Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15397 del 28/06/2010

Cassazione civile sez. III, 28/06/2010, (ud. 21/05/2010, dep. 28/06/2010), n.15397

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. TALEVI Alberto – Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. AMBROSIO Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26124-2006 proposto da:

A.L., (OMISSIS) elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CERESIO 24, presso lo studio dell’avvocato ACQUAVIVA CARLO,

rappresentato e di leso dall’avvocato MARIS GIANLUCA con delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

NUOVA MAA ASSICURAZIONI SPA (OMISSIS) in persona del Procuratore

ad litem, Dott. C.I., elettivamente domicili atra in

ROMA, VIA L. BISSOLATI 76, presso lo studio dell’avvocato SPINELLI

GIORDANO TOMMASO, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato TEDOLDI LUIGI con delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

S.S., S.N., R.L.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 218/2006 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

Quarta Sezione Civile, emessa il 27/09/2005; depositata il

09/02/2006; R.G.N. 2712/2002;

udita la relazione della causa svolta nei la pubblica udienza del

21/05/2010 dal Consigliere Dott. ANNAMARIA AMBROSIO;

udito l’Avvocato BALDINI GIOVANNI (per delega Avvocato MARES

GIANLUCA);

udito l’Avvocato IANNOCCA RENATO (per delega Avvocato SPINELLI

GIORDANO);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA AURELIO che ha concluso per il rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il presente giudizio ha per oggetto l’opposizione proposta da A.L. avverso il precetto intimatole in data 1-4-1997 da S.N., S.S. e R.L.P. per il pagamento L. 48.856.725 in forza di sentenza della Corte di appello di Milano in data 27-11-1992; con l’atto di opposizione la A. evocava in giudizio innanzi al Tribunale di Milano anche la compagnia di assicurazione s.p.a. NUOVA MAA Assicurazioni (già MAA s.p.a., ora MILANO Assicurazioni s.p.a.), sostenendo che la somma in precetto doveva essere posta interamente a carico della stessa compagnia e contestando, altresì, i conteggi in base ai quali la stessa somma era stata determinata (contestazione quest’ultima, poi, abbandonata).

1.1. Nella sentenza qui impugnata si riassumono le vicende che avevano condotto alla formazione del titolo giudiziale in forza del quale era stata intimato il precetto, nonchè quelle del presente giudizio. In particolare si riferisce che:

1.1.1. la sentenza del 27-11-1992, posta a fondamento del precetto – decidendo in parziale riforma della decisione di primo grado sulla domanda di risarcimento danni da incidente stradale proposta da S.N. e R.L.P. in S., in proprio e quali esercenti la potestà sul figlio S., nei confronti di A.L. e della s.p.a. MAA Assicurazioni (poi NUOVA MAA, ora MILANO Assicurazioni s.p.a.) – aveva liquidato i danni dovuti agli attori, con riferimento alla data della decisione, in L. 52.116.400; inoltre la stessa sentenza – affermata l’ammissibilità dell’eccezione della compagnia di assicurazione volta a far valere il limite del massimale, pari a L. 25.000.000 e accertato, nel contempo, il ritardo della stessa compagnia nell’adempiere alla propria obbligazione risarcitoria con conseguente obbligo di pagamento in favore dei danneggiati del maggior danno ex art. 1224 c.c., comma 2, e degli interessi sul massimale – aveva liquidato a tale titolo la somma in L. 22.754.000 (così corretta la somma di L. 19.720.000 per errore indicata nella stessa sentenza); infine – tenuto conto del parziale pagamento di L. 16.000.000 effettuato dalla s.p.a. MAA nel febbraio 1984, pari alla somma attualizzata di L. 27.200.000 – aveva fissato in L. 24.916.400 (L. 52.116.400 – L. 27.200.000) la somma ancora dovuta ai danneggiati, precisando che s.p.a. la MAA rimaneva obbligata al pagamento in solido con l’ A. sino alla concorrenza di L. 22.754.000;

1.1.2. in data 24-11-1993 la NUOVA MAA, provvedendo ad eseguire detta sentenza, aveva corrisposto la somma di L. 39.746.186 ai danneggiati, i quali avevano dichiarato di accettarla a saldo di ogni pretesa verso la compagnia di assicurazione, riservandosi di agire per il residuo nei confronti dell’assicurata A.;

1.1.3. in data 1-4-1996 i predetti S.N., S. S. e R.L.P. avevano, dunque, provveduto a intimare il precetto di cui in premessa, indicando in L. 48.856.725 la somma residua ad essi ancora dovuta;

1.1.4. nel costituirsi nel giudizio di opposizione a precetto, gli opposti avevano chiesto il rigetto dell’opposizione e, in subordine, in caso di ritenuta mala gestio dell’assicuratore, la condanna della compagnia al pagamento diretto in loro favore delle somme ancora dovute; dal canto suo la NUOVA MAA aveva dedotto che l’obbligazione a suo carico era quella fissata nella sentenza del 27-11-1992 della Corte di appello, passata in giudicato, aggiungendo di aver pagato quanto dovuto, ottenendo quietanza liberatoria dai danneggiati.

1.1.5. con sentenza in data 17-6-2001 l’adito Tribunale – ritenuto che sulla mala gestio della compagnia di assicurazione si era formato il giudicato e che, peraltro, l’efficacia di quest’ultimo non si estendeva ai fatti sopravvenuti alla sentenza e considerato, altresì, che il pagamento della somma di L. 39.748.186 da parte della stessa compagnia era avvenuto in data 24-11-1993 con un ingiustificato ritardo di due anni circa rispetto alla pronuncia della sentenza addebitava alla NUOVA MAA gli interessi maturati tra il 18-3-1992 (data, quest’ultima che – per quanto si evince dalla sentenza impugnata – era quella di deliberazione della sentenza di appello depositata il 27-11-1992) e il 24-11-1993, quantificandoli in L. 9.655.661, così riducendo a L. 39.201.064 la somma in precetto a carico della A..

1.2. La sentenza, gravata da impugnazione in via principale dalla NUOVA MAA e in via incidentale dalla A. (come risulta chiaro dall’epigrafe della sentenza qui impugnata, ancorchè nella parte espositiva della stessa sentenza non se ne dia espressamente atto), era riformata dalla Corte di appello di Milano, la quale, accogliendo con sentenza in data 9-2-2006 l’appello della compagnia di assicurazione, rigettava le domande proposte da A.L., che condannava, in solido con S.S., S.N. e R.L.P., al pagamento delle spese del doppio grado in favore della compagnia di assicurazione.

1.3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione A. L., svolgendo sei motivi, illustrati anche da memoria.

Ha resistito la MILANO Assicurazioni s.p.a., depositando controricorso e chiedendo dichiararsi inammissibili e/o infondati i motivi di ricorso.

Nessuna attività difensiva è stata svolta dagli altri intimati S.S., S.N. e R.L.P..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La decisione impugnata ha escluso qualsiasi obbligazione di manleva della compagnia di assicurazione nei confronti della propria assicurata (anche relativamente all’importo di L. 9.655.661 riconosciuto dal Tribunale a titolo di interessi per il ritardo successivo alla formazione del titolo giudiziale), avendo ritenuto, per un verso, che si fosse formato “giudicato implicito” sulla domanda di mala gestio, fatta valere dalla A. contestualmente alla opposizione a precetto nei confronti dei S. – R. L. e, per altro verso, che la somma versata in data 24-11-1993 dalla compagnia di assicurazione ai danneggiati fosse sufficiente a coprire anche degli interessi maturati successivamente alla formazione del titolo giudiziale sino al pagamento.

Con specifico riferimento alla ritenuta preclusione del giudicato, la decisione impugnata si articola in due principali passaggi argomentativi e precisamente: a) nel rilievo dell’esistenza di un nesso di dipendenza logica tra la “questione” dedotta dalla A. nei confronti della compagnia di assicurazione con l’atto di precetto e quella che era stata oggetto del giudizio proposta dai S. – R.L., atteso che la responsabilità ultra-massimale della s.p.a. MAA era radicata dai danneggiati e dall’assicurata sul medesimo presupposto, rappresentato dal pregiudizio subito per effetto del ritardo nel pagamento dell’indennizzo assicurativo; b) nell’ulteriore considerazione che, nel giudizio di appello, definito con la sentenza 27-11-1992 posto alla base del precetto, la s.p.a.

MAA – sostenendo di essere tenuta solo entro i limiti del massimale di polizza, pari a L. 25.000.000 – aveva “implicitamente” sollevato la questione dell’esistenza della mala gestio; e poichè detta “questione” era stata risolta con efficacia di giudicato con l’affermazione dell’obbligazione della compagnia entro i limiti del massimale, maggiorato da interessi e rivalutazione, risultava precluso alla A. – a parere dei giudici a quibus – la possibilità di far valere “ogni danno ulteriormente ipotizzabile”.

1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia erronea estensione del concetto di “giudicato implicito” alla sentenza della Corte di appello in data 27-11-1992, in violazione del principio che il giudicato si forma sui diritti concretamente oggetto della domanda dedotta in giudizio, nonchè su quelle situazioni che si riconnettono in maniera inscindibile a quel medesimo oggetto del procedimento e deciso da parte del giudice (art. 360 c.p.c., n. 3). A tale riguardo la ricorrente contesta l’esistenza di un nesso di dipendenza tra la “questione” proposta dai danneggiati, che è stata decisa dalla Corte di appello di Milano con la cit. sentenza del 27-11-1992 e quella proposta da essa assicurata con la domanda di manleva, formulata in sede di opposizione a precetto; osserva, in particolare, che si tratta di azioni diverse (di natura extra-contrattuale la prima e contrattuale, invece, la seconda) e distinte dal punto di vista della legittimazione attiva e del petitum, anche se entrambe basate sul grave ritardo della compagnia di assicurazione.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia l’erronea assimilazione della responsabilità per mala gestio nei confronti del danneggiante-assicurato oltre il limite del massimale dell’assicuratore nei confronti del terzo danneggiato ex art. 1224 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Anche il presente motivo si incentra, come il precedente, sulle differenze tra l’azione contrattuale dell’assicurato intesa a far valere la mala gestio del proprio assicuratore con conseguente responsabilità ultra-massimale e quella esperita dal terzo danneggiato al fine di ottenere gli interessi legali e il maggior danno sull’importo del massimale.

1.3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia l’errore in cui è incorsa la Corte di appello nel ritenere che la questione della mala gestio era stata implicitamente dedotta nel giudizio dalla s.p.a. MAA nel procedimento davanti alla Corte di appello di Milano, definito con la sentenza azionata con l’opposto precetto (art. 360 c.p.c., n. 5). Al riguardo parte ricorrente deduce che, nel giudizio di risarcimento danni proposto dai S. – R.L. nei confronti della MAA e di essa assicurata, la compagnia di assicurazione si era limitata a dedurre, in primo grado, di avere assolto l’obbligazione a suo carico con il pagamento di L. 19.000.000 e, solo in subordine, nel secondo grado, aveva eccepito il limite del massimale; osserva che spettava esclusivamente ad essa assicurata far valere l’azione di mala gestio nei confronti della compagnia di assicurazione, cosa che, per l’appunto, aveva fatto contestualmente all’opposizione a precetto, allorchè aveva inaspettatamente ricevuto l’intimazione di pagamento della residua somma di quasi L. 50.000.000; rileva che, di conseguenza, deve ritenersi erronea anche l’ulteriore affermazione nella sentenza impugnata, secondo cui, a fronte della sentenza di appello che aveva limitato l’obbligazione della compagnia di assicurazione nei confronti dei danneggiati all’importo del massimale aumentato da interessi e rivalutazione ex art. 1224 c.c., comma 2, “la questione della sollevata mala gestio avrebbe ben potuto costituire materia di impugnazione” da parte della A., in contrasto con il divieto di cui all’art. 345 c.p.c., comma 1.

1.4. I suddetti motivi, che per l’evidente interconnessione si esaminano congiuntamente, impongono alcune considerazioni di principio in ordine ai due distinti profili di responsabilità dell’assicuratore, configurabili in materia di assicurazione obbligatoria per la R.C.A.. Invero a partire dal noto arresto delle Sezioni Unite (8 luglio 2003 n. 10725) che ha riconsiderato ex novo la problematica, questa Corte ha costantemente ribadito (ex plurimis cfr. sentenze 5/08/2005, n. 16598; 4/02/2005, n. 2276; 22/12/2004, n. 23819) che in tema di assicurazione della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, va distinta l’obbligazione diretta dell’assicuratore nei confronti del danneggiato da quella dell’assicuratore stesso nei confronti del danneggiante-assicurato e va, conseguentemente, distinta l’eventuale ipotesi di cosiddetta mala gestio relativa ai rapporti assicuratore- danneggiato da quella dalla mala gestio riconducibile ai rapporti assicuratore-assicurato.

1.4.1. In particolare la responsabilità ultramassimale dell’assicuratore nei confronti della parte danneggiata (che solo con formula tralaticia si continua a definire mala gestio, trattandosi propriamente di responsabilità da colpevole ritardo) trova titolo in un comportamento dell’assicuratore ingiustificatamente dilatorio, a fronte della richiesta di liquidazione avanzata dal danneggiato, trascorso il termine di cui alla L. n. 990 del 1969, art. 22 (e, attualmente, i termini di cui al D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 145), alla cui scadenza l’assicuratore è da considerarsi in mora, semprechè sia stato posto in grado con la detta richiesta di determinarsi in ordine all’an e al quantum della somma dovuta a titolo di risarcimento. Invero l’assicuratore, in linea di principio, è obbligato verso il danneggiato non oltre il limite del massimale;

tuttavia l’assicuratore stesso, se nell’adempiere la sua obbligazione (che resta un’obbligazione pecuniaria e non si trasforma in debito di valore, qual è l’obbligazione del danneggiante-assicurato) cade in mora, si può trovare ad essere obbligato oltre il limite del massimale, a titolo di responsabilità per inadempimento ex art. 1224 c.c., senza necessità, quindi, di altra prova del danno, quanto agli interessi maturati sul massimale per il tempo della mora ed al saggio degli interessi legali e, oltre questo livello, in presenza di allegazione e prova (se del caso, mediante ricorso a presunzioni) del “maggior danno” di cui al cit. art. 1224, comma 2. Inoltre – proprio perchè la responsabilità da colpevole ritardo, nell’ambito del rapporto tra assicuratore e danneggiato, è fondata sulla costituzione in mora del primo L. n. 990 del 1969, ex art. 22 – ne deriva che, per ottenere la corresponsione degli interessi e rivalutazione oltre il limite del massimale, non è necessario che il danneggiato formuli una specifica domanda, essendo sufficiente che abbia formulate la domanda di integrale risarcimento del danno, che è comprensiva sia della somma rappresentata dal massimale di polizza, sia delle altre somme che possono essere aggiunte per interessi moratori, rivalutazione e spese (Cass. 24/01/2006, n. 1315) ovvero, anche, che abbia richiesto il pagamento degli interessi.

1.4.2. La seconda fattispecie di responsabilità da mala gestio propriamente detta (afferente i rapporti assicuratore- assicurato/danneggiante) trova fondamento nella violazione dell’obbligo dell’assicuratore di comportarsi secondo buona fede o correttezza nell’esecuzione del contratto ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c. ed è configurabile non solo nel caso in cui l’assicuratore, avvalendosi del patto di gestione della lite, la gestisca in modo da arrecare pregiudizio all’assicurato, ma anche nell’ipotesi in cui, senza un apprezzabile motivo, rifiuti di gestire la lite e se ne disinteressi in modo da recare pregiudizio allo stesso assicurato. In tale seconda ipotesi, all’obbligazione nei confronti del danneggiato può aggiungersi, sempre a carico dell’assicuratore, un’ulteriore e diversa obbligazione nei confronti del danneggiante-assicurato, sul quale sia, in definitiva, venuto a gravare l’onere economico del danno provocato dal colpevole ritardo con cui è stato corrisposto l’indennizzo al danneggiato. E poichè tale (maggior) onere deriva dal comportamento tenuto dal suo assicuratore in violazione dei principi di correttezza e buona fede, il danneggiante ben può pretendere il ristoro di tale danno, facendo a sua volta valere quella forma di responsabilità contrattuale, comunemente definita “da mala gestio”, che si differenzia, peraltro, dalle conseguenze della predetta “mala gestio” (impropria) che l’assicuratore subisce nei suoi rapporti diretti con il danneggiato, venendo in questione, nel rapporto con il danneggiante-assicurato, l’ammontare di quanto quest’ultimo si veda costretto a pagare in più rispetto a quello cui sarebbe stato tenuto se l’assicuratore si fosse comportato in buona fede nella gestione del rapporto contrattuale assicurativo, non tralasciando occasioni di pagare per tempo il dovuto. Inoltre in quest’ultima ipotesi – proprio perchè trattasi di inadempimento contrattuale – l’affermazione della responsabilità dell’assicuratore verso il danneggiante-assicurato (a differenza di quanto si è detto per l’affermazione di responsabilità verso il danneggiato) richiede da parte dell’assicurato una specifica domanda nell’atto introduttivo del giudizio per responsabilità per mala gestio, con allegazione e conseguente prova dei comportamenti che la sostanziano.

1.4.3. Merita puntualizzare – dal momento che il ristoro di tale danno si differenzia dalle conseguenze della mala gestio (impropria) che nei rapporti con il danneggiato trova fondamento nella mora – che il danneggiato non può far valere contro l’assicuratore come diritto proprio, il diritto al risarcimento del danno che, nel rapporto contrattuale di assicurazione, deriva all’assicurato dal pregiudizio che l’assicuratore gli cagiona non eseguendo la sua obbligazione in buona fede (mala gestio cd. propria). Per farlo il danneggiato deve agire con l’azione surrogatoria, sostituendosi al proprio debitore che trascura di esercitare quel diritto verso l’assicuratore ex art. 2900 c.c.; solo in tal caso egli può ottenere in suo favore la condanna dell’assicuratore, nei limiti in cui, a seconda dei casi, l’avrebbe potuta ottenere l’assicurato (in termini Cass. 08/07/2003 n. 10725, in motivazione).

1.5. Ciò premesso in via di principio e venendo al caso di specie, si osserva che la sentenza della Corte di appello di Milano in data 27-11-1992, posta alla base del precetto intimate alla A. ha deciso (come si evince dal tenore delle statuizioni riportate nella decisione qui impugnata) sull’azione diretta dei danneggiati, riconoscendo ad essi anche il pregiudizio da ritardo nell’adempimento dell’obbligazione indennitaria, condannando la MAA al pagamento degli interessi e del maggior danno ex art. 1224 c.c. sul massimale assicurato.

1.5.1. Questi i contenuti della sentenza azionata con l’opposto precetto, quali risultanti dalla decisione impugnata, entrambi i passaggi argomentativi in cui si articola la decisione stessa, si rivelano errati.

Innanzitutto non vi è alcun nesso logico indissolubile, tra la questione esplicitamente risolta con la sentenza del 27-11-1992, con il riconoscimento della responsabilità ultra-massimale dell’assicuratore nei confronti del danneggiante e quella proposta dalla danneggiante-assicurata nel presente giudizio di opposizione a precetto.

Vero è che secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr, sentenze n. 9544/2008; n. 28719/2008; n. 5263/1999), il giudicato, formatosi con la sentenza intervenuta tra le parti, copre non solo il dedotto, ma anche il deducibile in relazione al medesimo oggetto, e cioè non soltanto le ragioni giuridiche e di fatto fatte valere in giudizio (cioè il giudicato esplicito), ma anche tutte quelle che, sebbene non dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici essenziali e necessari della pronuncia (giudicato implicito) e, quindi, tutte le questioni che, seppure non espressamente fatte valere in giudizio, si caratterizzano per la loro inerenza ai fatti costitutivi delle domande o eccezioni dedotte in giudizio.

Tuttavia – avuto riguardo ai principi sopra esposti in ordine ai distinti profili di responsabilità dell’assicuratore nei confronti della parte danneggiata e del proprio assicurato e alla diversità per il titolo e per l’oggetto delle obbligazioni ne possono conseguire, oltre che in ordine alla titolarità attiva della relativa azione – è di chiara evidenza che l’accertamento della (eventuale) responsabilità della compagnia di assicurazione, per avere tenuto nei confronti dell’assicurata, un comportamento contrario a buona fede, mancando di tutelare anche gli interessi della stessa assicurata o sottraendosi alla possibilità di farlo, non costituisce affatto un precedente logico essenziale e necessario della pronuncia di responsabilità dello stesso assicuratore nei confronti dei danneggiati per il ritardato adempimento di cui qui si invoca il giudicato.

Invero il giudicato implicito può ritenersi formato solo quando tra la questione risolta espressamente e quella considerata implicitamente decisa sussista non soltanto un rapporto di causa ad effetto, ma un nesso di dipendenza così indissolubile che l’uria non possa essere decisa senza la preventiva decisione dell’altra, poichè, diversamente, ne risulterebbero illegittimamente pregiudicati i diritti delle parti (Cass. 21/05/2007, n. 11672).

Nè rileva che anche la A., al pari dei danneggiati, abbia lamentato il ritardo della compagnia assicuratrice, giacchè la responsabilità dell’assicuratore per ingiustificato ritardo (o colpevole inerzia) nei confronti del danneggiato è fondata solo sulla costituzione in mora; mentre la responsabilità dello stesso assicuratore nei confronti del danneggiante-assicurato si colloca in seno alla disciplina della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione in conseguenza di un comportamento contrario a diligenza e buona fede. Di conseguenza su quest’ultima questione, il giudicato (implicito) non si è affatto formato e la stessa ben poteva venire introdotta nella presente controversia e doveva essere quindi oggetto di specifica pronuncia.

1.5.2. Merita puntualizzare che anche l’altro argomento, secondo cui la mala gestio era stata “implicitamente” introdotta nel giudizio di risarcimento del danno dallo stesso assicuratore, allorchè in appello aveva opposto ai danneggiati il limite del massimale, non giova a sostenere che la questione, che non era stata fatta valere espressamente, era, comunque, inerente ai fatti costitutivi delle domande o eccezioni dedotte in giudizio. Invero l’affermazione è, comunque, errata, sia se la si vuole riferire all’azione di responsabilità da mala gestio (impropria) dei danneggiati, sia che la si riferisca piuttosto, all’azione di responsabilità propriamente detta: quanto alla prima, perchè la responsabilità dell’assicuratore ultra-massimale nei confronti della parte danneggiata, intanto poteva dirsi introdotta nel giudizio di risarcimento danno, in quanto era stata fatta valere (implicitamente o esplicitamente, qui non rileva) dai danneggiati e perchè, in ogni caso, per quanto si è appena detto, il giudicato espresso sul punto non comportava alcuna implicita decisione sull’ulteriore profilo di responsabilità dell’assicuratore; quanto all’altra forma di responsabilità dell’assicuratore nei confronti dell’assicurata, perchè essa avrebbe dovuto essere introdotta nel giudizio dall’assicurata, espressamente allegando l’inadempimento della propria compagnia di assicurazione ed esercitando la relativa azione contrattuale ovvero, anche, ricorrendone i presupposti, avrebbe dovuto essere fatta valere, in via di surroga dai danneggiati (ma non è evidentemente questo il caso che di occupa).

In definitiva – e concludendo sul punto l’eccezione, proposta dall’assicuratore nel secondo grado del giudizio di risarcimento, era volta a contrastare l’azione diretta dei danneggiati, opponendo ad essi il limite del massimale assicurativo; mentre il pregiudizio che è stato riconosciuto, con l’attribuzione (ai danneggiati) degli interessi e del maggior danno da svalutazione monetaria su detto massimale, è quello proprio degli stessi danneggiati, conseguente alla mora nel pagamento, che è cosa diversa dal pregiudizio che l’assicurata è legittimata a far valere, costituito dal maggiore onere economico rispetto a quanto coperto dal massimale assicurativo, derivatole dal comportamento tenuto dall’assicuratore nei suoi confronti, qualora detto comportamento risultasse connotato dalla violazione dei fondamentali principi della correttezza e buona fede.

In definitiva tutti e tre i motivi all’esame vanno accolti, risultando assorbiti gli ulteriori motivi che si incentrano sull’altra (e subordinata) questione della debenza da parte dell’assicuratore degli interessi maturati successivamente alla cit.

sentenza del 27-11-1992, sino alla data del pagamento da parte dell’assicuratore stesso.

La sentenza impugnata va, dunque, cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio alla Corte di appello di Milano in diversa composizione, perchè esclusa la preclusione del giudicato – decida sulla domanda della A. facendo applicazione dei principi sopra indicati.

Anche la regolazione del spese del giudizio di cassazione è rimessa al giudice del rinvio.

PQM

La Corte accoglie i primi tre motivi di ricorso, assorbiti gli altri;

cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione alla Corte di appello di Milano in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 21 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2010

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