Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15386 del 21/06/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 21/06/2017, (ud. 09/03/2017, dep.21/06/2017),  n. 15386

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3603/2014 proposto da:

T.C., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA CIRCONVALLAZIONE TRIONFALE 34, presso lo studio

dell’avvocato RODOLFO ANTONIO FRANCO, rappresentata e difesa

dall’avvocato EMANUELE VITO DONATO RAUSA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

EUROITALIA S.R.L. P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

MANTEGAZZA 24, presso il Signor MARCO GARDIN, rappresentata e difesa

dall’avvocato MASSIMO FASANO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 511/2013 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 11/02/2013 r.g.n. 2918/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/03/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per improcedibilità in subordine

inammissibilità.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso al Tribunale di Lecce in data 5.4.2005 T.C., premesso di avere lavorato alle dipendenze della società EUROITALIA srl, svolgente attività di casa di cura riabilitativa, dal 20 luglio 2002 al 12 luglio 2004 con mansioni di infermiere professionale, agiva nei confronti della datrice di lavoro per il pagamento delle differenze di retribuzione maturate (complessivi Euro 28.161,54).

Il giudice del lavoro, per quanto rileva in questa sede, rigettava il ricorso (sentenza del 3.12.2010 nr. 13894/2010).

La Corte d’appello di Lecce, con sentenza dell’1.2-11.2.2013 (nr. 511/2013) riformava unicamente la statuizione sulle spese del primo grado, rigettando nel resto l’appello della T..

La Corte territoriale osservava che la società aveva contestato la denunzia della T. di avere ricevuto somme diverse da quelle indicate nelle buste paga sottoscritte.

Tutte le buste paga recavano in calce la firma della T. “per ricevuta e quietanza”; la lavoratrice avrebbe dovuto offrire, a fronte della sottoscrizione, accompagnata dalla indicazione “per quietanza”, una prova di non – corrispondenza piuttosto rigorosa laddove i testi escussi nulla avevano riferito al riguardo. La ricorrente non aveva neppure dedotto che la sottoscrizione fosse stata apposta per un titolo diverso da quello “per ricevuta e quietanza” nè che fosse stata viziata da errore o violenza.

Il ctu nominato, le cui valutazioni non erano state contestate, aveva effettuato i calcoli in relazione alla turnazione indicata dalla lavoratrice giungendo alla conclusione che nulla fosse dovuto per lavoro straordinario e festivo rispetto ai dati risultanti dalle buste paga.

La lavoratrice, inoltre, non aveva provato di avere effettuato lavoro straordinario e festivo in misura superiore a quella attestata in busta paga nè di non avere goduto delle ferie.

Quanto al riposo dopo il turno notturno, la stessa T. aveva dichiarato in sede di interrogatorio che in caso di lavoro dalle ore 22 alle ore 7 non era lavorata la giornata dalle ore 7 alle 7 del mattino successivo.

La dedotta mancata contestazione dei conteggi – che peraltro erano stati contestati dalla resistente – era assorbita dalla decisione sul merito della controversia.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza T.C., articolando tre motivi (il primo privo di rubrica).

Ha resistito con controricorso la società EUROITALIA SRL.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la parte ricorrente ha lamentato violazione dell’art. 116 c.p.c..

La censura attiene alla statuizione in sentenza della assenza di un credito della lavoratrice sulla base dei calcoli del ctu, elaborati secondo la turnazione indicata dalla T..

La ricorrente ha esposto che il ctu aveva elaborato tre distinti calcoli, rispettivamente: in base alla prospettazione della ricorrente, in relazione ai dati delle buste paga e secondo i criteri indicati dal giudice ed aveva concluso che con il primo criterio risultava un credito pressocchè corrispondente a quello oggetto della domanda (Euro 26.437,99).

La ricorrente ha inoltre dedotto che il giudice dell’appello non aveva tenuto conto dei rilievi mossi avverso il criterio di calcolo del lavoro festivo indicato dal giudice del primo grado, che teneva conto delle sole festività lavorate indicate nelle buste paga.

Ha esposto che le buste paga riportavano una assoluta regolarità nella alternanza dei turni – turno diurno/ pomeridiano/ notturno/ recupero/riposo – laddove tutti i testi avevano confermato la circostanza che i turni di lavoro non erano regolari.

Il motivo è inammissibile.

Giova premettere che la censura è impropriamente qualificata in termini di violazione di norme di diritto. Come già precisato da questa Corte (Cassazione civile, sez. lav., 19/06/2014, n. 13960; Cass., 20 dicembre 2007, n. 26965) poichè l’art. 116 c.p.c., prescrive come regola di valutazione delle prove quella secondo cui il giudice deve valutarle secondo prudente apprezzamento a meno che la legge non disponga altrimenti, la sua violazione, deducibile in sede di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, è concepibile solo se il giudice di merito valuti una prova con criterio diverso da quello ivi indicato (ad esempio, valutando una prova per la quale l’ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione con criterio diverso dal suo prudente apprezzamento oppure apprezzando liberamente una prova legale).

La circostanza che il giudice, invece, abbia male esercitato il prudente apprezzamento della prova è censurabile solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5; in sostanza, la erroneità della valutazione dei risultati ottenuti mediante l’esperimento dei mezzi di prova, regolata dagli art. 115 e 116 c.p.c., ridonda in vizio deducibile ex art. 360 c.p.c., n. 5 (ex plurimis: Cassazione civile, sez. 3, 13/06/2014, n. 13547).

Nella fattispecie di causa trova applicazione ratione temporis (ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3) il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sicchè il vizio della motivazione è deducibile soltanto in termini di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Ne consegue, come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. S.U. 22.9.2014 nr. 19881; Cass. S.U. 7.4.2014 nr. 8053), che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”.

L’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra invece l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.

Con il motivo la parte non indica un preciso fatto storico che non sia stato esaminato in sentenza – (con indicazione dei dati da cui esso risultava esistente, dei modi della sua discussione, delle ragioni della sua decisività) – ma svolge considerazioni personali circa gli esiti della prova testimoniale quanto alla alternanza dei turni ed al lavoro festivo.

La allegazione della erronea lettura delle conclusioni della consulenza tecnica da parte del giudice dell’appello è priva di specificità giacchè non riporta le conclusioni del ctu – nè provvede a localizzarle tra gli atti di causa – e, comunque, non espone alcun fatto storico decisivo non esaminato in sentenza.

2. Con il secondo motivo la parte ricorrente ha dedotto violazione e mancata applicazione degli artt. 184 e 207 c.p.c., in combinato disposto con gli artt. 209, 252 e 253 c.p.c., nonchè difetto di motivazione.

La censura afferisce alla statuizione della corte di merito secondo cui i testi nulla avevano riferito quanto alla mancata corrispondenza tra i pagamenti ed i dati riportati nelle buste paga.

La ricorrente ha dedotto che dalla lettura dei verbali di causa risultava che il giudice non aveva rivolto ai testi alcuna domanda sul punto laddove avrebbe dovuto provvedere a sentirli sullo specifico capitolo di prova, articolato ed ammesso.

Il difetto di prova era dunque ascrivibile al contegno del primo giudice che, pur avendo ammesso la prova, non aveva poi provveduto ad assumerla.

Il motivo è inammissibile.

Esso denunzia un error in procedendo commesso dal giudice del primo grado nella escussione dei testi.

A prescindere da ogni valutazione circa la effettiva esistenza di un vizio di nullità della sentenza, resta preclusiva la considerazione che i vizi di attività del giudice del primo grado devono essere dedotti come motivo di appello, per il principio dell’assorbimento delle nullità in mezzi di gravame, restando altrimenti sanati.

La ricorrente non ha dedotto di avere proposto appello denunziando l’error in procedendo oggetto dell’attuale ricorso nè ha riportato in questa sede il relativo motivo; la proposizione dell’appello neppure risulta dalla sentenza impugnata nella quale si legge, anzi, che la T. lamentava, piuttosto che la mancata audizione dei testi su capitoli di prova ammessi, la esclusione da parte del giudice del primo grado della ammissibilità della prova (sì veda pagina 6 della sentenza d’appello, secondo capoverso).

3. Con il terzo motivo la ricorrente ha lamentato violazione dell’art. 426 c.p.c..

La parte ricorrente ha censurato la sentenza per avere ritenuto utile la generica contestazione da parte della società delle somme richieste nel ricorso introduttivo, espressa con la formula di stile secondo cui i parametri di riferimento dei conteggi elaborati non erano “rispondenti al vero”.

Il motivo è inammissibile.

La censura non coglie la concorrente ratio decidendi della sentenza, di rilievo pregiudiziale, secondo cui mancando la prova dei fatti costituivi del diritto alle differenze retributive restava assorbita ogni questione sulla loro quantificazione. Resta dunque irrilevante ogni censura inerente alla statuizione sul quantum del credito.

Il ricorso deve essere conclusivamente dichiarato inammissibile.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 4.000 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, con attribuzione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2017

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