Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15392 del 03/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 03/06/2021, (ud. 25/11/2020, dep. 03/06/2021), n.15392

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4833/2014 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

METALSIGMA TUNESI Spa, in persona del legale rappresentante,

rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al

controricorso, dall’Avvocato Marco del Curto del foro di Sondrio ed

elettivamente domiciliato in Roma, via Merulana n. 234, presso lo

studio dell’Avv. Cristina Della Valle;

– Controricorrente –

avverso la sentenza n. 7/42/2013 della Commissione Tributaria

Regionale della Lombardia, depositata in data 28.1.2013;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 novembre

2020 dal Consigliere Dott. Grazia Corradini.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 31/43/2011 la Commissione Tributaria Provinciale di Milano accolse il ricorso proposto dalla Spa METALSIGMA TUNESI contro gli atti di contestazione ed irrogazione della sanzione prevista del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, commi 1 e 2, nella misura del 30% dell’importo eccedente il massimale, relativi ad omessi versamenti diretti di IVA per gli anni 2003 e 2004 con cui l’Agenzia delle Entrate, a seguito di accesso presso i locali della società e conseguente processo verbale di constatazione, aveva contestato alla METALSIGMA di non avere compensato correttamente, mediante deleghe di pagamento con modello di versamento F 24 degli anni 2003 e 2004, i crediti IVA nei limiti imposti dalla normativa vigente, avendo superato il limite annuale di compensazione orizzontale, fissato in Euro 516.456,90.

La Commissione Tributaria Provinciale ritenne fondata la doglianza della contribuente con riguardo alla violazione del principio di legalità per essere il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, diretto a disciplinare le sole ipotesi di omessi versamenti diretti che costituivano situazioni ontologicamente diverse rispetto alla indebita utilizzazione in compensazione di un credito di imposta e che dovesse altresì ritenersi salvo, nella ipotesi considerata, sulla base di una interpretazione complessiva del D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 16 e 17, il diritto del contribuente alla definizione agevolata prevista dal citato art. 16, comma 3.

La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, investita dall’appello della Agenzia delle Entrate che aveva lamentato la insufficienza della motivazione della sentenza della CTG e la erroneità della esclusione della equiparazione fra omesso versamento diretto e compensazione indebita, evidenziando altresì che in tal caso non sussisteva il diritto alla riduzione ad 1/4 prevista dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 16, stante anche la natura sostanziale (e non formale) della violazione ricorrente nella fattispecie e la sua parificazione all’omesso versamento del tributo a fini sanzionatori, lo rigettò con sentenza n. 7/42/2013 depositata il 28.1.2013 e compensò fra le parti le spese del giudizio. Il giudice di appello ritenne che l’indebito superamento della soglia stabilita dal D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 25, costituisse una condotta non assimilabile all’omesso versamento del tributo, il che impediva la applicazione analogica di una sanzione per situazioni diverse, ostandovi il principio di legalità.

Contro la sentenza di appello, non notificata, ha presentato ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate, con atto notificato il 12-13 febbraio 2014, affidato ad un unico motivo.

Resiste con controricorso la Spa MELTALSIGMA TUNESI.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con un unico motivo la Agenzia delle Entrate lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, della L. n. 388 del 2000, art. 34, del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 16, comma 3, e art. 17, comma 3 e del D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 25, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la sentenza impugnata erroneamente escluso la applicabilità della sanzione D.Lgs. n. 471 del 1997, ex art. 13 in caso di superamento della soglia stabilita dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 25, benchè la ipotesi della compensazione orizzontale oltre i limiti previsti dalla legge integrasse una situazione di omesso versamento dell’imposta dovuta, come ormai ritenuto anche dalla Code di Cassazione. D’altronde la violazione poteva essere regolarizzata mediante il versamento di una somma equivalente all’importo indebitamente utilizzato in compensazione maggiorato degli interessi e con il pagamento della sanzione di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, nella misura fissa del 30% dell’importo non versato.

2. Con il controricorso la società MELTALSIGMA TUNESI ha opposto che nella materia sanzionatoria non era applicabile la analogia praeter legem in presenza di condotte diverse, con conseguente violazione del principio di legalità in presenza di violazione meramente formale e dell’art. 183 Dir. IVA n. 2006 del 2012 per cui le normative nazionali in tema di rimborsi non possono ledere il principio di neutralità fiscale. Ha altresì dedotto la illegittimità della sentenza impugnata per omessa pronuncia sulle questioni – ritenute assorbite dal giudice di appello – della violazione del principio di tipicità degli atti amministrativi in relazione al D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 16 e 17, prospettato con il ricorso introduttivo del giudizio, che avrebbe dovuto comportare la possibilità di accedere alla definizione agevolata di cui al citato art. 16, comma 3, e dell’obbligo per la Amministrazione finanziaria di fornire una specifica motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo, su cui ha chiesto che sia la Code di cassazione a pronunciarsi. Ha infine sostenuto la sussistenza del giudicato interno ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, per non avere la Agenzia delle Entrate con l’atto di appello contestato alcunchè sul punto, in ordine alla richiesta della contribuente, dedotta nel giudizio di primo grado, di applicazione del cumulo giuridico D.Lgs. n. 472 del 1997, ex art. 12, comma 5, per le annualità dal 2003 al 2006, con conseguente cassazione della sentenza di appello laddove non aveva riconosciuto tale giudicato.

3. Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate è fondato.

3.1. La quaestio iuris, così come correttamente rilevato dalla Agenzia delle Entrate, è stata risolta da tempo dalla giurisprudenza consolidata di questa Code, di cui non si fa carico la controricorrente, che ha affermato il principio in virtù del quale “in tema d’IVA, l’errata utilizzazione della compensazione in sede di liquidazione periodica, in assenza dei relativi presupposti, non integra una violazione meramente formale, neppure ove il credito d’imposta risulti dovuto in sede di dichiarazione annuale e liquidazione finale, poichè comporta il mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste e determina il ritardato incasso erariale, con conseguente deficit di cassa, sia pure transitorio, nel periodo infrannuale, per cui è sanzionabile ai sensi del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13” (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 16504 del 05/08/2016 Rv. 640780 – 01, che, in applicazione dell’enunciato principio, ha confermato la decisione di merito di rigetto del ricorso del contribuente, che, non avendo presentato tempestivamente istanza di rimborso, aveva operato illegittimamente la compensazione e precedenti e successive tutte conformi: n. 23755 del 20/11/2015 Rv. 637664 – 01; n. 15612 del 27/07/2016 Rv. 640630 – 01; n. 4555 del 22/02/2017 Rv. 643213 – 01; da ultimo v. Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 26926 del 22/10/2019 Rv. 655614 – 01).

3.2. Non vi è stata quindi nel caso in esame alcuna violazione del principio di legalità in tema sanzionatorio, posto che anche l’errata utilizzazione della compensazione (che non è mai stata contestata dalla ricorrente, la quale si è limitata a sostenere che da tale condotta non sarebbe però derivata alcuna sanzione in quanto non espressamente prevista) consiste nel mancato versamento del tributo nel tempo dovuto, a nulla rilevando che la disposizione che prevede le soglie di compensazione non contenga contemporaneamente la sanzione per la condotta di trasgressione, poichè la disposizione sanzionatoria è contenuta nell’apposito D.Lgs. di riforma delle sanzioni tributarie con riguardo alle violazioni in materia di imposte sui redditi, IVA ecc., in virtù di una scelta di tecnica legislativa che concerne la generalità dei tributi. Le argomentazioni di cui innanzi sono poi ulteriormente confermate dall’interpretazione storica dell’art. 13 cit., che, nell’attuale formulazione, successiva alla sua sostituzione ad opera del D.Lgs. n. 158 del 2015, ha positivizzato la detta interpretazione (attuale comma 4).

3.3. Il sistema che prevede un limite massimo alla compensazione dei crediti non può, poi, dirsi – come altrettanto erroneamente sostiene la controricorrente, in contrasto con la disciplina Eurounitaria, atteso che sulla specifica questione è recentemente intervenuta Code giust., 16 marzo 2017, Bimotor s.p.a./Agenzia delle entrate, in causa C-211/16, la quale, fra l’altro in conformità con le precedenti sentenze citate dalla ricorrente (in particolare la sentenza 18 ottobre 2012 nella causa C525/11, Mednis SIA) ha difatti affermato che “l’art. 183, comma 1, Dir. 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, come modificata dalla Dir. 2010/45/UE del Consiglio, del 13 luglio 2010, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che limita la compensazione di taluni debiti tributari con crediti d’imposta sul valore aggiunto a un importo massimo determinato, per ogni periodo d’imposta, a condizione che l’ordinamento giuridico nazionale preveda comunque la possibilità per il soggetto passivo di recuperare tutto il credito d’imposta sul valore aggiunto entro un termine ragionevole”. Ed in proposito questa Corte, all’esito della citata sentenza della Corte di Giustizia, ha già chiarito che la disciplina attuale denota l’esistenza di spazi ordinamentali idonei a consentire un recupero del credito entro un termine ragionevole, potendo essere riportato in compensazione nel successivo esercizio o chiesto a rimborso (si veda, amplius, in motivazione, Cass. sez. 5, n. 18080 del 20017, cit., oltre che, in senso conforme, Cass. sez. 5, n. 31706 del 2018; da ultimo Cass. Sez. 5 Ordinanza n. 26926 del 22/10/2019 Rv. 655614 – 01, già citata sopra).

4. Ne consegue la fondatezza del ricorso della Agenzia delle Entrate.

5. Al contrario, le richieste contenute nei punti 2, 3 e 4 del controricorso – il quale ripropone le subordinate che la contribuente assume di avere presentato in sede di ricorso iniziale e che non erano state prese in esame dal giudice di appello che le aveva ritenute assorbite poichè l’accoglimento del motivo principale del ricorso introduttivo, comportante l’annullamento in radice dell’atto di accertamento o di contestazione, come nel caso in esame, lo esimeva dall’esame dei motivi subordinati che restavano assorbiti – presentano in primo luogo ampi profili di inammissibilità, considerato che non è neppure provato che fossero state riproposte in grado di appello posto che la controricorrente non trascrive il contenuto della costituzione in appello e non indica dove e quando le avrebbe riproposte, mentre si limita a trascrivere: quanto alla prima questione subordinata, il contenuto del ricorso iniziale – pagg. 18 e seguenti del controricorso per cassazione – ed a sostenere, a pagina 21, del tutto genericamente, che nel corso del giudizio di appello avrebbe contestato la tesi dell’Ufficio; quanto al secondo motivo subordinato, la tesi sostenuta nel giudizio di merito – pagg 26 e seguenti del controricorso -, senza indicare quando e dove avrebbe riproposto la questione in appello; e, quanto alla terza richiesta subordinata, la tesi sostenuta nel corso del giudizio di primo grado – pagg. 33 e seguenti del controricorso -.

5.1. Le doglianze – che attengono alla pretesa violazione del principio di tipicità degli atti amministrativi per avere l’Ufficio emesso l’atto di contestazione in luogo della cartella di pagamento che avrebbe consentito la riduzione delle sanzioni ad un quarto (doglianza n. 2); alla violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5 e della L. n. 212 del 2000, art. 10, per omessa motivazione nell’atto impugnato circa l’elemento soggettivo, specie alla luce del contrasto normativo tra la L. n. 388 del 2000, art. 34, e la L. n. 212 del 2000, art. 8, che poteva avere indotto in errore la contribuente (doglianza n. 3) e per essersi formato il giudicato interno sul tema della applicabilità del cumulo giuridico ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, comma 5, per non avere la Agenzia delle Entrate mai mosso alcuna contestazione in merito alla applicabilità della continuazione (doglianza n. 4) – sono peraltro pure infondate.

5.2. Quanto alla pretesa violazione del principio di tipicità degli atti amministrativi, per violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 16 e 17, avendo l’Ufficio provveduto con atto di contestazione, invece che con cartella di pagamento, la cui emissione avrebbe consentito alla società contribuente di ottenere la definizione agevolata delle sanzioni (doglianza n. 2 del controricorso), occorre rilevare che, al contrario di quanto assume la controricorrente, in tema di violazione di norme tributarie la definizione agevolata delle sanzioni non si applica in caso di omesso o ritardato pagamento dei tributi, ravvisabile anche laddove sia stata effettuata compensazione in misura superiore a quella consentita, sia ove la sanzione sia stata irrogata unitamente all’avviso di accertamento sia se sia stata irrogata con un distinto ed autonomo atto, come si desume dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 17, comma 3, ultimo periodo.

5.3. La tesi della controricorrente si pone sul punto in contrasto con la prevalente giurisprudenza della Corte – alla quale si ritiene di dare continuità in questa sede – secondo cui “la definizione agevolata delle sanzioni non si applica in caso di omesso o ritardato pagamento dei tributi, ravvisabile anche laddove sia stata effettuata compensazione in misura superiore a quella consentita, sia ove la sanzione sia stata irrogata unitamente all’avviso di accertamento sia se sia stata irrogata con un distinto ed autonomo atto” (v. Cass. n. 27315 del 2016; n. 17721 del 2009; v. anche Cass. n. 18080 del 2017 che spiega le ragioni di non condivisione della contraria tesi sostenuta da Cass. n. 18682 del 2016, rilevando che “la ratio della norma si individua nel fatto che, in presenza di omissioni di versamenti di imposta, il legislatore ha inteso vietare in ogni caso l’accesso alla definizione agevolata delle sole sanzioni, essendo consentito unicamente di beneficiare di sanzioni determinate ex lege in misura ridotta allorchè il contribuente abbia provveduto al pagamento integrale, nei termini previsti, della somma dovuta a titolo di imposta”; da ultimo, v., infine, nel senso sopra indicato, Sez. 5 -, Sentenza n. 8247 del 04/04/2018 Rv. 647559 – 02).

5.4. La terza doglianza della controricorrente che attiene alla pretesa violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, e della L. n. 212 del 2000, art. 10, per omessa motivazione nell’atto impugnato circa l’elemento della colpa, che avrebbe consentito di verificare la correttezza anche della determinazione in concreto della sanzione, non si confronta ugualmente con la giurisprudenza consolidata di questa Corte per cui la colpa, in materia sanzionatoria tributaria, è presunta, nel senso che “è sufficiente la coscienza e la volontà della condotta, senza che occorra la dimostrazione del dolo o della colpa, la quale si presume fino alla prova della sua assenza, che deve essere offerta dal contribuente e va distinta dalla prova della buona fede, che rileva, come esimente, solo se l’agente è incorso in un errore inevitabile, per essere incolpevole l’ignoranza dei presupposti dell’illecito e dunque non superabile con l’uso della normale diligenza (v., per tutte, Cass. Sez. 5 Sentenza n. 2139 del 30/01/2020 Rv. 656818 – 02). In tema di sanzioni amministrative per violazioni tributarie, ai fini dell’esclusione di responsabilità per difetto dell’elemento soggettivo, grava infatti sul contribuente ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, la prova dell’assenza assoluta di colpa, con conseguente esclusione della rilevabilità d’ufficio, occorrendo a tal fine la dimostrazione di versare in stato di ignoranza incolpevole, non superabile con l’uso dell’ordinaria diligenza (v. ancora, da ultimo, Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 12901 del 15/05/2019 Rv. 653863 – 01). Tanto più che, come rilevato correttamente dalla Agenzia delle Entrate nel ricorso per cassazione, era stata la stessa contribuente ad ammettere la consapevolezza della propria condotta, che aveva asseritamente posto in essere volontariamente nel convincimento che “nessun danno sarebbe derivato all’Erario dalla propria condotta”.

5.5. Si tratta, peraltro, nella specie, di sanzione determinata ex lege in misura fissa, cosicchè la determinazione in concreto del grado della colpa non avrebbe potuto in alcun modo incidere sulla sua misura. Ed anche il rilievo della controricorrente in merito al preteso contrasto normativo tra la L. n. 388 del 2000, art. 34, e la L. n. 212 del 2000, art. 8 (il quale avrebbe consentito la compensazione in materia tributaria senza alcun limite), che avrebbe potuto indurre in errore la contribuente, appare infondato, sol che si consideri che non è in discussione il principio generale di compensabilità dei tributi, previsto dallo statuto dei diritti del contribuente, quanto la possibilità di operare la compensazione oltre il limite annuo previsto dal D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 25, comma 2, che è disposizione che risponde alla ragionevole preoccupazione del Legislatore di “non squilibrare eccessivamente le previsioni di gettito fiscale annuale” (Cass. n. 2215 del 2014) e che è stata ritenuta compatibile anche con l’ordinamento unionale (cfr. Corte di giustizia, sentenza 16 marzo 2017, in causa C211/16, Bimotor).

5.6. Nessuna incertezza normativa era pertanto prospettabile nel caso in esame, anche alla luce della interpretazione giurisprudenziale consolidata di questa Corte per cui, in materia tributaria, il principio secondo cui la compensazione è ammessa, in deroga alle comuni disposizioni civilistiche, soltanto nei casi e con le modalità espressamente previste dalla legge – non potendo derogarsi al principio secondo cui ogni operazione di versamento, di riscossione e di rimborso, ed ogni deduzione sono regolate da specifiche, inderogabili norme di legge – non può considerarsi superato per effetto della L. n. 212 del 2000, art. 8, comma 1, “il quale, nel prevedere in via generale l’estinzione dell’obbligazione tributaria per compensazione, ha lasciato ferme, in via transitoria, le disposizioni vigenti, demandando ad appositi regolamenti (soltanto) l’estensione di tale istituto ai tributi per i quali non era contemplato, a decorrere dall’anno d’imposta 2002” (Cass. n. 17001 del 2013, v. anche Cass. n. 12262 del 2007, n. 22872 del 2006).

5.7. In relazione alla quarta doglianza della controricorrente è poi appena il caso di rilevare che nel processo tributario, nell’ipotesi di ricorso contro un atto impositivo o di contestazione, il principio di non contestazione non implica a carico dell’Amministrazione finanziaria, a fronte dei motivi di impugnazione proposti dal contribuente, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato mediante l’atto impositivo, in quanto detto atto costituisce nel suo complesso, nei limiti delle censure del ricorrente, l’oggetto del giudizio (v. Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 19806 del 23/07/2019 Rv. 654953 – 01).

5.8. Il principio di non contestazione opera anche nel processo tributario, nell’ambito del quale, tuttavia, deve essere coordinato con quello, correlato alla specialità del contenzioso, secondo cui la mancata specifica presa di posizione dell’Ufficio sui motivi di opposizione alla pretesa impositiva svolti dal contribuente in via subordinata non equivale ad ammissione dei fatti posti a fondamento di essi, nè determina il restringimento del “thema decidendum” ai soli motivi contestati, posto che la richiesta di rigetto dell’intera domanda del contribuente consente all’Ente impositore, qualora le questioni da questo dedotte in via principale siano state rigettate, di scegliere, nel prosieguo del giudizio, tra tutte le possibili argomentazioni difensive rispetto ai motivi di opposizione (v. da ultimo, Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 7127 del 13/03/2019 Rv. 653319 – 01). Con la conseguenza che la eventuale omessa contestazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, con la costituzione in primo grado, della sussistenza dei presupposti per la applicazione della continuazione non potrebbe avere determinato il giudicato interno sulla questione.

6. In definitiva, in accoglimento del ricorso della Agenzia delle Entrate, non essendo necessarie ulteriori indagini, la sentenza impugnata deve essere pertanto annullata, con conseguente rigetto dei ricorsi iniziali della contribuente.

8. Ferma restando la regolazione delle spese dei due gradi di merito già disposta dalla sentenza impugnata che le ha compensate integralmente fra le parti, consegue all’accoglimento del ricorso per cassazione della Agenzia delle Entrate la condanna della controricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta gli iniziali ricorsi della contribuente. Condanna la controricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore della Agenzia delle Entrate che liquida in Euro 8.000,00 per compensi oltre le spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 25 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2021

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