Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15393 del 03/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 03/06/2021, (ud. 25/11/2020, dep. 03/06/2021), n.15393

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1374/2015 R.G. proposto da:

M.M., elettivamente domiciliato in Roma, via dei Monti

Parioli n. 48, presso lo studio dell’Avv. Giuseppe Marini, che lo

rappresenta e difende, anche disgiuntamente con l’Avv. Carlo Amato,

giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 840/1/2014 della Commissione Tributaria

Regionale del Veneto, depositata in data 20 maggio 2014;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 novembre

2020 dal Consigliere Dott. Grazia Corradini.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con tre distinti avvisi di accertamento emessi nel 2011 e notificati in data (OMISSIS) la Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Treviso, a seguito di una verifica fiscale eseguita negli anni 2007 e 2008 che aveva ritenuto -sulla base di documentazione extracontabile rinvenuta dalla Guardia di Finanza e delle incongruenze fra i corrispettivi di compravendita dichiarati dalla società per immobili identici o altamente similari, nonchè delle dichiarazioni rese dalla Guardia di Finanza dai compratori di alcune unità abitative in ordine al versamento di parte dei prezzi “in nero” e dell’esito del precedente controllo eseguito per le annualità 2004 e 2005 – la esistenza di ricavi in nero da parte della Srl PROGRAMMA CASALESE, di cui erano soci M.M. al 66,67% e P.S. al 33,33%, esercente l’attività di “lavori generali di costruzione”, accertò per gli anni 2006, 2007 e 2008, per quanto qui interessa, nei confronti di M.M. “in qualità di socio della Società Programma Casalese Srl cessata il (OMISSIS)”, pro quota e limitatamente all’ammontare del patrimonio distribuito in sede di riparto finale, maggiori ricavi, derivanti dalla vendita di immobili, pari ad Euro 156.650 per l’anno 2006, Euro 137.000 per l’anno 2007 ed Euro 114.000 per l’anno 2008 e rideterminò in conseguenza l’IRES, I’IRAP e l’IVA. Con altri tre separati accertamenti emessi nell’anno 2012 e notificati in data (OMISSIS), cui venivano allegati anche gli accertamenti relativi ai redditi della società, l’Ufficio, ritenendo applicabile la presunzione di imputazione dei maggiori ricavi extrabilancio ai soci di società a ristretta base azionaria, accertò poi, nei confronti dei soci M. e P., anche i maggiori redditi ai fini IRPEF per gli stessi anni.

Con distinti ricorsi, successivamente riuniti, M.M. impugnò i sei accertamenti davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Treviso eccependo, quanto agli avvisi relativi ai redditi della società accertati nei suoi confronti quale socio della società estinta, la propria carenza di legittimazione passiva stante la intervenuta cancellazione della società prima della emissione degli avvisi, nonchè la infondatezza delle richieste e la illegittimità delle sanzioni, e, quanto agli accertamenti relativi all’IRPEF sul proprio reddito personale, che la cancellazione pregressa della società rendeva illegittime le richieste, nonchè l’erroneo ammontare delle imposte accertate, la infondatezza delle stesse e la illegittimità delle sanzioni.

La Commissione Tributaria Provinciale di Treviso, con sentenza n. 97/8/2012, accolse tutti i ricorsi rilevando che gli accertamenti non erano mai stati notificati alla società perchè già estinta per cui i soci non potevano essere direttamente responsabili per quanto operato dalla società estinta, mentre l’Ufficio avrebbe potuto chiedere al Registro delle imprese di revocare la dichiarazione di estinzione della società e quindi notificare alla società gli accertamenti a questa relativi e solo successivamente ritenere distribuiti fra i soci i relativi redditi.

Propose appello la Agenzia delle Entrate deducendo: al contrario di quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, sulla base del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36, comma 5, secondo la interpretazione che ne avevano dato anche le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, dopo la estinzione della società gli avvisi di accertamento del reddito societario potevano essere emessi e dovevano essere rivolti ai soci sulla base di un fenomeno di tipo successorio, sia pure sui generis, che coinvolgeva anche i soci in regime di responsabilità limitata, nei limiti della quota ricevuta in sede di liquidazione; i soci rispondevano pertanto, limitatamente all’ammontare del patrimonio societario loro distribuito in sede di riparto finale, delle suddette maggiori imposte, delle sanzioni e degli interessi accertati con gli avvisi di accertamento rettificativi del reddito societario, ai sensi dell’art. 2495 c.c. ed erano altresì obbligati al pagamento di quanto accertato dall’Ufficio con gli avvisi di accertamento IRPEF fondati sulla ristretta base partecipativi e derivanti dagli avvisi di accertamento rettificativi del reddito societario poichè si trattava di presunzione legittima che poteva essere vinta con la prova, che doveva essere fornita dal contribuente, del fatto che i maggiori utili non erano stati distribuiti, ma accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti. La Agenzia delle Entrate ripropose inoltre le difese svolte in primo grado, in risposta ai motivi di ricorso del contribuente, con riguardo alla fondatezza nel merito degli accertamenti.

M.M. oppose che la notifica dell’accertamento a soggetto ormai estinto lo rendeva inesistente e che ciò determinava pure la invalidità dell’avviso notificato al socio, ai fini di una sua personale responsabilità, per mancanza di un valido presupposto.

Con sentenza n. 840/1/2014, depositata in data 20.5.2014, la Commissione Tributaria Regionale accolse l’appello dell’Ufficio e confermò la legittimità di tutti gli accertamenti impugnati compensando fra le parti le spese del giudizio. Rilevò la erroneità della sentenza impugnata poichè non sussistevano i presupposti per la revoca della cancellazione della società che sarebbe stata possibile solo in caso di cancellazione d’ufficio e di successiva prosecuzione della attività sociale, mentre nel caso in esame, così come rilevato dalla Agenzia delle Entrate, dei debiti tributari, nei limiti delle somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione della società estinta, rispondevano i soci, per cui correttamente gli accertamenti relativi all’IRES, all’IRAP ed all’IVA erano stati notificati ai soci quali successori della società che ne rispondevano nei limiti indicati, mentre gli accertamenti notificati ai soci ai fini IRPEF erano diretta conseguenza di quelli emessi in capo alla società. I maggiori redditi societari erano stati poi convincentemente dimostrati dall’Agenzia delle Entrate sulla base di sei specifici elementi, quali: la contabilità “in nero” rinvenuta dalla Guardia di Finanza in una borsa a mani di un dipendente che si stava allontanando dalla sede sociale all’inizio della verifica; i prezzi di unità abitative identiche o similari a quelle cedute e pubblicizzate su una rivista specializzata nel settore immobiliare della zona di operatività della società; i prezzi di rivendita dichiarati dagli acquirenti privati degli immobili; le dichiarazioni di acquirenti circa il versamento di somme “in nero”; le anomalie dei prezzi dichiarati dalla Srl per la vendita di immobili identici ovvero molto simili; gli esiti dei controlli fiscali eseguiti in capo alla società per il precedente biennio 2004 – 2005, mentre la difesa del contribuente si era limitata a sostenere che sarebbero stati applicati i valori OMI, il che non era vero. Il reddito accertato ai fini IRPEF era stato poi correttamente presunto in presenza di una società con soli due soci di cui M. era socio al 66,67%, dal che si desumeva che fosse stato ripartito fra i due soci nello stesso anno di conseguimento ed in proporzione alle quote possedute, mentre il contribuente non aveva fornito alcun elemento idoneo a vincere la presunzione e anche le sanzioni erano state correttamente determinate a fronte di deduzioni del ricorrente in sede di appello che non aveva formulato alcuna esplicita domanda, eventualmente subordinata, in merito agli iniziali motivi di ricorso che erano rimasti assorbiti dalla pronuncia di primo grado.

Contro la sentenza di appello, non notificata, ha proposto ricorso per cassazione M.M., in proprio ed in qualità di soggetto al quale erano stati consegnati gli avvisi di accertamento “in qualità di socio della società Programma Casalese srl – cessata il (OMISSIS)- con atto notificato in data (OMISSIS) affidato a cinque motivi e successiva memoria.

Resiste con controricorso la Agenzia delle Entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente sostiene violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38, 39 e 41, e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per non avere la sentenza impugnata ritenuto la nullità degli avvisi di accertamento relativi all’IRPEF in capo al socio una volta posti in relazione alla nullità della notifica degli avvisi alla società già estinta e quindi al mancato accertamento presupposto.

2. Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 59 e 47, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27, per avere la sentenza impugnata erroneamente calcolato il preteso reddito da capitale in capo al socio, in quanto, a norma dell’art. 59 TUIR, avrebbe dovuto imputare ai fini impositivi esclusivamente il 40% del presunto maggior reddito degli utili relativi alla partecipazione al capitale o al patrimonio della società nell’esercizio in cui erano stati percepiti.

3. Con il terzo motivo lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2495 c.c., del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36 , e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, per avere erroneamente la sentenza impugnata ritenuto validi presupposti degli accertamenti in capo ai soci ai fini IRPEF quelli emessi nei confronti della società e notificati alla società già cancellata attraverso la notifica agli ex soci, mentre invece l’Ufficio avrebbe dovuto, in applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36, onde predisporre un valido presupposto per l’accertamento ai fini IRPEF in capo ai soci, emettere un apposito “atto motivato” da notificare al socio specificando la sua responsabilità nei limiti previsti dall’art. 36, il che non era avvenuto nel caso di specie poichè l’avviso notificato ai soci era una mera trasposizione delle richieste alla società già cessata, senza indicazioni che potessero fare propendere per la notifica al socio ai fini delle individuali responsabilità dello stesso.

4. Con il quarto motivo si duole di violazione e falsa applicazione dell’art. 2495 c.c., del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36, e dell’art. 2697 c.c., sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto che la amministrazione finanziaria potesse fare valere le proprie pretese nei confronti di un soggetto estinto trasferendole sic et simpliciter ai soci attraverso un atto notificato direttamente ai soci, benchè costoro non avessero alcuna legittimazione passiva dopo la estinzione della società nè potessero essere chiamati validamente a rispondere de plano, anche perchè il sig. M. nulla aveva percepito dalla procedura liquidatoria e sarebbe spettato all’Ufficio dimostrare la esistenza di somme percepite dalla liquidazione della società.

5. Con il quinto motivo adduce, infine, violazione falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 7,16,17,5 e 12, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la sentenza impugnata ritenuto che le sanzioni fossero state correttamente determinate, mentre invece la sentenza impugnata avrebbe dovuto dichiarare la nullità degli atti impositivi sul punto per carenza di motivazione in merito alla comminazione della sanzione e del suo importo, non essendo sufficiente il richiamo alla applicazione della sanzione nel minimo ed aveva errato nell’applicare la sanzione all’ex socio per violazioni commesse dalla società in contrasto con la disposizione normativa per cui nelle violazioni punite con sanzioni amministrative “ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa colposa o dolosa”, oltre che nell’omettere di applicare l’istituto della continuazione.

6. Il primo, il terzo ed il quarto motivo possono essere esaminati congiuntamente poichè con essi si deduce, sostanzialmente, talvolta in modo ripetitivo ed altre volte sotto diversi profili della questione, che gli accertamenti nei confronti della società per il preteso utile extrabilancio della stessa erano inesistenti in quanto notificati, dopo la estinzione, a società ormai estinta, anche se indirizzati “ai soci della società cessata in data (OMISSIS)”, in quanto ritenuti successori della società, mentre invece l’Ufficio avrebbe dovuto emettere un atto ad hoc al fine di fare valere la responsabilità del socio per i debiti sociali non liquidati dalla società estinta, con conseguente illegittimità anche dei derivati accertamenti relativi all’IRPEF a carico del socio per inesistenza dell’atto presupposto.

6.1. I motivi, dedotti esclusivamente sotto il profilo della violazione di legge, sono infondati poichè con essi si invocano erronei principi giuridici contrastati dalla giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte, anche a sezioni unite.

6.2. L’attuale approdo giurisprudenziale è nel senso che nel processo tributario, l’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, determina un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono – venendo altrimenti sacrificato ingiustamente il diritto dei creditori sociali – ma si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti “pendente societate”; ne discende che i soci peculiari successori della società subentrano ex art. 110 c.p.c. nella legittimazione processuale facente capo all’ente, in situazione di litisconsorzio necessario per ragioni processuali, ovvero a prescindere dalla scindibilità o meno del rapporto sostanziale, dovendo invece escludersi la legittimazione “ad causam” del liquidatore della società estinta, il quale può essere destinatario di un’autonoma azione risarcitoria ma non della pretesa attinente al debito sociale (v. Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 16362 del 30/07/2020 Rv. 658435 – 01).

6.3. Si tratta di approdo che richiama quanto già affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (4060/10; 4061/10; 4062/10) per cui la cancellazione della società dal registro delle imprese ne determina ipso facto l’estinzione, avendo assunto la formalità della cancellazione a seguito della vicenda riformatrice la medesima efficacia costitutiva che per le società di capitali riveste la formalità dell’iscrizione, e ciò, con un significativo mutamento di rotta rispetto all’orientamento giurisprudenziale prevalente sino ad allora, indipendentemente dall’esaurimento dei rapporti giuridici ad essa facenti capo, peraltro collegato anche al novellato art. 2495 c.c. (nel testo risultante dopo la riforma del diritto societario, attuata dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, la cui entrata in vigore è fissata al 1 gennaio 2004, che qui interessa, trattandosi di estinzione avvenuta nel 2011 nella vigenza del differimento quinquennale degli effetti dell’estinzione della società derivanti dall’art. 2495 c.c., comma 2: v Cass. sez. V, 6743/15, 7923/16, 8140/16; sez. VI-5, 15648/15, 19142/16, 11100/17), con cui questa Corte ha altresì ripetutamente chiarito, con riferimento sia a diverse tipologie di enti collettivi (società di capitali, società di persone, associazioni non riconosciute) che a diverse tipologie di atti (avvisi di accertamento, cartelle di pagamento), che “in tema di contenzioso tributario, la cancellazione dal registro delle imprese, con estinzione della società prima della notifica dell’avviso di accertamento e dell’instaurazione del giudizio di primo grado, determina il difetto della sua capacità processuale e il difetto di legittimazione a rappresentarla dell’ex liquidatore, sicchè eliminandosi ogni possibilità di prosecuzione dell’azione, consegue l’annullamento senza rinvio ex art. 382 c.p.c., della sentenza impugnata con ricorso per cassazione, ricorrendo un vizio insanabile originario del processo, che avrebbe dovuto condurre da subito ad una pronuncia declinatoria di merito” trattandosi di impugnazione “improponibile, poichè l’inesistenza del ricorrente è rilevabile anche d’ufficio (Cass. sez. V, 5736/16, 20252/15, 21188/14), non essendovi spazio per ulteriori valutazioni circa la sorte dell’atto impugnato, proprio per il fatto di essere stato emesso nei confronti di un soggetto già estinto (Cass. sez. V, n. 4778/17, (arg. a contrario n. 4786/17), n. 2444/17; Cass. sez. VI-5, n. 19142/16; v. anche, implicitamente, Cass. Sez. U., n. 3452/17, p.to 1.1; cfr. Cass. nn. 23029/17, 4853/15, 21188/14, 22863/11, 14266/06, 2517/00). Nel contempo le Sezioni Unite hanno peraltro ulteriormente chiarito (SS. UU. 6070/13; 6071/13; 6072/13) che, a seguito dell’estinzione della società, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, viene a determinarsi un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono, il che sacrificherebbe ingiustamente i diritto dei creditori sociali, ma si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti pendente societate.

6.4. Correttamente quindi, nel caso in esame, in cui l’accertamento è intervenuto quando la società (nella specie di capitali) era già estinta, in relazione ad annualità di imposta precedenti alla estinzione (annualità 2006, 2007 e 2008), l’accertamento è stato emesso e notificato non già nei confronti della società estinta o del suo ex liquidatore o amministratore, il che non sarebbe stato consentito, bensì direttamente nei confronti dei soci quali successori ex lege della stessa.

6.5. La tesi del ricorrente per cui l’accertamento in concreto del fenomeno successorio avrebbe imposto un atto ad hoc, diverso dall’accertamento nei confronti dei successori del reddito extracontabile non dichiarato dalla società ormai estinta, non trova fondamento giuridico e la stessa ricorrente la fonda sul rilievo che l’Ufficio avrebbe dovuto specificare quanto ricevuto dai soci in sede di liquidazione onde rendere legittimo l’atto, però l’accertamento, come risulta anche dalla sentenza impugnata, è stato correttamente emesso pro quota e limitatamente all’ammontare del patrimonio distribuito in sede di riparto finale.

6.6. In ogni caso questa Corte ha affermato che la limitazione della responsabilità del socio a quanto riscosso in esito alla liquidazione opera esclusivamente in sede processuale e non incide sulla validità dell’accertamento intestato ai soci quali successori della società già estinta al momento dell’accertamento, come nel caso in esame, considerato che i soci sono sempre destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata ma non definiti all’esito della liquidazione, fermo però restando il loro diritto di opporre al creditore agente il limite di responsabilità riferito all’ammontare di quanto abbiano riscosso in base al bilancio finale di liquidazione (art. 2495 c.c.). Con la conseguenza che ove tale limite di responsabilità dovesse rendere evidente l’inutilità per il creditore di far valere le proprie ragioni nei confronti del socio, ciò si rifletterebbe sul requisito dell’interesse ad agire, che peraltro non è mai stato contestato nel presente giudizio, ma non sulla legittimazione passiva del socio medesimo (così Cass. SU n. 6070 del 2013, cit.; v. anche Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21517 del 20/09/2013 Rv. 628164 – 01).

6.7. Quanto poi ai riflessi sui redditi dei soci ai fini IRPEF dell’accertamento relativo ai redditi extracontabili non dichiarati dalla società per gli anni di imposta 2006, 2007 e 2008, che qui vengono in considerazione, correttamente la sentenza impugnata ha richiamato il consolidato l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte, costituente il diritto vivente, dal quale non si ha motivo di discostarsi in questa sede, per cui l’accertamento del maggior reddito nei confronti di società di capitali a ristretta base partecipativa legittima, addirittura nell’ipotesi di accertamento con adesione, la presunzione di distribuzione degli utili tra i soci, in quanto la stessa ha origine nella partecipazione e pertanto prescinde dalle modalità di accertamento, ferma restando la possibilità per i soci di fornire prova contraria rispetto alla pretesa dell’Amministrazione finanziaria dimostrando che i maggiori ricavi dell’ente sono stati accantonati o reinvestiti (v. Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 32959 del 20/12/2018 Rv. 652116 – 01).

6.9. E’ stato altresì ritenuto che detta presunzione non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza dell’assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, con la conseguenza che, una volta ritenuta operante detta presunzione, spetta poi al contribuente fornire la prova contraria (v. Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 1947 del 24/01/2019 Rv. 652391 – 01; conformi: N. 15824 del 2016 Rv. 640622 – 01). Il che si collega con il principio per cui il socio di società a ristretta base societaria ha l’onere di conoscenza e di controllo degli affari sociali e si può liberare soltanto dimostrando che la conoscibilità gli era stata resa impossibile da fattori straordinari e quali iniziative aveva comunque preso per sopperire a tali situazione, nonchè, qualora volesse addurre la propria estraneità alla gestione sociale, di dimostrare la propria estraneità e la mancanza di ingerenza nella conduzione societaria attraverso una attività concreta di dissociazione (v. Cass. n. 18042 del 2018 rv. 649406; Cass. Sez, 6/5 ordinanza 18042 del 9.7.2018, ex multis); mentre niente di tutto ciò era stato rilevato dal contribuente, come accertato in fatto dalla sentenza impugnata, il che rendeva applicabile la presunzione.

6.10. La tesi del ricorrente per cui la nullità degli accertamenti dei redditi ai fini IRPEF del socio deriverebbe dalla mancanza di un valido accertamento nei confronti della società -in disparte il rilievo che l’accertamento notificato ai soci quali successori della società era valido- è poi ugualmente erronea, sempre alla luce della interpretazione delle disposizioni di cui il ricorrente lamenta la violazione offerta dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in tema di accertamento dei redditi di partecipazione, l’indipendenza dei procedimenti relativi alla società di capitali ed al singolo socio comporta che quest’ultimo, ove abbia impugnato l’accertamento a lui notificato senza addirittura aver preso parte al processo instaurato dalla società, conserva la facoltà di contestare non solo la presunzione di distribuzione di maggiori utili ma anche la validità dell’accertamento, a carico della società, in ordine a ricavi non contabilizzati (v. Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 19013 del 27/09/2016 Rv. 641108 – 01). E ancora questa Corte ha già più volte riconosciuto che l’avviso di accertamento per redditi imputati per trasparenza al socio, in seguito addirittura ad infruttuosa notifica di un precedente atto impositivo ad una società estinta in data antecedente, non è affetto da nullità derivata in conseguenza dell’invalidità della notifica alla società stessa, in quanto in tal caso si realizza un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale le obbligazioni facenti capo alla società si trasferiscono ai singoli soci che ne rispondono illimitatamente o nei limiti di quanto riscosso in seguito alla liquidazione a seconda che, “pendente societate”, fossero illimitatamente o limitatamente responsabili per i debiti sociali (v. da ultimo, Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 16365 del 30/07/2020 Rv. 658648 – 01), cosicchè sarebbe spettato al socio impugnare, eventualmente, anche l’accertamento nei confronti della società per farne valere la illegittimità nel merito.

7. Il secondo motivo, con cui si deduce il preteso errore in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata nel calcolo del preteso reddito da capitale in capo al socio in quanto, a norma dell’art. 59 TUIR, avrebbe dovuto imputare ai fini impositivi esclusivamente il 40% del presunto maggior reddito degli utili relativi alla partecipazione al capitale o al patrimonio della società nell’esercizio in cui erano stati percepiti, presenta in primo luogo ampi profili di inammissibilità per assenza di autosufficienza e di specificità, poichè non indica dove e quando sarebbe stata dedotta la relativa questione in primo grado e non trascrive l’atto che la conterrebbe e non indica poi neppure dove la avrebbe riproposta nel giudizio di appello ed inoltre il motivo è posto sotto il profilo della violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, mentre in realtà si tratterebbe di omessa pronuncia.

7.1. La questione è peraltro anche infondata in base alla giurisprudenza di questa Corte per cui, nel caso che la presunzione di distribuzione degli utili occulti non sia superata, la quota attribuita al socio non può essere considerata al netto delle imposte che la società è tenuta a pagare in quanto, trattandosi di ricavi extracontabili, nessun pagamento di imposte è ipotizzabile in tal caso. E ciò anche con riguardo alla pretesa violazione dell’art. 47 TUIR citato dal ricorrente (sotto il profilo, pur non esplicitato nel ricorso per cassazione, per cui, potendo l’Ufficio recuperare coattivamente l’IRES nei confronti della società, non avrebbe potuto agire per pretendere l’intero importo a titolo di IRPEF dai soci con indebito arricchimento a carico dell’Erario); infatti, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’operatività del divieto di doppia imposizione postula la reiterata applicazione della medesima imposta in dipendenza dello stesso presupposto; tale condizione non si verifica in caso di duplicità meramente economica di prelievo sullo stesso reddito, come quella che si realizza, proprio in caso di partecipazione al capitale di una società commerciale, con la tassazione del reddito sia ai fini dell’IRPEG, quale utile della società, sia ai fini dell’IRPEF, quale provento dei soci, attesa la diversità non solo dei soggetti passivi, ma anche dei requisiti posti a fondamento delle due diverse imposizioni (v. Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13503 del 29/05/2018 Rv. 648690 – 01). In ogni caso manca la prova che le imposte siano state pagate dalla società e non rileva, ai fini della doppia imposizione, il fatto che teoricamente la Agenzia possa perseguire la società se il pagamento in concreto non è avvenuto (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 19687 del 27/09/2011 Rv. 618991 – 01: Nella specie, la S.C. ha escluso sussistesse doppia imposizione in caso di utili extrabilancio corrisposti ai soci da una società di capitale, le cui imposte non erano state pagate dalla società medesima).

7.2. Nè occorre che l’accertamento degli utili extracontabili in capo alla società sia definitivo, stante l’indipendenza del giudizio relativo all’accertamento del reddito del socio (v., per tutte, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 16885 del 11/11/2003 Rv. 568025 – 01). Inoltre questa Corte si è già pronunciata, con un orientamento consolidato, cui deve darsi continuità in questa sede, nel senso che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società a ristretta base familiare, è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili, che, attesa la mancanza di una deliberazione ufficiale di approvazione del bilancio trattandosi di utili occulti, deve ritenersi avvenuta nello stesso periodo d’imposta in cui gli stessi sono stati conseguiti (v, per tutte, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 25468 del 18/12/2015 Rv. 638161 – 01).

8. Il quinto motivo di ricorso, che riguarda il trattamento sanzionatorio, è inammissibile per difetto di specificità e di autosufficienza poichè il ricorrente non trascrive e non indica nè dove nè quando sarebbero state dedotte in primo grado le pretese doglianze. Inoltre non deduce neppure di avere riproposto le doglianze nel giudizio di appello, per cui, trattandosi eventualmente di questioni subordinate poste con il ricorso introduttivo del giudizio e su cui il primo giudice non si era pronunciato, si deve ritenere che vi sia stata rinuncia implicita da parte dell’appellato.

8.1. E’ vero che la parte pienamente vittoriosa in primo grado non ha l’onere di presentare appello incidentale sulle questioni su cui il primo giudice non ha espressamente deciso, però nel processo tributario il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, impone la specifica riproposizione in appello, in modo chiaro ed univoco, sia pure “per relationem”, delle questioni non accolte dalla sentenza di primo grado, siano esse domande o eccezioni, sotto pena di definitiva rinuncia, sicchè non è sufficiente il generico richiamo del complessivo contenuto degli atti della precedente fase processuale (v., per tutte, Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 30444 del 19/12/2017 Rv. 646990 – 01: Nella specie, la S.C. ha affermato che i motivi posti a fondamento del ricorso introduttivo del primo grado di giudizio erano da intendersi rinunciati, essendosi la parte limitata nelle controdeduzioni depositate nel giudizio di appello a richiamare i fatti e agli argomenti esposti nel suddetto ricorso).

8.2. Nel caso in esame, oltretutto, come accertato dalla sentenza di appello, “l’appellato si era limitato, con la costituzione in appello, a rinviare genericamente ai motivi proposti in primo grado e rimasti assorbiti, senza però formulare alcuna esplicita conseguenziale domanda, eventualmente subordinata” e tale seconda ragione giustificatrice autonoma della decisione non è stata impugnata dal ricorrente, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso posto che, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (v. Cass. Sez. 1 -, Sentenza n. 18641 del 27/07/2017 Rv. 645076 – 01).

8.3. In ogni caso, poichè la sentenza impugnata ha pronunciato pure sulla correttezza della applicazione della sanzione, rilevando che “le sanzioni irrogate con i sei avvisi di accertamento in esame appaiono conseguenti ai maggiori ricavi/redditi accertati e correttamente determinate”, il vizio di illegittima comminazione o determinazione della sanzione da parte dell’atto di accertamento non poteva essere dedotto sotto il profilo della violazione di legge, bensì eventualmente sotto quello dell’omesso esame, da parte del giudice, di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione fra le parti”, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

9. In conclusione il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato alla rifusione delle spese del presente giudizio liquidate come in dispositivo. Sussistono, ratione temporis, i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, comma 1 quater, essendo stato il ricorso notificato in data 2.1.2015.

PQM

La Corte:

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 5.600,00 per compensi oltre le spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 25 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2021

 

 

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