Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15386 del 26/07/2016


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Cassazione civile sez. VI, 26/07/2016, (ud. 17/03/2016, dep. 26/07/2016), n.15386

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13496-2014 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE SOCIALE, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO,

rappresentato e difeso dagli avvocati CLEMENTINA PULLI, EMANUELA

CAPANNOLO, MAURO RICCI giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

C.T., CI.LE.IS.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 1374/2013 della CORTE D’APPELLO di BARI del

18/03/2013, depositata il 21/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/03/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA PAGETA;

udito l’Avvocato Clementina Pulli difensore del ricorrente che si

riporta agli scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

C.T. e Ci.Is.Le., quali eredi di Ci.Fr., impugnavano la sentenza di primo grado che aveva accolto la domanda del dante causa intesa al la conferma dell’assegno ordinario di invalidità – conferma negata in sede amministrativa – deducendo: a) omessa pronuncia sulla domanda di interessi anatocistici; b) violazione dei minimi tariffari nella liquidazione delle spese; c) erronea condanna al pagamento della prestazione a far data dal 12 settembre 1996; d) necessità che la condanna andasse riferita, in seguito al decesso del dante causa, avvenuto il 14 dicembre 2005, ai ratei maturati e non riscossi fino a tale momento.

La Corte di appello di Bari, in parziale accoglimento del gravame, ha condannato l’INPS al pagamento in favore delle appellanti dei ratei maturati dell’assegno ordinario di invalidità spettante al dante causa a decorrere dal 27 marzo 1999 sino al decesso, oltre accessori, al pagamento degli interessi anatocistici sugli interessi liquidati sulla sorte capitale a decorrere dalle domande giudiziali e alla rifusione di un terzo delle spese di lite del doppio grado, come in dispositivo determinate, spese che ha compensato nel residuo.

Per quel che ancora rileva, il decisum del giudice d’appello è stato fondato sulle seguenti considerazioni:

è infondata la eccezione con la quale l’INPS ha dedotto la estinzione, per tardività della riassunzione, del processo, interrotto all’udienza del 21 maggio 2012 e riassunto con ricorso depositato il 28 dicembre 2012. Premesso che la interruzione del processo è scaturita dalla sospensione del difensore dall’Albo professionale, sospensione cessata in data 19 settembre 2012, il dies a qua di decorrenza del termine per la riassunzione, anche alla luce della sentenza costituzionale n. 139 del 1967, non può farsi coincidere con quello del verificarsi dell’evento internntivo, occorrendo che, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, di tale evento la patte abbia avuto conoscenza legale. Nel caso di specie, poichè la parte rappresentata, non presente all’udienza nel corso della quale è stata disposta la interruzione del processo, non ha avuto legale conoscenza dell’evento (sospensione dall’Albo professionale) relativo al proprio procuratore, tale termine non è mai iniziato a decorrere. La riassunzione deve quindi ritenersi tempestiva in base alla pacifica e comunque documentata scansione temporale del procedimento amministrativo (presentazione tempestiva, in data 12 settembre 1996, della domanda di conferma dell’assegno, proposizione in data 26 marzo 2007 rectius 1997 n d r) del ricorso amministrativo avverso il diniego di conferma, deposito, in data 27 mano 2002 della domanda giudiziale,) si è verificata decadenza dal diritto ai ratei pregressi maturati fino al triennio antecedente il ricorso di primo grado, per cui l’INPS è tenuto a corrispondere i soli ratei decorrenti dal 27 marzo 1999 fino al decesso del dante causa delle appellanti.

Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso l’INPS sulla base di due motivi. La parte intimata non ha svolto attività difensiva.

Il Consigliere relatore, nella relazione depositata ai sensi dell’art. 80 bis cod. proc. civ., ha concluso per il rigetto del ricorso; in particolare ha ritenuto manifestamente infondato il primo motivo di ricorso e inammissibile, per difetto di autosufficienza, il secondo motivo.

Il Collegio condivide la proposta del relatore e le argomentazioni svolte nella relazione a sostegno della manifesta infondatezza del primo motivo. Ritiene invece che il secondo motivo debba essere respinto per ragioni attinenti al merito, in quanto il rilevato difetto di autosufficienza segnalato nella relazione appare comunque superabile alla luce del complessivo esame del ricorso.

In merito al primo motivo di ricorso si premette che l’INPS ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 301 e 305 c.p.c., in relazione all’art. 161 c.p.c. nonchè nullità della sentenza e del procedimento. Ha premesso che, come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, nell’ipotesi di interruzione del processo a seguito di provvedimento di sospensione del procuratore dall’esercizio della professione, per la prosecuzione del processo, una volta terminato il periodo di sospensione, non è necessaria una nuova procura alla lite nè una nuova costituzione in giudizio ma basta che il procuratore, già regolarmente costituito prima della sospensione, riprenda a svolgere le proprie funzioni in base alla precedente procura cd alla già esperita costituzione, entrambe divenute nuovamente valide ed efficaci in seguito alla cessazione della sospensione (v. Cass. n. 1010 del 1969, Cass. n. 24997 del 2010). Ha quindi argomentato che al fine del decorso del termine per la riassunzione, non è necessario che la parte rappresentata abbia conoscenza legale dell’evento che aveva colpito il proprio procuratore, stante l’onere a carico di questi di provvedere alla prosecuzione del giudizio nel termine decadenziale di cui agli artt. 301 e 305 c.p.c., una volta venuta meno la sospensione. Nel caso di specie, quindi, essendo intervenuta la revoca del provvedimento di sospensione con effetto dal 20 settembre 2012 ed avendo il procuratore conservato lo ius postulandi ben avrebbe potuto riassumere il giudizio nel termine di sei mesi dalla relativa interruzione avvenuta in data 4 aprile 2012 ed acclarata con ordinanza del 21 maggio 2012. In ragione di tali presupposti il ricorso in riassunzione depositato il 28 dicembre 2012 risultava tardivo.

Con il secondo motivo di ricorso ha dedotto violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 come sostituito dal D.L. n. 384 del 1992, art. 4 conv. in L. n. 438 del 1992 e del D.L. n. 103 del 1991, art. 6 conv. in L. n. 1661 del 1991. Ha sostenuto che, alla luce dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, poichè l’azione giudiziaria era stata proposta quando già era maturata la decadenza, per decorso del termine triennale dall’esaurimento del procedimento amministrativo, si era verificata l’estinzione del diritto a tutti i ratei pregressi e la inammissibilità della domanda volta ad ottenerli; la sentenza impugnata era pertanto censurabile nella parte in cui aveva riconosciuto il diritto ai ratei di pensione maturati nei tre anni precedenti il deposito del ricorso giudiziale.

Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Si premette che, come correttamente riportato in ricorso, la giurisprudenza di questa Corte, con riferimento all’ipotesi di interruzione del processo conseguente a provvedimento di sospensione del procuratore dall’esercizio della professione, ha ritenuto non necessario, al fine della decorrenza del termine di riassunzione, che l’evento interruttivo fosse portato a conoscenza della parte rappresentata. E’ stato infatti osservato che “la temporaneità che connota la sospensione dall’Albo professionale e la differenzia dagli altri, menzionati eventi interruttivi, diversifica i riflessi che essa produce sul processo interrotto per effetto del suo avveramento e segnatamente modi e tempi per la sua ripresa, in ordine alla quale il dies a quo può ben essere diverso per una parte rispetto all’altra (cfr, ex multis, Cass. 201003085; 200705348), ma non anche diversificato tra la parte ed il suo difensore. Ciò sul rilievo che “Per la parte rappresentata, infatti, l’assenza di conoscenza legale dell’evento interruttivo non è fonte di diretto pregiudizio personale in relazione alla riattivazione del processo, stante la permanenza del mandato conferito al suo difensore e la ripresa del relativo esercizio alla scadenza del termine di sua sospensione dall’albo, che a questo impone, e non alla rappresentata, di procedere tempestivamente a riavviare il giudizio… La sanzione in questione, dunque, non priva definitivamente il procuratore dellojuspostulanch), in sede giudiziaria ma ne sospende temporaneamente l’esercizio. Il fatto inoltre che il procuratore è ben a conoscenza sia dell’accadimento interruttivo dipendente dalla subita sanzione e sia della relativa durata (e nella specie anche avvertito, tramite la comunicazione per quanto nulla, dell’ordinanza interruttiva, di natura meramente dichiarativa), gli impone – pur in assenza di conoscenza legale della conseguente ordinanza d’interruzione – oltre che di rispettare gli obblighi deontologici di informativa del cliente circa la vicenda e le relative ripercussioni, e salvo che nel frattempo non siano debitamente sopravvenute la revoca o la rinuncia alla procura,regolate dall’art. 85 c.p.c. (come nella specie non è avvenuto), di riprendere automaticamente ad esercitare anche in detta sede il suo mandato, alla scadenza del comminato periodo di sospensione e, quindi, di provvedere alla prosecuzione del giudizio nel prescritto termine decadenziale, decorrente dalla cessazione del periodo di sua sospensione dall’ albo”. (Cass. n. 24997 del 2010).

Alla luce di tale condivisibile orientamento non risulta quindi corretta l’affermazione della Corte territoriale in ordine al mancato decorso del termine per la riassunzione in difetto di legale conoscenza dell’evento interruttivo da parte del soggetto rappresentato mentre è con esso coerente l’ulteriore affermazione della sentenza impugnata in ordine al mancato decorso del termine semestrale calcolato con riferimento alla data di cessazione della sospensione.

Invero, in base alla giurisprudenza richiamata, per l’ipotesi di sospensione del procuratore dall’albo professionale, il dies a quo di decorrenza del termine per la riassunzione deve essere identificato nel momento in cui è cessata la sospensione dall’Albo. Nel caso di specie, premesso che è pacifico che la sospensione è durata fino al 19 settembre 2012, l’atto di riassunzione, depositato il 28 dicembre 2012, è senz’altro tempestivo in quanto intervenuto nel rispetto del termine di sei mesi prescritto dall’art. 305 c.p.c., nel testo – applicabile ratione temporis – anteriore alla modifica introdotta dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 14.

Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso.

Secondo la ricostruzione della sentenza impugnata in ordine alla scansione del procedimento amministrativo, ricostruzione non contestata dal ricorrente INPS, la domanda amministrativa di conferma dell’assegno è stata presentata il 12 settembre 1996, il ricorso amministrativo è stato proposto il 26 marzo 1997)(dovendo ascriversi a mero errore materiale il riferimento all’anno 2007, riportato nel testo della decisione) e respinto con nota del 6 agosto 1997, che il ricorso giudiziale è stato depositato nel marzo 2002.

Il riconoscimento del diritto ai ratei maturati nel triennio antecedente alla proposizione del ricorso giudiziale risulta coerente con la giurisprudenza di questa Corte che, superata la posizione espressa da Cass. n. 22110 del 2009, invocata dall’istituto ricorrente, ha ricostruito la disciplina di riferimento nel senso che: a) la scadenza dei termini complessivamente previsti per l’esaurimento del procedimento completa le ipotesi delle diverse eventualità di decorrenza del termine in presenza del comune presupposto, costituito dall’avvenuta presentazione del ricorso amministrativo; b) per contro, ove sia mancato qualsiasi ricorso, la situazione rimane disciplinata dalla seconda parte del D.L. n. 103 del 1991, art. 6, comma 1, in cui il dies a quo è rappresentato dal giorno della maturazione dei singoli ratei di prestazione; c) la scadenza suddetta, costituendo il limite estremo di utilità di ricorsi proposti tardivamente, ma pur sempre anteriormente al suo verificarsi, determina anche l’effetto dell’irrilevanza di un ricorso proposto solo successivamente (v. Cass. n. 4247 del 2002), rispetto al quale potrà semmai porsi il problema se esso sia identificabile come nuova domanda amministrativa; d) la scadenza stessa, in assenza di ricorsi anteriormente presentati, e nonostante la presenza di ricorsi proposti successivamente ad essa, non determina il dies a quo del termine di decadenza dall’azione giudiziaria, operando in relazione alle testè descritte eventualità la diversa ipotesi di decadenza introdotta dal D.L. del 1991, art. 6 ossia quella decorrente dalla maturazione dei singoli ratei. (cfr. tra le altre, Cass. ord. n. 8310 del 2016, Cass. n. 10376 del 2015, Cass.n. 11835 del 2014).

In conclusione, in base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto. Nulla per le spese non avendo le intimate svolto attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 17 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2016

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