Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15391 del 20/07/2020

Cassazione civile sez. II, 20/07/2020, (ud. 27/02/2020, dep. 20/07/2020), n.15391

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21011/2019 proposto da:

G.E., rappresentato e difeso dall’Avvocato MASSIMO GILARDONI ed

elettivamente domiciliato presso la Cancelleria della Corte di

Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 è

domiciliato;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 2638/2019 del TRIBUNALE di BRESCIA depositato

il 22/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/02/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

G.E., cittadino (OMISSIS), proponeva opposizione avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale, chiedendo il riconoscimento di una qualche forma di protezione internazionale e, in subordine, il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il ricorrente dichiarava di essere cittadino nigeriano, nato e cresciuto ad (OMISSIS) e di essere cristiano; aveva studiato 8 anni fino alla scuola secondaria non terminandola ed aveva svolto lavori di falegname e carrozziere; aveva lasciato il proprio paese in quanto, alla morte del fratello, appartenente alla setta degli (OMISSIS), egli avrebbe dovuto prenderne il posto e, secondo quanto deciso dal consiglio di famiglia, avrebbe dovuto sposare, come prescriveva la tradizione, la vedova del proprio fratello; rifiutate ambedue le richieste, era stato malmenato dai propri cugini, anch’essi appartenenti alla citata setta come gli altri familiari maschi; era così fuggito in Edo State presso un amico, il quale l’aveva condotto in un luogo ove il richiedente aveva incontrato alcuni giovani che gli avevano dato il benvenuto in un’altra setta, denominata (OMISSIS); rifiutandosi anche questa volta, si era rifugiato in una casa abbandonata dove era stato soccorso da un uomo che lo aveva condotto in Libia perchè lo aiutasse in un ristorante di sua proprietà; dalla Libia si era imbarcato per l’Italia raggiungendola il 31.8.2016.

Si costituiva in giudizio il MINISTERO dell’INTERNO, richiamando il contenuto del verbale di audizione del richiedente, nonchè le argomentazioni del provvedimento di rigetto, senza ulteriori argomentazioni in fatto e in diritto.

Con decreto n. 2638/2019, depositato in data 22.5.2019, il Tribunale di Brescia rigettava il ricorso.

Così per la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, poichè nel racconto del richiedente non risultavano i motivi di persecuzione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8; così per la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b). Per il Tribunale non risultava attendibile la pretesa richiesta di affiliazione forzosa alla società segreta degli (OMISSIS). Infatti, le informazioni disponibili su tale società non menzionavano la possibilità di un’affiliazione coattiva (salvo casi molto rari in cui, per l’appartenenza alla setta di un familiare o per altra ragione, il soggetto cooptato sia venuto a conoscenza di segreti, ipotesi non rinvenibile nella fattispecie). In secondo luogo, l’appartenenza alla suddetta setta dipende da vari fattori, tra cui quello socio economico e in genere i suoi membri appartengono all’èlite nigeriana. Tali informazioni contrastavano con la condizione sociale del richiedente, il quale aveva studiato soltanto 8 anni, senza completare le scuole superiori e svolgeva il lavoro di falegname e carrozziere, sicchè lo stesso non proveniva da una famiglia particolarmente benestante.

Del pari andava rigettata la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), atteso che non risultava che nella zona d’origine del richiedente, cioè il Delta State, sussistesse una situazione di violenza generalizzata. In tale regione non erano segnalati scontri armati riconducibili a (OMISSIS) o gruppi terroristici. Anzi i reports internazionali riferivano che il Delta State fosse un territorio stabile dove non si segnalavano episodi di violenza generalizzata.

Infine, il Tribunale rigettava anche la domanda diretta a ottenere un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Ritenuta applicabile la disciplina previgente alla L. n. 132 del 2018, in base al principio di irretroattività della legge, il Tribunale sottolineava che il ricorrente non si trovava in una condizione di vulnerabilità soggettiva nè oggettiva.

Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione G.E. sulla base di due motivi; resisiste il Ministero dell’Interno con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorrente, in via preliminare, “chiede di sollevare questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, così come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, n. 3 septies, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1; art. 24 Cost., commi 1 e 2; art. 111 Cost., commi 1, 2 e 7, “nella parte in cui stabilisce che il procedimento è definito, con decreto non reclamabile, entro 60 giorni dalla presentazione del ricorso””, poichè detta normativa elimina il doppio grado di giudizio, nonostante la materia riguardi i diritti fondamentali, rimovendo ogni possibilità di correggere errori relativi all’accertamento dei fatti in cui possa essere incorso il Tribunale.

1.1. – Va rilevato che il principio del doppio grado di giurisdizione è privo di copertura costituzionale (ex plurimis Corte Cost. n. 433 del 1990; Corte Cost. n. 438 del 1994). Ed in effetti, il principio del doppio grado non opera affatto, in una pluralità di ipotesi, già nel procedimento di cognizione ordinaria, e ciò non soltanto nel caso delle controversie destinate a svolgersi in unico grado, ma anche in quelle di regola sottoposte a tale principio, come nel caso della nullità della sentenza di primo grado, nelle numerosissime ipotesi estranee alla previsione degli artt. 353-354 c.p.c., in cui il giudice di appello deve, per la prima volta in tale sede, decidere il merito della controversia; nel caso della (fondata) denuncia in appello del vizio di omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado; nel caso della domanda correttamente non esaminata dal primo giudice perchè dichiarata assorbita; nel caso del ricorso per cassazione per saltum, eccetera. A maggior ragione il legislatore può sopprimere l’impugnazione in appello al fine di soddisfare specifiche esigenze, massime quella della celerità (basti considerare, a mero titolo di esempio, le diverse ipotesi in cui l’appello è escluso nel giudizio fallimentare), esigenza quest’ultima intuitivamente decisiva per i fini del riconoscimento della protezione internazionale.

Con specifico riguardo alla quale, poi, se per un verso non può mancare di considerarsi il rilievo primario del diritto in contesa, deve per altro verso sottolinearsi, ai fini della verifica della compatibilità costituzionale della eliminazione del giudizio di appello, che il ricorso in esame è preceduto da una fase amministrativa, destinata a svolgersi dinanzi ad un personale dotato di apposita preparazione, nell’ambito del quale l’istante è posto in condizioni di illustrare pienamente le proprie ragioni attraverso il colloquio destinato a svolgersi dinanzi alle Commissioni territoriali, di guisa che la soppressione dell’appello si giustifica anche per il fatto che il giudice è chiamato ad intervenire in un contesto in cui è stato già acquisito l’elemento istruttorio centrale – per l’appunto il detto colloquio – per i fini dello scrutinio della fondatezza della domanda di protezione, il che concorre a far ritenere superfluo il giudizio di appello (Cass. n. 27700 del 2018; cfr. ex plurimis Cass. n. 2403 del 2020; Corte giust. 26.07.2017, Moussa Sacko).

1.2. – E’ dunque “manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, artt. 24 e 111 Cost., nella parte in cui stabilisce che il procedimento per l’ottenimento della protezione internazionale è definito con decreto non reclamabile in quanto è necessario soddisfare esigenze di celerità, non esiste copertura costituzionale del principio del doppio grado ed il procedimento giurisdizionale è preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione” (così, da ultimo, Cass. n. 6268 del 2020).

2.1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in combinato disposto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8”, deducendo che il Tribunale aveva formato il proprio convincimento esclusivamente sulla base della credibilità del richiedente e sulla compatibilità del fumus persecutionis a suo danno nel paese di origine, essendo invece tenuto a verificare le condizioni di persecuzione sulla base di informazioni esterne e oggettive relative alla situazione reale del paese di provenienza.

2.2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la “Violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in combinato disposto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2”, giacchè il Tribunale non avrebbe considerato che la condizione di vulnerabilità presuppone un giudizio di bilanciamento tra il grado di inserimento sociale raggiunto e la condizione di provenienza, avuto riguardo al diritto di condurre una vita dignitosa.

3. – In considerazione della loro stretta connessione logico-giuridica, i motivi vanno esaminati e decisi congiuntamente.

3.1. – I motivi sono inammissibili.

3.2. – Quanto alla protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c), il Tribunale di Brescia ha evidenziato come nessuno dei siti di informazione internazionale più accreditati riferisse di una situazione di conflitto armato generalizzato che determini una situazione di violenza diffusa nell’intero territorio della Nigeria, come tale integrante una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona con riferimento a tutti i soggetti abitanti nella suddetta regione; non avendo alcun specifico rilievo in parte qua l’asserito condizionamento che i cult esercitano nell’amministrazione dello Stato e soprattutto tra le forze di polizia. Peraltro, l’esame congiunto delle dichiarazioni rese avanti alla Commissione Territoriale e di quelle rese in udienza portavano a ritenere che la vicenda narrata dal richiedente non fosse credibile implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (Cass. n. 32064 del 2018), suscettibile di essere censurato in sede di legittimità a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. n. 30105 del 2018), oltre che per assenza di motivazione (nel senso precisato da Cass., sez. un., n. 8053 e n. 8054 del 2014).

3.3. – Quanto alla prospettata vulnerabilità, rilevante ai fini della domandata concessione della protezione umanitaria, il Tribunale ha rimarcato che la valutazione, dirimente, di soggettiva inattendibilità del richiedente (basata su plurimi elementi di giudizio, specificamente indicati nel corpo del provvedimento) ne precludeva il riconoscimento. Laddove l’accertata non credibilità del racconto del ricorrente esclude la possibilità di correlare alle vicende da lui narrate a un qualche profilo di vulnerabilità.

D’altro canto, come detto, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, che è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. n. 3340 del 2019): puntuali doglianze nel senso testè indicato non sono state tuttavia formulate.

Pertanto, correttamente, il Tribunale ha escluso sia che il ricorrente non si trovasse in una condizione di vulnerabilità soggettiva (godendo egli di buona salute e di piena capacità lavorativa, avendo lavorato nel paese d’origine e avendo partecipato ad attività di volontariato in Italia; laddove, l’asserita assenza di familiari nel paese d’origine, considerata l’età del richiedente, non poteva certo far ritenere sussistente una situazione di vulnerabilità soggettiva). Sia dal punto di vista oggettivo, giacchè seppre situazione della Nigeria presenta certamente più di una criticità sotto il profilo del rispetto dei diritti fondamentali della persona, tali criticità, specie nel Delta State, non risultano tali da dar luogo ad emergenza umanitaria.

4. – Il ricorso va pertanto dichiarato inammisibile. Nulla per le spese nei riguardi del Ministero dell’Interno, che ha proposto controricorso privo dei requisiti di cui all’art. 366 c.p.c., ex art. 370 c.p.c.. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2020

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