep. 13/07/2011), n.15401

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico President – –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 18856-2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, Piazza Mazzini 27

LUNGOTEVERE MICHELANGELO 9) presso lo studio dell’avvocato TRIFIRO’

&

PARTNERS, rappresentata e difesa dall’avvocato FAVALLI GIACINTO,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

S.U., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 172,

presso lo studio dell’avvocato GALLEANO SERGIO NATALE EDOARDO, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

SI.LO., P.D., F.L.A., A.

L.P., G.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 469/2006 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 22/06/2006 r.g.n. 94/05 + 1;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/05/2011 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito l’Avvocato PAOLO ZUCCHINALI per delega GIACINTO FAVALLI;

udito l’Avvocato GALLEANO SERGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo, che ha concluso l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. -Con sentenza depositata il 22 giugno 2006, la Corte d’appello di Milano confermava la sentenza del locale Tribunale con cui era stata dichiarata la nullità delle clausole appositive dei termini ai contratti di lavoro stipulati tra la società ed i seguenti dipendenti:

SI.: dal 2.6 al 30.9.97; dal 1.7 al 30.9.00 “per la necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno settembre”, art. 8 c.c.n.l. 26 novembre 1994); dal 1.2.01 al 31.5.01 ex art. 25 del c.c.n.l. 11 gennaio 2001.

P.: dal 26.6.01 al 30.9.01 e dal 1.2.02 a 30.4.02 ex art. 25 del citato c.c.n.l. 2001.

F.: dal 30.4.02 ex art. 25 del medesimo c.c.n.l. 2001, ed inoltre dal 1.10.02 al 31.12.02 in base al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1.

A.I.: dal 31.1.99 al 12.1.00 ex art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1993 e successivi accordi sindacali.

G.: dal 2.10.98 al 31.1.99; dal 5.10.99 al 31.12.99 e dal 1.3.00 al 30.6.00 ex art. 8 del medesimo c.c.n.l..

Dichiarava conseguentemente l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dalla date in dispositivo stabilite, con condanna della società Poste al pagamento delle retribuzioni dal momento della costituzione in mora.

In parziale riforma della sentenza di primo grado, la Corte d’appello condannava la società a riammettere in servizio il S. anzichè a reintegrarlo nel suo posto di lavoro.

2. – Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società Poste affidato a quattordici motivi, poi illustrati con memoria.

Resisteva il solo S. con controricorso, poi illustrato con memoria, mentre gli altri restavano intimati.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. -Deve pregiudizialmente dichiararsi l’inammissibilità del ricorso nei confronti di S.U. e A.I.P., per sopravvenuto difetto di interesse a seguito di transazione stragiudiziale della controversia tra le parti.

4. -Con i primi quattro motivi la società Poste denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23; della L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 2; dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994 e dei successivi accordi sindacali in materia (25.9.97, 18.1.98, 27.4.98 2.7.98 e 18.1.01) in relazione all’art. 1362 e segg. c.c., posto che i contratti a tempo determinato in questione vennero stipulati ai sensi delle clausole collettive adottate in base alla L. n. 56 del 1987, art. 23 contenente una delega amplissima alle parti sociali circa la individuazione di nuove e diverse ipotesi di assunzione a tempo determinato, con conseguente inapplicabilità del principio di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 1; nonchè contraddittoria ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, relativamente alla circostanza della ritenuta scadenza temporale di efficacia (al 30 aprile 1998) degli accordi sindacali citati.

5. – Le censure, da trattarsi congiuntamente stante la loro stretta connessione, risultano infondate.

La corte di merito non ha infatti dubitato della facoltà delle parti sociali di prevedere liberamente nuove ipotesi di assunzione a termine in base all’ampia delega contenuta nella L. n. 56 del 1987, art. 23 che tuttavia si inserisce nella cornice normativa di cui alla L. n. 230 del 1962 (cfr. per tutte, Cass. 10 aprile 2006 n. 8294), ove il principio della conversione del contratto era esplicitamente prevista.

Il principio è stato del resto affermato anche con riferimento alla nuova disciplina di cui al D.Lgs n. 368 del 2001, che, com’è noto, non prevedeva (almeno sino alla modifica introdotta dalla L. n. 247 del 2007, art. 39) analoga norma (Cass. 21 maggio 2008 n. 12985; C. Cost. 14 luglio 2009 n. 214). Per il resto occorre osservare che le assunzioni a termine sono state effettuate in base all’accordo 25 settembre 1997, integrativo del c.c.n.l. 26 novembre 1994, che autorizzava, L. n. 56 del 1987, ex art. 23 la stipulazione di contratti di lavoro subordinato a tempo determinato per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in relazione alla trasformazione giuridica dell’ente, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane. Nella stessa data, veniva stipulato un Accordo attuativo per assunzioni con contratto a termine, secondo il quale le parti si davano atto che, fino al 31 gennaio 1998, l’impresa si trovava nella situazione di cui al punto che precede (clausola “madre”, di cui sopra) dovendo affrontare di processo di trasformazione della sua natura giuridica con conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di trattativa. Successivamente, l’accordo attuativo per assunzioni con contratto a termine, siglato il 16 gennaio 1998, riporta la stessa dicitura del primo accordo attuativo, stabilendo che in conseguenza di ciò e per far fronte alle predette esigenze si potrà procedere ad assunzioni di personale straordinario con contratto a tempo determinato fino al 30 aprile 1998.

In data 27 aprile 1998 viene stipulato un Accordo modificativo dell’art. 14 c.c.n.l. comma 4 (si tratta del c.c.n.l. 26.11.1994), con il quale, oltre che estendere anche al mese di maggio le assunzioni per il periodo di ferie, le parti prendono atto, inoltre, che l’azienda dopo l’avvenuta trasformazione in S.p.A., si trova a dover fronteggiare esigenze imprevedibili e contingenti scaturite dai nuovi processi di ristrutturazione e riorganizzazione. Per fronteggiare tale esigenze, si conviene che l’Azienda disporrà la proroga di 30 giorni dei rapporti di lavoro a termine in scadenza al 30 aprile 1998, così come previsto dalla normativa vigente in materia. Nel settembre 1998, infine, interviene l’accordo relativo al Part-time “Addendum all’art. 7 c.c.n.l. 26 novembre 1994”, con il quale viene modificata l’originaria disciplina collettiva sui contratti di assunzione a tempo determinato e parziale, e si stabilisce altresì che le assunzioni di cui trattasi avvengono in applicazione dell’accordo sottoscritto in data 25 settembre 1997 come successivamente integrato che si intende pertanto prorogato a tutto il 31 dicembre 1998.

Questa Corte, pur avendo chiarito l’ampiezza della delega alle parti sociali contenuta nella L. n. 56 del 1987, art. 23 (per tutte, Cass. sez. un. n. 4588 del 2006) ha ripetutamente affermato (ex plurimis, Cass. 9 giugno 2006 n. 13458, Cass. 20 gennaio 2006 n. 1074, Cass. 3 febbraio 2006 n. 2345, Cass. 2 marzo 2006 n. 4603) che negando che le parti collettive, con l’accordo del 25 settembre 1997, avessero inteso introdurre limiti temporali al ricorso ai contratti a termine, si dovrebbe concludere che gli accordi attuativi sopra indicati non avrebbero avuto alcun senso, neppure se considerati come meramente ricognitivi. In particolare, se il contratto del 25 settembre 1997 non prevedesse alcun termine di efficacia per la facoltà conferita all’Azienda di stipulare i contratti a termine – essendo questa consentita al definitivo compimento della ristrutturazione – non avrebbe avuto alcun senso stipulare gli accordi attuativi in cui invece un termine risulta indicato; una diversa interpretazione escluderebbe qualunque effetto sia all’accordo attuativo in pari data, in cui si dava atto che l’azienda si trovava in stato di ristrutturazione fino al 31 gennaio 1998, sia al successivo accordo “attuativo” del 16 gennaio 1998, giacchè nulla ci sarebbe stato da “attuare” e nulla da “riconoscere” dal punto di vista temporale.

Ancora minore senso avrebbe avuto la pattuizione contenuta in quest’ultimo accordo per cui ai contratti a termine poteva procedersi fino al 30 aprile 1998, ovvero che la società sarebbe stata specificamente legittimata a ricorrere ai contratti a termine “oltre” la data fissata.

Ne consegue l’illegittimità dei contratti a termine stipulati, per la causale in questione e come nel caso oggetto del presente giudizio, oltre il 30 aprile 1998.

6. – Con il quinto, il sesto ed il settimo motivo la società Poste denuncia, relativamente alla posizione del Si., violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 324, 329, 346 e 436 c.p.c. e art. 2909 c.c., nonchè dell’art. 8 del c.c.n.l. 1994; della L. n. 56 del 1987, art. 23 e artt. 1362 e 1367 c.c., lamentando che il Si. non avrebbe proposto appello, neppure incidentale, in ordine alle prime due assunzioni, dichiarate legittime dal tribunale, avvenute per le necessità del servizio recapito in concomitanza di assenze per ferie del personale nel periodo giugno-settembre.

Lamentava l’odierna ricorrente che la corte di merito ritenne invece, in contrasto con le menzionate norme, di esaminare le questioni, ritenendo illegittimi i contratti per mancanza di specifica prova circa l’effettiva necessità sostitutiva indicata al momento dell’assunzione, non ammettendo peraltro le prove sul punto articolate dalla società.

7. – I motivi, che stante la loro connessione possono essere congiuntamente trattati, risultano inammissibili.

Ed invero, essendo stato dedotto un errar in procedendo che autorizza la Corte ad esaminare gli atti del giudizio di merito (per tutte, Cass. 27 gennaio 2006 n. 1755), deve evidenziarsi che non risultano dai fascicoli di causa gli atti difensivi inerenti il Si., rimasto intimato nel presente giudizio, nè la società ricorrente li ha riprodotti od allegati, in contrasto col principio dell’autosufficienza, impedendo così la valutazione della censura.

8. – Con ottavo motivo la società Poste denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, avendo la corte territoriale ritenuto da una parte che il contratto a tempo determinato stipulato con il F. fosse disciplinato dall’art. 25 del c.c.n.l. del 2001, e, al contempo, fosse illegittimo in base al D.Lgs. n. 368 del 2001.

Con il nono motivo la società Poste denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1 e 11 nonchè della L. n. 56 del 1987, artt. 1 e 11 lamentando che il regime transitorio (art. 11) aveva conservato la piena validità delle clausole pattizie, stipulate in base alla precedente delega legislativa (pag.

44 ricorso), sino alla loro scadenza, sicchè le ipotesi convenute già esistenti erano rimaste efficaci – in base al regime transitorio di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11 – anche a prescindere dalla loro compatibilità con la nuova disciplina (pag. 46 ricorso).

9. – I motivi, che stante la loro connessione possono essere congiuntamente trattati, risultano infondati.

Questa Corte ha più volte chiarito (cfr. da ultimo Cass. 13 luglio 2010 n. 16424), che in materia di assunzioni a termine del personale postale, l’art. 74, comma 1, del c.c.n.l. 11 gennaio 2001 del personale non dirigente di Poste italiane s.p.a. stabilisce il 31 dicembre 2001 quale data di scadenza dell’accordo. Ne consegue che i contratti a termine stipulati successivamente a tale data non possono rientrare nella disciplina transitoria prevista dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11 – che consentiva il mantenimento dell’efficacia delle clausole contenute nell’art. 25 del suddetto c.c.n.l., stipulate ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23 – e sono interamente soggetti al nuovo regime normativo, senza che possa invocarsi l’ultrattività delle pregresse disposizioni per il periodo di vacanza contrattuale collettiva, ponendosi tale soluzione in contrasto con il principio secondo il quale i contratti collettivi di diritto comune operano esclusivamente entro l’ambito temporale concordato dalle parti.

Ne consegue che il contratto con il F., pur stipulato in data 30 aprile 2002 in base all’art. 25 del c.c.n.l. del 2001, doveva effettivamente ritenersi disciplinato dal D.Lgs. n. 368 del 2001, e che la clausola pattizia di cui all’art. 25 del c.c.n.l. del 2001 non poteva essere legittima fonte di alcuna assunzione a termine dopo il 31 dicembre 2001.

10. – Con il decimo e l’undicesimo motivo la società Poste denuncia violazione e falsa applicazione dell’art 1372 c.c., comma 2, lamentando (quanto alle posizioni G. e A.I.) che la corte territoriale aveva erroneamente escluso la denunciata risoluzione del rapporto per mutuo consenso. Deduceva la ricorrente che l’inerte decorso del tempo dal momento della cessazione di fatto del rapporto e la prima reazione da parte del lavoratore era di per sè sufficiente a tal scopo, anche considerato che i medesimi lavoratori avevano reperito altra occupazione successivamente alla scadenza del contratto di lavoro con la società. I motivi risultano infondati.

Questa Corte ha in proposito più volte affermato (cfr. da ultimo, Cass. 11 marzo 2011 n. 5887; Cass. 18 novembre 2010 n. 23319) che in tema di risoluzione del rapporto di lavoro subordinato per mutuo consenso tacito ed al fine della dimostrazione della chiara e certa comune volontà delle parti di porre fine ad ogni rapporto lavorativo, non è di per sè sufficiente la mera inerzia del lavoratore dopo l’impugnazione del licenziamento, o il semplice ritardo nell’esercizio del diritto. Quanto alla mancata valutazione, da parte della corte di merito, del reperimento di altra occupazione, la ricorrente configura l’omesso esame quale error in procedendo (pag. 51 ricorso), omettendo la formulazione del quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c..

Deve in ogni caso evidenziarsi che la stessa ricorrente deduce di aver allegato, nelle precedenti fasi del giudizio, che molti dei lavoratori avevano iniziato una diversa attività lavorativa presso altri datori di lavoro e che tra di essi dovevano certamente annoverarsi anche “gli odierni appellati” (pag. 50 ricorso), caratterizzando così la censura di inammissibile genericità.

11. – Con il dodicesimo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 12 preleggi; art. 1419 c.c.; D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1; art. 115 c.p.c., lamentando che la corte di merito ritenne, anche in caso di applicazione della disciplina di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 possibile convenire il contratto di lavoro con clausola del termine nulla in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, nonostante l’assenza di qualsiasi enunciazione, nel decreto legislativo, di un principio analogo a quello contenuto nella L. n. 230 del 1962, art. 1. Anche tale motivo risulta infondato.

Questa Corte si è più volte pronunciata in materia affermando il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 anche anteriormente alla modifica introdotta dalla L. n. 247 del 2007, art. 39 ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo l’apposizione del termine un’ipotesi derogatoria pur nel sistema, del tutto nuovo, della previsione di una clausola generale legittimante l’apposizione del termine “per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”. Pertanto, in caso di insussistenza delle ragioni giustificative del termine, e pur in assenza di una norma che sanzioni espressamente la mancanza delle dette ragioni, in base ai principi generali in materia di nullità parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina contrattuale, nonchè alla stregua dell’interpretazione dello stesso art. 1 citato nel quadro delineato dalla direttiva comunitaria 1999/70/CE (recepita con il richiamato decreto), e nel sistema generale dei profili sanzionatori nel rapporto di lavoro subordinato, tracciato dalla Corte cost. n. 210 del 1992 e n. 283 del 2005, all’illegittimità del termine ed alla nullità della clausola di apposizione dello stesso consegue l’invalidità parziale relativa alla sola clausola e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (per tutte, Cass. 21 maggio 2008 n. 12985; nello stesso senso, Corte Cost.

sentenza 14 luglio 2009 n. 214).

12. – Con il tredicesimo motivo la società Poste denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1206, 1217, 1219, 2094, 2099 e 2697 c.c., nonchè L. n. 300 del 1970, art. 18 lamentando che, a differenza di quanto ritenuto dalla corte di merito, il lavoratore il cui contratto a tempo determinato sia stato dichiarato nullo, ha diritto alla retribuzione solo dall’offerta delle prestazioni lavorative, tale da integrare una mora accipiendi, neppure integrata dalla domanda di annullamento del licenziamento.

La ricorrente formulava, quindi, il seguente quesito di diritto: “Per il principio di corrispettività della prestazione, il lavoratore – a seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine stipulato – ha diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in mora il datore di lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel rispetto della disciplina di cui all’art. 1206 e segg. cod. civ.”.

Tale quesito risulta del tutto generico e non pertinente rispetto alla fattispecie, in quanto si risolve nella enunciazione in astratto delle regole vigenti nella materia, senza enucleare il momento di conflitto rispetto ad esse del concreto accertamento operato dai giudici di merito (in tal senso, ex multis, Cass. 4 gennaio 2031 n. 80). Del resto è stato anche precisato che “è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie” (Cass. sez.un. 30 ottobre 2008 n. 26020), dovendo in sostanza il quesito integrare (in base alla sola sua lettura) la sintesi logico-giuridica della questione specifica sollevata con il relativo motivo (cfr.

Cass. 7 aprile 2009 n. 8463).

13. -Con il quattordicesimo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1219, 1223, 1227, 2099 e 2697 c.c., lamentando che la corte territoriale omise di valutare che il risarcimento del danno andava quantificato tenendo conto dell’aliunde percepturn e percipiendum.

Ad illustrazione del motivo formulava il seguente quesito di diritto “Se nel caso di accertamento della pretesa illegittimità del termine apposto al contratto di assunzione, il risarcimento dei preteso danno debba in ogni caso essere quantificato considerando l’aliunde perceptum, ovvero il concorso colposo del lavoratore che abbia omesso di ricercare una diversa occupazione.

Il quesito non si sottrae alle censure svolte al punto che precede, sicchè deve dichiararsene l’inammissibilità.

14. -Risultati inammissibili i motivi riguardanti le conseguenze economiche della nullità del termine, neppure potrebbe incidere in qualche modo nel presente giudizio lo ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7in vigore dal 24 novembre 2010.

Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, in via di principio, costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27 febbraio 2004 n. 4070).

In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile (cfr., fra le altre, Cass. 4 gennaio 2011 n. 80 cit.).

Orbene tale condizione non sussiste nella fattispecie.

Il ricorso va pertanto respinto e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso nei confronti di S.U. e A. I.P.. Lo rigetta per il resto. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 6.040,00, di cui Euro 6.000,00 per onorari, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a..

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2011

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