Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15386 del 20/07/2020

Cassazione civile sez. II, 20/07/2020, (ud. 06/02/2020, dep. 20/07/2020), n.15386

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 20892/2019 R.G. proposto da:

I.M., c.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma,

alla via Emilio Faà Di Bruno, n. 15, presso lo studio dell’avvocato

Marta Di Tullio che lo rappresenta e difende in virtù di procura

speciale in calce al ricorso.

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, c.f. (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

domicilia per legge.

– controricorrente –

avverso il decreto n. 1302/2019 del Tribunale di Caltanissetta;

udita la relazione nella Camera di consiglio del 6 febbraio 2020 del

consigliere Dott. Luigi Abete.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con ricorso al Tribunale di Caltanissetta I.M. proponeva impugnazione avverso il provvedimento con il quale la Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Siracusa aveva rigettato la sua domanda di protezione internazionale.

Chiedeva in via principale il riconoscimento dello status di rifugiato, in via subordinata il riconoscimento della protezione sussidiaria ed in via ulteriormente subordinata il riconoscimento della protezione umanitaria.

2. Resisteva il Ministero dell’Interno.

3. Con Decreto n. 1302 del 2019, l’adito tribunale rigettava il ricorso.

3.1. Premetteva il tribunale che ai fini dell’esame della domanda di protezione ben possono vagliarsi le dichiarazioni rese dall’istante.

Indi esplicitava che le dichiarazioni rese dal ricorrente, con riferimento alle ragioni – minacce di morte e di ritorsioni, a seguito di sue denunce all’autorità locale, da parte dei mujaheddin – per le quali aveva lasciato il Pakistan, suo paese d’origine, risultavano del tutto generiche, incongrue ed inverosimili, sicchè non sussistevano i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato.

Esplicitava altresì che neppure sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Esplicitava segnatamente che i rapporti EASO aggiornati al 2017 ed al 2018 inducevano ad escludere, con riferimento alla regione, il Kashmir, di origine del ricorrente, la sussistenza di situazioni di indiscriminata violenza, tali, di per sè, da esporlo al rischio di gravi minacce alla vita o alla incolumità personale.

Esplicitava inoltre che non sussistevano i presupposti della protezione umanitaria nè a tal fine aveva rilievo l’attività lavorativa svolta in Italia.

Esplicitava segnatamente che il ricorrente non aveva addotto di versare in una situazione personale grave ed oggettiva, atta ad integrare una condizione di vulnerabilità tale da non consentirne l’allontanamento.

4. Avverso il decreto n. 1302/2019 ha proposto ricorso I.M.; ne ha chiesto sulla scorta di quattro motivi la cassazione.

Il Ministero dell’Interno ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

5. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione di norme di diritto.

Deduce che il tribunale non ha vagliato la domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato politico alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Pakistan.

6. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

Premette che è stato minacciato di morte dai mujaheddin.

Indi deduce che il tribunale in violazione dei criteri di cui alla disposizione in rubrica ha reputato non credibili le dichiarazioni rese.

7. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e art. 4.

Deduce che il tribunale ha erroneamente escluso, in dipendenza dell’insufficiente analisi dei fatti e dei documenti allegati, la sussistenza dell’ipotesi di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Deduce segnatamente che ai fini della configurazione dell’ipotesi di cui alla lett. c) è sufficiente che la violenza indiscriminata abbia raggiunto un livello tale da far ritenere che, se rimpatriato, per ciò solo sarebbe esposto a rischio per la sua vita e la sua incolumità.

8. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Deduce che il tribunale non ha vagliato la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, ossia la sussistenza di una situazione di vulnerabilità che lo Stato italiano ha da proteggere in virtù dei suoi obblighi costituzionali ed internazionali.

9. Il primo motivo è destituito di fondamento.

10. Il primo mezzo reca, sostanzialmente, censura della motivazione dell’impugnato dictum nella parte in cui ha negato al ricorrente lo status di rifugiato.

Più esattamente, alla stregua dell’assunto secondo cui la domanda non sarebbe stata vagliata “alla luce di informazioni precise e aggiornate” (così ricorso, pag. 2), I.M. prospetta l’insufficienza, in parte qua, dell’impianto motivazionale del decreto del tribunale nisseno.

11. E tuttavia in questi termini devesi dar atto di quanto segue.

Per un verso, il motivo in esame si qualifica ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Per altro verso, il motivo in esame è immeritevole di qualsivoglia seguito, siccome l’insufficienza motivazionale non è annoverabile tra le ipotesi di “anomalia motivazionale” rilevanti, in rapporto al novello dettato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel segno della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.

12. Tanto, ben vero, a prescindere dal rilievo per cui il tribunale ha in modo congruo ed esaustivo reputato generiche, vaghe, contraddittorie, inverosimili e quindi inattendibili le dichiarazioni rese dal ricorrente.

Ed ha, per giunta, avuto cura di puntualizzare, da un canto, che “i motivati rilievi critici (della Commissione Territoriale) non sono stati contestati adeguatamente” (così decreto impugnato, pag. 4); d’altro canto, che il ricorrente era rientrato in Pakistan e vi aveva trascorso circa un mese senza incontrare alcun problema (cfr. decreto impugnato, pag. 4).

13. Il secondo motivo del pari è destituito di fondamento.

14. Si è testè dato atto della congruenza ed esaustività delle argomentazioni alla cui stregua il tribunale ha ineccepibilmente valutato le dichiarazioni rese dal ricorrente.

In questi termini per nulla si configura la pretesa violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

15. Si tenga conto inoltre che questa Corte spiega che, nel giudizio relativo alla protezione internazionale del cittadino straniero, la valutazione di attendibilità, di coerenza intrinseca e di credibilità della versione dei fatti resa dal richiedente, non può che riguardare tutte le ipotesi di protezione prospettate nella domanda, qualunque ne sia il fondamento; cosicchè, ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario far luogo a un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr. Cass. (ord.) 20.12.2018, n. 33096; Cass. (ord.) 12.6.2019, n. 15794, secondo cui, in materia di protezione internazionale, il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, trova applicazione con riguardo alla domanda volta al riconoscimento dello “status” di rifugiato, tanto con riguardo alla domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, in ciascuna delle ipotesi contemplate dall’art. 14 dello stesso D.Lgs., con la conseguenza che, ove detto vaglio abbia esito negativo, l’autorità incaricata di esaminare la domanda non deve procedere ad alcun ulteriore approfondimento istruttorio officioso, neppure concernente la situazione del Paese di origine).

In questo quadro per nulla si giustifica l’assunto del ricorrente secondo cui il tribunale avrebbe dovuto attendere ex officio all’acquisizione delle necessarie informazioni in ordine alla situazione politica del Pakistan, suo paese d’origine (cfr. ricorso, pag. 3).

16. Il terzo motivo parimenti è destituito di fondamento.

17. Evidentemente il terzo mezzo di impugnazione si qualifica in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Invero con il motivo in disamina il ricorrente sostanzialmente censura il giudizio “di fatto” cui il Tribunale di Caltanissetta ha atteso ai fini del concreto riscontro dell’ipotesi di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (“ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, sono considerati danni gravi: (…); c) la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”).

Del resto è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054).

Ed, ulteriormente, questa Corte spiega che, in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento “di fatto” rimesso al giudice del merito; il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. 21.11.2018, n. 30105; Cass. (ord.) 12.12.2018, n. 32064).

18. Su tale scorta gli asseriti vizi motivazionali che il terzo motivo di ricorso veicola, sono evidentemente da vagliare, oltre che nei limiti della novella formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel solco del già menzionato insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite.

19. In quest’ottica si osserva quanto segue.

Da un lato, è da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla luce della pronuncia a sezioni unite testè citata, possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui, in parte qua, il tribunale ha ancorato il suo dictum.

In particolare, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico-giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – il tribunale ha – siccome si è in precedenza evidenziato – compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo (il tribunale ha ulteriormente specificato che “anche il rapporto EASO aggiornato al 2018 descrive le condizioni di sicurezza nell’Azad Kashmir come “stabili”; (…) pertanto (…) nella regione d’origine del ricorrente non ricorre alcuna ipotesi di conflitto armato internazionale nel senso fatto proprio dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea con la sentenza “Diakitè” del 30 gennaio 2014″: così decreto impugnato, pag. 5).

Dall’altro, il tribunale ha sicuramente disaminato il fatto decisivo caratterizzante, in parte qua, la res litigiosa, ossia la concreta sussistenza dell’ipotesi prefigurata del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

20. In ogni caso l’iter motivazionale che sorregge il dictum del tribunale, risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo e esaustivo sul piano logico – formale.

21. Si tenga conto che il ricorrente adduce l’omessa e/o insufficiente analisi dei documenti allegati.

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).

22. Si tenga conto altresì che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di Giustizia U.E. (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria; cosicchè il grado di violenza indiscriminata deve aver raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (cfr. Cass. (ord.) 8.7.2019, n. 18306).

Ebbene nel caso di specie il tribunale ha congruamente ed esaustivamente escluso, per giunta, che nella regione, il Kashmir, di origine dell’istante vi fossero forme di conflitto armato, interno o internazionale.

23. Il quarto motivo analogamente è destituito di fondamento.

24. Il tribunale ha esplicitato – inoltre – che il ricorrente non aveva per nulla lamentato – e neppure esposto – la sussistenza di una “condizione personale di effettiva deprivazione dei diritti umani tale da giustificare l’allontanamento (…) dal paese d’origine”; e che si era acquisito riscontro, unicamente, dell’esigenza (del ricorrente) di reperire, con il trasferimento dal Paese d’origine, più favorevoli occasioni di lavoro (cfr. decreto impugnato, pag. 6).

Del tutto ingiustificate sono perciò le censure secondo cui “il Tribunale (…) ha errato nell’omettere l’esame della domanda di protezione umanitaria” e “secondo cui il Tribunale avrebbe dovuto verificare l’esistenza dei presupposti specifici della domanda di protezione umanitaria” (così ricorso, pag. 6).

25. A motivo del difesa del tutto formale svolta dal Ministero nello stringatissimo controricorso nessuna statuizione in ordine alle spese del presente giudizio va assunta.

26. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315, secondo cui la debenza dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione è normativamente condizionata a due presupposti: il primo, di natura processuale, costituito dall’adozione di una pronuncia di integrale rigetto o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione, la cui sussistenza è oggetto dell’attestazione resa dal giudice dell’impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater; il secondo, di diritto sostanziale tributario, consistente nell’obbligo della parte impugnante di versare il contributo unificato iniziale, il cui accertamento spetta invece all’amministrazione giudiziaria).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2020

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